mercoledì 1 agosto 2018

1 agosto Santi Italici ed Italo greci


Santo Buono  martire romano

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90329
Il Martirologio Romano riporta il martirio di San Buono al primo di Agosto: in questa data si celebra la festa popolare del S. Martire. Sembra che l' epoca del martirio sia il 259 sotto il pontificato di papa Stefano.
Il sacro deposito proviene dal cimitero di Priscilla.
Il S. Martire ha dato il nome al comune della provincia di Chieti, di cui è anche patrono.





Santo Leone vescovo di Montefeltro

Tratto dal quotidiano Avvenire
Nel 257 due cristiani di nome Leone e Marino, provenienti dall’isola di Arbe in Dalmazia, giungono a Rimini attratti dall’opportunità di lavorare come scalpellini. Accanto al lavoro mettono da subito l’attività di evangelizzazione della popolazione riminese. Per sfuggire alla persecuzione dell’Imperatore Diocleziano, si rifugiano in cima al Monte Titano. Dopo tre anni Leo (Leone), con un piccolo gruppo di compagni, si reca presso la rupe del Monte Feliciano dove costruisce una piccola cella e una cappella dove, nel segreto, raduna i Cristiani. La sua opera missionaria lo portò a diventare pastore della futura diocesi di Montefeltro, della quale, per tradizione, è considerato il primo vescovo, anche se l’istituzione ufficiale della diocesi è avvenuta alcuni secoli dopo. Dopo la morte di Leone, il suo corpo viene deposto in un sarcofago di pietra di cui si conserva tutt’oggi il coperchio

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/65150

Correva l’anno 257 d.C. e due cristiani di nome Leone e Marino, provenienti dall’isola di Arbe in Dalmazia, giunsero a Rimini attratti dall’opportunità di lavorare come scalpellini.
San Leone e San Marino, giunti nella zona del Monte Titano in cerca di pietre da lavorare, restarono affascinati dal maestoso Monte e vi si recavano spesso, Oltre a quel lavoro, essi svolgevano la missione di convertire la popolazione riminese al cristianesimo. Per sfuggire alla persecuzione dell’Imperatore Diocleziano, si rifugiarono in cima al Monte Titano. Passati tre anni, San Leo, con un piccolo gruppo di compagno, si diresse verso la rupe del Monte Feliciano che nella lingua del posto è chiamato Feretrio. Qui giunto costruì una piccola cella e a Dio dedicò una cappelletta.e in tutta segretezza, cominciò a radunare i Cristiani e a predicare il Vangelo. La sua missione diede subito frutti copiosi ed il Cristianesimo si propagò rapidamente in tutta la regione circostante, fino alla creazione della Diocesi di Montefeltro con a capo Leone nel frattempo ordinato vescovo. Leone è considerato, per tradizione, i primo vescovo del Montefeltro, anche se l’istituzione ufficiale della Diocesi è avvenuta alcuni secoli dopo. Dopo la morte di Leone, il suo corpo venne deposto in un sarcofago di pietra di cui, nel Duomo, si conserva il coperchio.

Le vicende legate a san Leo sono giunte fino a noi tramite la Vita Sancti Marini, testo agiografico redatto verso la fine dell'anno 900. Secondo la Vita, Leo, scalpellino originario dell'isola di Arbe, nella Dalmazia settentrionale, giunse intorno al 297 in Italia, insieme a Marino, per la ricostruzione delle mura di Rimini e per sfuggire alla persecuzione contro i Cristiani iniziata dall'imperatore Diocleziano.
Gli scalpellini, giunti a Rimini, furono inviati per tre anni sul Monte Titano per estrarre e lavorare la roccia. In seguito Marino e Leo si divisero: mentre il primo tornò a Rimini, Leo si rifugiò sul Monte Feliciano (o Monte Feltro) dove edificò un convento e una chiesa. Quest'insediamento sul Monte Feliciano prenderà poi il nome di San Leo.

Il vescovo di Rimini, Gaudenzio, convocò Leo e Marino per esprimergli la sua riconoscenza. Poi consacrò il primo sacerdote e il secondo diacono.
Dopo la morte di Leone il suo corpo viene deposto in un sarcofago di pietra (di esso si conserva tutt'oggi il coperchio nel Duomo). Attualmente le sue reliquie sono conservate nella Chiesa di Santo Stefano a Ferrara, dove vi vennero trasferite dalla sede vescovile di Voghenza nel 1083.[1]
1.       ^ SAN LEONE (Sacerdote), su diocesi-sanmarino-montefeltro.it. URL consultato il 6 maggio 2016.

