Santi Martiri a Roma Felice, Filippo, Vitale, Marziale, Alessandro, Silano e Gennaro. Figli della Santa Martire Felicita (verso il 150) Memoria Principale per la Chiesa Ortodossa in data 25 Gennaio
Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/f/felicita-figli.htm
Felicita e i suoi presunti 7 figli,
santi, martiri di Roma, sue reliquie unitamente a quelle del figlio Silano, traslate da S. Leone III, sono
nell’altare della cripta rinascimentale di S. Susanna. Felicita e Silano furono
sepolti nel cimitero di Massimo (via Simeto, 2). S. Bonifacio I (418-422)
dedicò in questo cimitero una basilica sopraterra a Felicita ed un’altra
sottostante a Silano. Il corpo di Silano venne sottratto dai Novaziani,
probabilmente al tempo di Innocenzo I (410-417). Ritrovato, fu ricomposto nella
primitiva sepoltura. Gli altri "figli" di Felicita furono sepolti in
località differenti. Gennaro
venne inumato nel Cimitero di Pretestato, in una cripta quadrata scoperta dal
De Rossi verso la metà del secolo scorso; Felice e Filippo
furono sepolti nel cimitero di Priscilla, sotto l’altare principale della
basilica di S. Silvestro; Alessandro,
Vitale e Marziale nel cimitero dei Giordani, dove papa Simmaco migliorò il
posto in loro onore. I resti di Gennaro, Felice, Filippo e Silano sono anche a S. Marcello al Corso, sotto
l’altare di S. Paolo. L’Inventario (1870) vuole le reliquie di Felice e Vitale
a S. Nicola dei Lorenesi. Il Piazza (1703) indica metà del corpo di Felicita a
S. Marcello e metà a S. Susanna; le reliquie di tutti loro sono anche a S.
Cecilia e a Ss. Pietro e Marcellino.
Martirologio Romano 23 novembre - A Roma santa Felicita Martire, madre di sette figli Martiri, la quale, dopo di loro, per ordine dell'Imperatore Marco Antonino, fu per Cristo decapitata.
10 luglio - A Roma la passione dei santi sette fratelli Martiri, figli di santa Felicita Martire, cioè Gennaro, Felice, Filippo, Silano, Alessandro, Vitale e Marziale, al tempo dell'Imperatore Antonino, mentre era Prefetto della città Publio. Tra essi Gennaro, dopo essere stato percosso con verghe e straziato nel carcere, fu ucciso con flagelli piombati; Felice e Filippo furono ammazzati con bastoni; Silvano fu gettato in un precipizio; Alessandro, Vitale e Marziale furono puniti con sentenza capitale.
Tratto da
http://www.novena.it/calendario_santi/luglio/santo_luglio10.htm
Ai tempi dell'imperatore Antonino scoppiò una
rivolta dei pontèfici e fu arrestata e trattenuta in carcere la nobildonna
Felicita con i suoi sette cristianissimi figli ». Così iniziano gli Atti del
martirio di S. Felicita e dei suoi sette figli che qualche studioso ritiene non
possano essere considerati autentici, benché essi siano molto antichi. È
abbastanza evidente infatti in questo documento l'ispirazione a due altri
clamorosi casi di martirio collettivo, di una madre insieme a sette figli:
quello dei cosiddetti « fratelli Maccabei », di cui parla la Sacra Scrittura al
cap. 7 del secondo Libro dei Maccabei, e quello di S. Sinforosa. Sembra, anzi,
che non si possa neppure parlare di sette veri «fratelli», benché ciò venga
affermato anche da S. Gregorio Magno: questi infatti, accogliendo la richiesta
di S. Teodolinda, le inviò alcune gocce dell'olio della lampada che ardeva
vicino al sepolcro della martire, e poiché lì accanto vi era pure una pittura
murale che rappresentava S. Felicita insieme ad altre sette figure, fu
abbastanza ovvio per il grande papa dichiarare che si trattava dei protagonisti
degli Atti di Felicita ed identificare le sette figure con altrettanti figli
della martire. E in occasione di una celebrazione liturgica nella basilica
edificata sulla tomba di S. Felicita da papa Bonifacio I, lo stesso S. Gregorio
Magno attinse ampiamente alla Passione per la sua omelia.
Per certo, comunque, che vi furono effettivamente, oltre a S. Felicita, sette martiri, i cui nomi vengono rievocati dal Martirologio Romano insieme all'indicazione della forma del martirio: « A Roma (si festeggia) la passione dei santi sette fratelli Martiri, figli di santa Felicita Martire, cioè Gennaro, Felice, Filippo, Silvano, Alessandro, Vitale e Marziale, al tempo dell'imperatore Antonino, mentre era prefetto della città Publio. Tra essi Gennaro, dopo essere stato percosso con verghe e straziato nel carcere, fu ucciso con flagelli piombati; Felice e Filippo furono ammazzati con bastoni; Silvano fu gettato in un precipizio; Alessandro, Vitale e Marziale furono puniti con sentenza capitale ».
Gli Atti del martirio si concludono con questo grido di trionfo: « Così, morti per diversi supplizi, furono tutti vincitori e martiri di Cristo e, trionfando con la madre, volarono in cielo a ricevere i premi che avevano meritato. Essi che, per amore di Dio, avevano disprezzato le minacce degli uomini, le pene e i tormenti, divennero nel regno dei cieli amici di Cristo, che, con il Padre e lo Spirito Santo, vive e regna nei secoli dei secoli. Amen ».
Per certo, comunque, che vi furono effettivamente, oltre a S. Felicita, sette martiri, i cui nomi vengono rievocati dal Martirologio Romano insieme all'indicazione della forma del martirio: « A Roma (si festeggia) la passione dei santi sette fratelli Martiri, figli di santa Felicita Martire, cioè Gennaro, Felice, Filippo, Silvano, Alessandro, Vitale e Marziale, al tempo dell'imperatore Antonino, mentre era prefetto della città Publio. Tra essi Gennaro, dopo essere stato percosso con verghe e straziato nel carcere, fu ucciso con flagelli piombati; Felice e Filippo furono ammazzati con bastoni; Silvano fu gettato in un precipizio; Alessandro, Vitale e Marziale furono puniti con sentenza capitale ».
Gli Atti del martirio si concludono con questo grido di trionfo: « Così, morti per diversi supplizi, furono tutti vincitori e martiri di Cristo e, trionfando con la madre, volarono in cielo a ricevere i premi che avevano meritato. Essi che, per amore di Dio, avevano disprezzato le minacce degli uomini, le pene e i tormenti, divennero nel regno dei cieli amici di Cristo, che, con il Padre e lo Spirito Santo, vive e regna nei secoli dei secoli. Amen ».
Leggere la Passio
MARTIRIO DI SANTA
FELICITA
E DEI SUOI SETTE
CRISTIANISSIMI FIGLI
per la memoria principale del 25
gennaio leggere in
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=4368:25-01-memoria-di-santa-felicita-martire-a-roma-con-i-suoi-sette-figli-gennaro-felice-filippo-silano-alessandro-vitale-e-marziale-verso-il-164&catid=195:gennaio&Itemid=334&lang=it
Santa Rufina
e Seconda entrambe di vita ascetica e martiri a Roma (verso il 257)
Tratto dal
quotidiano Avvenire
Le
informazioni sul martirio di Rufina e Seconda sono concordi. Condannate, sotto
Valeriano e Gallieno, dal prefetto Giunio Donato, furono martirizzate a Roma al
decimo miglio della via Cornelia. La tradizione le vuole sorelle che, fidanzate
a due giovani cristiani divenuti apostati, si votarono alla verginità. Non
essendo riusciti con ogni sforzo ad indurle all' apostasia e al matrimonio, i
due giovani le denunciarono. Quasi sicuramente, già ne IV secolo, sul loro
sepolcro fu eretta una basilica, forse da papa Giulio I, di cui oggi è
impossibile indicare l'ubicazione in maniera sicura. Rufina e Seconda, con il
loro esempio ci ricordano che in una società multireligiosa come quella verso
cui ci stiamo incamminando, le ragioni della fede sono superiori a quelle del
cuore
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/61600
Santa
Rufina e santa Seconda sono due martiri realmente esistite in Roma, esse sono
ricordate in numerosi e sicuri documenti, come il ‘Martirologio Geronimiano’,
gli ‘Itinerari’ romani, la ‘Notizia’ di Guglielmo di Malmesbury, inoltre sono
menzionate nel famoso ‘Calendario Marmoreo’ di Napoli ed infine nel
‘Martirologio Romano’ che le celebra ambedue il 10 luglio.
L’antica ‘passio’ compilata verso la seconda metà del V secolo, ne colloca il martirio ai tempi di Valeriano e Gallieno, nel 260 ca., e seguendo le narrazioni agiografiche di altre ‘passio’ di celebri coppie di martiri romani, le due sante sono presentate come sorelle e fidanzate con due giovani cristiani.