TRATTO da
http://www.diocesi-sanmarino-montefeltro.it/la-diocesi/santi-e-beati/

Patrono della Diocesi e Titolare della Cattedrale (IV secolo) in San Leo.
Leone viene a Rimini per lavoro e per sfuggire alla persecuzione con Marino, compatriota e amico fraterno, entrambi originari di Arbe (Rab ex Jugoslavia).
Provetto nell’arte d’intagliare la pietra, è sovrintendente ai lavori ed ha modo di aiutare e difendere i lavoratori.
Recatesi con Marino sul Titano per estrarre pietre, si innamora della solitudine e del silenzio di quell’altura.
Dal Vescovo di Rimini viene chiamato presso di lui per la fama di santità e ordinato sacerdote.
Dopo alcuni anni di fraterna consuetudine con Marino, se ne distacca, per amore di solitudine o per diversità di carismi. Sceglie la selvatica rocca feretrana (S. Leo), che diventa teatro della sua santità e dei suoi miracoli. Fissa la sua dimora presso la sorgente che scaturisce in quella piccola valle, che sarà poi chiamata “Santa”.
Con i discepoli che spontaneamente si raccolgono attorno a lui costituisce la prima comunità cristiana che sarà il primo nucleo della Diocesi di Montefeltro, che lì ebbe sede fino al XVI secolo.
Lo spirito di Leone, che anticipa quello benedettino di “Ora et labora” è magnificamente espresso nell’epigrafe sul coperchio del suo sarcofago, che la tradizione vuole scalpellato da lui stesso: Dum vixi, hoc amavi, hoc dixi, hoc scribsi: omnes dicamus dea gratias semper… haec requies mea in saeculum saeculi hic habitabo quoniam preelegi eam orate dominum semper, orate dominum semper.
Il suo corpo fu trafugato per devozione dal santo imperatore tedesco Enrico II, detto il Pio, che avrebbe voluto trasferirlo in Germania. Ma, narra la leggenda, che giunto nel Polesine sia per gli acquitrini, sia per l’eccessivo peso, fu costretto ad abbandonarlo in quel di Ferrara, a Voghenza. Altri sostengono che le reliquie possono essere ancora nascoste a S. Leo.
Sulla sua tomba sorsero i due meravigliosi monumenti che sono la Pieve e il Duomo.
Luogo meno conosciuto, ma di grande fascino e suggestione è la così detta “Fonte di S. Leone”.
La festa liturgica si celebra il 1° agosto

Tratto da
http://ricerca.gelocal.it/lanuovaferrara/archivio/lanuovaferrara/2007/02/13/UP4PO_UP407.html

Voghenza ha come patrono un Santo venuto da lontano, San Leo, che nel calendario liturgico ricopre un'importanza notevole. Era l'anno 257 d.C., quando due cristiani, Leone e Marino, provenienti dall'Isola di Arbe in Dalmazia, giunsero a Rimini per l'opportunità di lavorare come scalpellini nei diversi cantieri aperti. I due santi, dicevano scalpellini, oltre all'antico lavoro, svolgevano anche la predicazione del cristianesimo e per sfuggire all'ordine di persecuzione dell'imperatore Diocleziano si rifugiarono nel Monte Titano. Dopo alcuni anni, Leone (San Leo), con alcuni compagni, si diresse verso la rupe del Monte Feliciano, chiamato Feretrio. Qui vi costrui un piccola cella che dedicò a Dio ed un cappella; in cui, in segreto, riuniva i cristiani e da cui predicò il Vangelo con grandi effetti, ed il Cristianesimo si propagò in tutta le regione.
Grazie alla sua opera fu creata la Diocesi di Montefeltro, antico nome dell'attuale città di San Leo, con a capo Leone, ordinato vescovo. Leone è considerato, per tradizione, il primo Vescovo del Montefeltro, anche s'è l'istituzione ufficiale della Diocesi è avvenuta nell'anno 826 d.C. San Leo mori nel 360 d.C



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Santo Eusebio  vescovo di Vercelli in Piemonte che confessa la retta fede contro l’eresia ariana (verso il 371)
Il 15 Dicembre si fa memoria liturgica della sua ordinazione a Vescovo di Vercelli

Tratto dal quotidiano Avvenire
Il primo vescovo del Piemonte nacque in Sardegna tra la fine del III e l'inizio del IV secolo. Durante gli studi ecclesiastici a Roma si fece apprezzare da papa Giulio I che verso il 345 lo nominò vescovo di Vercelli. Qui stabilì per sé e per i suoi preti l'obbligo della vita in comune, collegando l'evangelizzazione con lo stile monastico. I vercellesi vennero conquistati dalla sua arte oratoria: non solo parlava bene, ma esprimeva ciò che sentiva dentro. Si attirò così l'ostilità degli ariani e dello stesso imperatore Costanzo che lo mandò in esilio in Asia insieme a Dionigi, vescovo di Milano. Venne torturato, soffrì la fame, ma nel 362 ebbe finalmente la fortuna di ritornare a Vercelli. Riprese l'evangelizzazione delle campagne, istituendo la diocesi di Tortona. Ma si spinse anche in Gallia, insediando un vescovo a Embrun. La tradizione lo considera anche fondatore di due noti santuari: quello di Oropa (Biella) e di Crea (Alessandria). Nel 371 la morte lo colse nella sua città episcopale, che ne custodisce tuttora le reliquie nel Duomo

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/28500
Arriva in gioventù dalla nativa Sardegna a Roma, segue gli studi ecclesiastici e si fa apprezzare da papa Giulio I, che verso il 345 lo nomina vescovo di Vercelli: è il primo vescovo del Piemonte. Qui stabilisce per sé e per i suoi preti l’obbligo della vita in comune, collegando l’evangelizzazione con lo stile monastico. Ora i cristiani, non più perseguitati, cominciano a litigare tra loro: da una parte, quelli che seguono la dottrina del concilio di Nicea (325) sul Figlio di Dio, "generato, non creato, della stessa sostanza del Padre"; dall’altra, i seguaci dell’arianesimo, che nel Figlio vede una creatura, per quanto eminente. Con l’appoggio della corte imperiale, gli ariani hanno il sopravvento in molte regioni, e faranno esiliare per cinque volte il più energico sostenitore della dottrina nicena: Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto, ammirato da Eusebio che l’ha conosciuto a Roma.
Annullato il secondo suo esilio, un concilio ad Arles (Francia), con decisione illegale, condanna Atanasio per la terza volta. Allora il papa Liberio manda all’imperatore Costanzo (figlio di Costanzo il Grande) appunto Eusebio, già suo compagno di studi, con Lucifero, vescovo di Cagliari. Ed essi ottengono di rimettere la questione a un nuovo concilio, che si riunisce nel 355 a Milano, dove viene anche il sovrano. E subito si riparla di condannare ed esiliare Atanasio. Replica lucidamente Eusebio: prima di esaminare i casi personali, mettiamoci piuttosto tutti d’accordo sui problemi generali di fede, firmando uno per uno il Credo di Nicea. Una proposta ragionevole, che però scatena il tumulto tra i vescovi e un altro tumulto dei fedeli contro i vescovi. Costanzo fa proseguire i lavori nella residenza imperiale (senza i fedeli) e tutti approvano la ri-condanna di Atanasio. Tutti meno tre: Eusebio, Lucifero, e Dionigi, vescovo di Milano. Questi non cedono, e Costanzo li esilia.
Eusebio viene mandato a Scitopoli di Palestina, e di lì scrive ai suoi vercellesi una lettera giunta fino a noi. Poi è trasferito in Cappadocia (Asia Minore) e poi nella Tebaide egiziana. Nel 361, morto l’imperatore Costanzo, si revocano le condanne: Atanasio torna ad Alessandria e indice un concilio, presente anche Eusebio, che poi però non torna subito a Vercelli: lo chiamano ad Antiochia di Siria, dove l’estremismo del vescovo Lucifero fa litigare i cattolici tra di loro. Ritrova infine Vercelli nel 362. Studia, scrive, riprende l’evangelizzazione delle campagne, istituisce la diocesi di Tortona. Ma si spinge anche in Gallia, insediando un vescovo a Embrun. La tradizione lo considera pure fondatore di due illustri santuari: quello di Oropa (Biella) e di Crea (Alessandria). La morte lo coglie nella sua città episcopale, che ne custodisce tuttora le reliquie nel Duomo, ricordandolo anche a fine XX secolo col nome del giornale della diocesi: L’Eusebiano.