A seguito delle ricorrenti persecuzioni contro i cristiani, i due fidanzati apostatarono e quindi le due ragazze si votarono alla verginità. Ma i due giovani non vollero rinunciare a loro e quindi cercarono di indurle ad apostatare per proseguire il loro fidanzamento; ma di fronte ai dinieghi di Seconda e Rufina, le denunciarono al conte Archesilao, il quale le raggiunse al XIV miglio della Flaminia, mentre nel tentativo di sfuggire ai persecutori, si allontanavano da Roma, e le consegnò al prefetto Giunio Donato, che da antichi documenti risulta essere ‘praefectus urbis’ nel 257.
Come per tanti martiri di quell’epoca, le due sorelle furono sottoposte a pressioni, interrogatori e proposte di apostatare e di matrimonio, ma di fronte alla loro resistenza e rifiuto, al prefetto non restò altro che ordinarne la morte.
Allora Archesilao le condusse al X miglio della via Cornelia in un fondo chiamato Buxo (oggi Boccea) dove Rufina venne decapitata, mentre Seconda fu bastonata a morte. Il celebre quadro del XVII secolo, dipinto da tre celebri pittori e custodito a Milano nella Pinacoteca di Brera, raffigura la crudele scena del martirio e resta una delle più significative opere artistiche che le raffigura.
I corpi come d’uso, vennero abbandonati in pasto alle bestie, ma una certa matrona romana di nome Plautilla ne raccolse i corpi, dopo che le martiri in sogno le avevano indicato il luogo del martirio e invitandola a convertirsi; Plautilla le seppellì nello stesso luogo.
La selva luogo del martirio, che era denominata ‘nigra’, in ricordo delle due martiri Seconda e Rufina e del successivo martirio nello stesso luogo dei santi Marcellino e Pietro, venne poi chiamata ‘Silva Candida’.
Sulla loro tomba, già nel secolo IV fu eretta una basilica ad opera di papa Giulio I (341-353), poi restaurata da papa Adriano I (772-795), mentre papa Leone IV (847-855) l’arricchì di doni.
Dal secolo V tutta la regione della villa imperiale ‘Lorium’ che comprendeva la basilica delle due martiri, ebbe un proprio vescovo, il quale nel 501 si sottoscriveva “episcopus Silvae Candidae” e più tardi come “episcopus Sanctae Rufinae”.
Al tempo di papa Callisto II (1119-1124) la diocesi venne unita a quella suburbicaria di Porto e si chiamò di Porto e Santa Rufina. Papa Anastasio IV (1153-1154) fece trasferire i loro corpi nel Battistero Lateranense nell’altare di sinistra dell’atrio, di fronte a quello dei ss. Cipriano e Giustina, dove riposano tuttora; mentre l’antica basilica sulla via Cornelia andò in rovina e ancora oggi non si riescono ad identificarne i resti con precisione.
L’antica ‘passio’ compilata verso la seconda metà del V secolo, ne colloca il martirio ai tempi di Valeriano e Gallieno, nel 260 ca., e seguendo le narrazioni agiografiche di altre ‘passio’ di celebri coppie di martiri romani, le due sante sono presentate come sorelle e fidanzate con due giovani cristiani.
A seguito delle ricorrenti persecuzioni contro i cristiani, i due fidanzati apostatarono e quindi le due ragazze si votarono alla verginità. Ma i due giovani non vollero rinunciare a loro e quindi cercarono di indurle ad apostatare per proseguire il loro fidanzamento; ma di fronte ai dinieghi di Seconda e Rufina, le denunciarono al conte Archesilao, il quale le raggiunse al XIV miglio della Flaminia, mentre nel tentativo di sfuggire ai persecutori, si allontanavano da Roma, e le consegnò al prefetto Giunio Donato, che da antichi documenti risulta essere ‘praefectus urbis’ nel 257.
Come per tanti martiri di quell’epoca, le due sorelle furono sottoposte a pressioni, interrogatori e proposte di apostatare e di matrimonio, ma di fronte alla loro resistenza e rifiuto, al prefetto non restò altro che ordinarne la morte.
Allora Archesilao le condusse al X miglio della via Cornelia in un fondo chiamato Buxo (oggi Boccea) dove Rufina venne decapitata, mentre Seconda fu bastonata a morte. Il celebre quadro del XVII secolo, dipinto da tre celebri pittori e custodito a Milano nella Pinacoteca di Brera, raffigura la crudele scena del martirio e resta una delle più significative opere artistiche che le raffigura.
I corpi come d’uso, vennero abbandonati in pasto alle bestie, ma una certa matrona romana di nome Plautilla ne raccolse i corpi, dopo che le martiri in sogno le avevano indicato il luogo del martirio e invitandola a convertirsi; Plautilla le seppellì nello stesso luogo.
La selva luogo del martirio, che era denominata ‘nigra’, in ricordo delle due martiri Seconda e Rufina e del successivo martirio nello stesso luogo dei santi Marcellino e Pietro, venne poi chiamata ‘Silva Candida’.
Sulla loro tomba, già nel secolo IV fu eretta una basilica ad opera di papa Giulio I (341-353), poi restaurata da papa Adriano I (772-795), mentre papa Leone IV (847-855) l’arricchì di doni.
Dal secolo V tutta la regione della villa imperiale ‘Lorium’ che comprendeva la basilica delle due martiri, ebbe un proprio vescovo, il quale nel 501 si sottoscriveva “episcopus Silvae Candidae” e più tardi come “episcopus Sanctae Rufinae”.
Al tempo di papa Callisto II (1119-1124) la diocesi venne unita a quella suburbicaria di Porto e si chiamò di Porto e Santa Rufina. Papa Anastasio IV (1153-1154) fece trasferire i loro corpi nel Battistero Lateranense nell’altare di sinistra dell’atrio, di fronte a quello dei ss. Cipriano e Giustina, dove riposano tuttora; mentre l’antica basilica sulla via Cornelia andò in rovina e ancora oggi non si riescono ad identificarne i resti con precisione.
Tratto
da
http://www.famigliacristiana.it/liturgia/sante-rufina-e-seconda_832251.aspx
Oggi
la Chiesa ricorda due sante romane il cui martirio, subìto durante la
persecuzione di Valeriano e Gallieno (nel 260 circa), è provato da numerosi
documenti certi. Rufina e Seconda erano sorelle, entrambe fidanzate con due
giovani cristiani, che però apostatarono, per cui esse decisero di votarsi alla
verginità. Ma i due, non essendo riusciti a convincerle a seguire il loro
esempio, si vendicarono denunciandole come cristiane. Mentre esse stavano
fuggendo, furono raggiunte al XIV miglio della via Flaminia e consegnate al
prefetto Giunio Donato. Risultati vani gli sforzi per costringerle all’apostasia
e al matrimonio, esse furono condannate a morte. Condotte al X miglio della via
Cornelia “in
fundum qui vocatur Buxo” (l’attuale via Boccea) fu eseguita la
sentenza: una (non si sa quale delle due) fu decapitata, l’altra uccisa a
bastonate. I loro corpi, abbandonati alle bestie, furono raccolti poi da una
matrona di nome Plautilla, a cui le sante avevano indicato il luogo del loro
martirio invitandola alla conversione. Quella zona, fino allora chiamata Silva nigra (cioè
Selva nera) fui poi chiamata Silva candida a
ricordo di Rufina e Seconda, nonché dei santi Pietro e Marcellino, a loro volta
decapitati in quella località. Sul sepolcro delle sante, secondo alcuni ad
opera di papa Giulio I (pontefice dal 341 al 353), fu eretta una basilica che
Adriano I restaurò e Leone IV arricchì di doni, mentre la regione circostante
ebbe fin dal secolo V un proprio vescovo, inizialmente chiamato “di Selva candida”.
Più tardi, quando la diocesi sotto Callisto II fu unita a quella suburbicaria
di Porto, assunse la denominazione definitiva (che sussiste tuttora) di Porto e
Santa Rufina. Papa Anastasio IV (1153-54) trasferì i corpi delle due sorelle
nel Battistero Lateranense, dove tuttora riposano. L’antica basilica sulla via
Cornelia andò in rovina, tanto che oggi non se ne può più nemmeno indicare
l’esatta ubicazione.
Santo Pietro
(Vincioli) cittadino di Perugia monaco ed architetto (verso il 1007)
Tratto dal Quotidiano Avvenire
Fu un monaco-architetto il perugino
Pietro Vincioli di cui si ignora la data di nascita. A lui si deve, infatti, la
costruzione, nel X secolo, della splendida chiesa di San Pietro (edificio che
fu costantemente arricchito nei secoli successivi) con annesso il monastero
benedettino di cui lui stesso fu abate. Prima, in quel luogo, esisteva una
chiesetta in rovina, che, un tempo, era stata la cattedrale di Perugia. Fu
l'allora vescovo Onesto ad affidare al Vincioli la ricostruzione della chiesa.
E Pietro vi profuse tutto il dinamismo di un vero e grande impresario edile. Si
racconta che proprio durante la costruzione del nuovo luogo di culto egli compì
molti prodigi. Ma il santo, morto nel 1009, viene ricordato anche come grande
esempio di carità verso i poveri " dei quali si occupò costantemente
" e difensore della sua città dalle durissime vessazioni imposte dagli
imperatori tedeschi del periodo
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