Tratto da
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2007/documents/hf_ben-xvi_aud_20071017.html

Cari fratelli e sorelle,
questa mattina vi invito a riflettere su sant’Eusebio di Vercelli, il primo Vescovo dell’Italia settentrionale di cui abbiamo notizie sicure. Nato in Sardegna all’inizio del IV secolo, ancora in tenera età si trasferì a Roma con la sua famiglia. Più tardi venne istituito lettore: entrò così a far parte del clero dell’Urbe, in un tempo in cui la Chiesa era gravemente provata dall’eresia ariana. La grande stima che crebbe attorno a Eusebio spiega la sua elezione nel 345 alla cattedra episcopale di Vercelli. Il nuovo Vescovo iniziò subito un’intensa opera di evangelizzazione in un territorio ancora in gran parte pagano, specialmente nelle zone rurali. Ispirato da sant’Atanasio – che aveva scritto la Vita di sant’Antonio, iniziatore del monachesimo in Oriente –, fondò a Vercelli una comunità sacerdotale, simile a una comunità monastica. Questo cenobio diede al clero dell’Italia settentrionale una significativa impronta di santità apostolica e suscitò figure di Vescovi importanti, come Limenio e Onorato, successori di Eusebio a Vercelli, Gaudenzio a Novara, Esuperanzio a Tortona, Eustasio ad Aosta, Eulogio a Ivrea, Massimo a Torino, tutti venerati dalla Chiesa come Santi.
Solidamente formato nella fede nicena, Eusebio difese con tutte le forze la piena divinità di Gesù Cristo, definito dal Credo di Nicea «della stessa sostanza» del Padre. A tale scopo si alleò con i grandi Padri del IV secolo – soprattutto con sant’Atanasio, l’alfiere dell’ortodossia nicena – contro la politica filoariana dell’imperatore. Per l’imperatore la più semplice fede ariana appariva politicamente più utile come ideologia dell’Impero. Per lui non contava la verità, ma l’opportunità politica: voleva strumentalizzare la religione come legame dell’unità dell’Impero. Ma questi grandi Padri resistettero difendendo la verità contro la dominazione della politica. Per questo motivo Eusebio fu condannato all’esilio come tanti altri Vescovi di Oriente e di Occidente: come lo stesso Atanasio, come Ilario di Poiters – di cui abbiamo parlato la volta scorsa –, come Osio di Cordova. A Scitopoli in Palestina, dove fu confinato fra il 355 e il 360, Eusebio scrisse una pagina stupenda della sua vita. Anche qui fondò un cenobio con un piccolo gruppo di discepoli, e da qui curò la corrispondenza con i suoi fedeli del Piemonte, come dimostra soprattutto la seconda delle tre Lettere eusebiane riconosciute autentiche. Successivamente, dopo il 360, fu esiliato in Cappadocia e nella Tebaide, dove subì gravi maltrattamenti fisici. Nel 361, morto Costanzo II, gli succedette l’imperatore Giuliano, detto l’Apostata, che non si interessava al cristianesimo come religione dell’Impero, ma voleva semplicemente restaurare il paganesimo. Egli mise fine all’esilio di questi Vescovi e consentì così anche ad Eusebio di riprendere possesso della sua sede. Nel 362 fu invitato da Atanasio a partecipare al Concilio di Alessandria, che decise di perdonare i Vescovi ariani purché ritornassero allo stato laicale. Eusebio poté esercitare ancora per una decina d’anni, fino alla morte, il ministero episcopale, realizzando con la sua città un rapporto esemplare, che non mancò di ispirare il servizio pastorale di altri Vescovi dell’Italia settentrionale, dei quali ci occuperemo nelle prossime catechesi, come sant’Ambrogio di Milano e san Massimo di Torino.
Il rapporto tra il Vescovo di Vercelli e la sua città è illuminato soprattutto da due testimonianze epistolari. La prima si trova nella Lettera già citata, che Eusebio scrisse dall’esilio di Scitopoli «ai dilettissimi fratelli e ai presbiteri tanto desiderati, nonché ai santi popoli saldi nella fede di Vercelli, Novara, Ivrea e Tortona» (Ep. seconda). Queste espressioni iniziali, che segnalano la commozione del buon Pastore di fronte al suo gregge, trovano ampio riscontro alla fine della Lettera, nei saluti calorosissimi del padre a tutti e a ciascuno dei suoi figli di Vercelli, con espressioni traboccanti di affetto e di amore. E’ da notare anzitutto il rapporto esplicito che lega il Vescovo alle sanctae plebes non solo di Vercellae/Vercelli – la prima e, per qualche anno ancora, l’unica Diocesi del Piemonte –, ma anche di Novaria/Novara, Eporedia/Ivrea e Dertona/Tortona, cioè di quelle comunità cristiane che, all’interno della stessa Diocesi, avevano raggiunto una certa consistenza e autonomia. Un altro elemento interessante è fornito dal commiato con cui si conclude la Lettera: Eusebio chiede ai suoi figli e alle sue figlie di salutare «anche quelli che sono fuori della Chiesa e che si degnano di nutrire per noi sentimenti d’amore: etiam hos, qui foris sunt et nos dignantur diligere». Segno evidente che il rapporto del Vescovo con la sua città non era limitato alla popolazione cristiana, ma si estendeva anche a coloro che – al di fuori della Chiesa – ne riconoscevano in qualche modo l’autorità spirituale e amavano quest’uomo esemplare.
La seconda testimonianza del singolare rapporto del Vescovo con la sua città proviene dalla Lettera che sant’Ambrogio di Milano scrisse ai Vercellesi intorno al 394, più di vent’anni dopo la morte di Eusebio (Ep. fuori collezione 14). La Chiesa di Vercelli stava attraversando un momento difficile: era divisa e senza Pastore. Con franchezza Ambrogio dichiara di esitare a riconoscere in quei Vercellesi «la discendenza dei santi padri, che approvarono Eusebio non appena l’ebbero visto, senza averlo mai conosciuto prima di allora, dimenticando persino i propri concittadini». Nella stessa Lettera il Vescovo di Milano attesta nel modo più chiaro la sua stima nei confronti di Eusebio: «Un così grande uomo», scrive in modo perentorio, «ben meritò di essere eletto da tutta la Chiesa». L’ammirazione di Ambrogio per Eusebio si fondava soprattutto sul fatto che il Vescovo di Vercelli governava la diocesi con la testimonianza della sua vita: «Con l’austerità del digiuno governava la sua Chiesa». Di fatto anche Ambrogio era affascinato – come egli stesso riconosce – dall’ideale monastico della contemplazione di Dio, che Eusebio aveva perseguito sulle orme del profeta Elia. Per primo – annota Ambrogio – il Vescovo di Vercelli raccolse il proprio clero in vita communis e lo educò all’«osservanza delle regole monastiche, pur vivendo in mezzo alla città». Il Vescovo e il suo clero dovevano condividere i problemi dei concittadini, e lo hanno fatto in modo credibile proprio coltivando al tempo stesso una cittadinanza diversa, quella del cielo (cfr Eb 13,14). E così hanno realmente costruito una vera cittadinanza, una vera solidarietà comune tra i cittadini di Vercelli.
Così Eusebio, mentre faceva sua la causa della sancta plebs di Vercelli, viveva in mezzo alla città come un monaco, aprendo la città verso Dio. Questo tratto, quindi, nulla tolse al suo esemplare dinamismo pastorale. Sembra fra l’altro che egli abbia istituito a Vercelli le pievi per un servizio ecclesiale ordinato e stabile, e che abbia promosso i Santuari mariani per la conversione delle popolazioni rurali pagane. Piuttosto, questo «tratto monastico" conferiva una dimensione peculiare al rapporto del Vescovo con la sua città. Come già gli Apostoli, per i quali Gesù pregava nella sua Ultima Cena, i Pastori e i fedeli della Chiesa «sono nel mondo» (Gv 17,11), ma non sono «del mondo». Perciò i Pastori – ricordava Eusebio – devono esortare i fedeli a non considerare le città del mondo come la loro dimora stabile, ma a cercare la Città futura, la definitiva Gerusalemme del cielo. Questa «riserva escatologica» consente ai Pastori e ai fedeli di salvare la scala giusta dei valori, senza mai piegarsi alle mode del momento e alle pretese ingiuste del potere politico in carica. La scala autentica dei valori – sembra dire la vita intera di Eusebio – non viene dagli imperatori di ieri e di oggi, ma viene da Gesù Cristo, l’Uomo perfetto, uguale al Padre nella divinità, eppure uomo come noi. Riferendosi a questa scala di valori, Eusebio non si stanca di «raccomandare caldamente» ai suoi fedeli di «custodire con ogni cura la fede, di mantenere la concordia, di essere assidui nell’orazione» (Ep. seconda).

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La figura e l'opera di Eusebio di Vercelli


15 Dicembre
memoria dell’ordinazione episcopale di Santo Eusebio come vescovo di Vercelli  nel 345
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=4168:15-12-memoria-dell-ordinazione-episcopale-di-santo-eusebio-come-vescovo-di-vercelli-nel-345&catid=194:dicembre&lang=it

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Sant'Eusebio, vescovo di Vercelli (283-371 d.C.)

http://santiortodossi.blogspot.com/2011/10/santeusebio-vescovo-di-vercelli-283-371.html

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