martedì 7 agosto 2018

7 agosto santi italici ed italo greci


Santo Fausto(in alcuni codici Faustino) martire a Milano

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/65400
Il Martirologio Geronimiano al 7 agosto ha il seguente testo corrotto, di non facile interpretazione: "...Ausenti (et Carpefori) Mediolano Faustini...". Adone ed Usuardo nei loro Martirologi hanno fatto di Faustino un martire sotto l'imperatore Commodo (180-192).
Dai martirologi sopra ricordati, Faustino passò nel Liber notitiae sanctorum Mediolani, della fine del sec. XIII, con il nome di Fausto. Il suo martirio sarebbe avvenuto nel 188, nel quinto anno del pontificato di papa Eleuterio e nel secondo anno dell'episcopato del vescovo milanese s. Mona. Egli sarebbe stato figlio di quel Filippo, ricco signore di Milano, che fu uno dei primi e più grandi benefattori della primitiva comunità cristiana milanese ai tempi del vescovo s. Caio e sarebbe stato anche il fondatore di una delle più antiche chiese di Milano: la basilica Fausta. Dal Liber notitiae sanctorum Mediolani la notizia è poi passata nel Martirologio Romano. I libri liturgici milanesi, tuttavia, hanno sempre ignorato questo santo: la qual cosa era già stata rilevata dallo stesso autore del Liber notitiae sanctorum Med iolani.
Il corpo di Fausto sarebbe stato donato, insieme con la chiesa di S. Apollinare, alle Clarisse stabilitesi a Milano, dall'arcivescovo Enrico da Settala, nell'anno 1224 per intervento del card. Ugolino da Ostia. Tuttavia documenti milanesi posteriori dichiarano di non conoscere il luogo in cui si trova il corpo del santo.

Santi Martiri Fedele, Exanto, e Carpoforo
Passione dei santi Fedele, Exanto, e Carpoforo
Acta Sanctorum Oct. XII, 563-564 [BHL 2922]
Tratto  da
http://www.oodegr.com/tradizione/tradizione_index/vitesanti/fedeleexantocarp.htm
1. Al tempo in cui era residente a Milano il sacrilego imperatore Massimiano[1], questi ordinò di far rientrare un’armata di soldati dai combattimenti con i Galli nella provincia [d’Italia]. Allora san Fedele[2], insieme con i suoi compagni soldati Exanto e Carpoforo, che, sebbene impegnati nel servizio militare[3] terreno fin dalla più tenera età, stavano distinguendosi nel servizio della reggia celeste, andavano insieme in concordia e viaggiavano verso il territorio di Como. E quando furono arrivati al luogo chiamato Sylvula[4] non lontano dalla città di Como, più o meno circa un miglio, Carpoforo ed Exanto si fermarono lì e si nascosero nella stessa Sylvula. Invece san Fedele continuò la strada per il Lago di Como. E trovando lì una barca, si imbarcò, e attraversò il lago.
2. Quando Massimiano ebbe sentito che Carpoforo, Fedele ed Exanto erano cristiani, e che erano scappati via in fuga, ordinò ai suoi più affidabili soldati di inseguirli. Egli li incaricò di ucciderli con vari mezzi, quando fossero stati in grado di trovarli. Quindi quelli all’inseguimento, affrettandosi con tutta rapidità, raggiunsero Sylvula dove Carpoforo ed Exanto erano nascosti, perché Cristo, il Signore aveva deciso di consacrarli come martiri lì. E quando essi furono lì trovati, i persecutori li decapitarono e li uccisero[5].  
3. Il gruppo all’inseguimento, poi, raggiunto il territorio di Como e trovando una imbarcazione, incalzava da presso san Fedele. E quando raggiunsero il villaggio di Samolaco[6], trovarono san Fedele, e lo affrontarono, dicendo: “O sacrifichi agli dei e ritorni dall’imperatore con noi, o sarai messo a morte con vari supplizi”. San Fedele rispose loro: “Questo è il luogo in cui Cristo mi ha ordinato di riposare. Io non ho paura di tutte queste pene che intendete infliggermi, poiché ho servito Cristo Signore devotamente, sin dalla mia infanzia[7]. Anche quando sono stato impegnato nel servizio militare terreno, non ho servito un impero terreno, ma sono rimasto obbediente al mio Re celeste. Ed ho fatto questo, al fine di richiamare i pagani che servono gli idoli dal loro errore alla via della verità”.
4. I suoi inseguitori allora sbraitando, lo batterono coi randelli e gli dissero: “Se non sacrificherai agli dèi oggi stesso e non rinuncerai alla superstizione[8] che pratichi, sarai messo a morte con vari supplizi”. Ma san Fedele rispose loro, dicendo: “Se crederete in Cristo Gesù, mio Signore, non solo non soffrirete queste pene con cui minacciate me, ma addirittura raggiungerete con me la gloria eterna”.
5. Allora, rimasto scosso, uno dei persecutori disse agli altri suoi compagni: “Che cosa dobbiamo fare? Se lasciamo andare il nostro commilitone, subiremo la stessa condanna dall’imperatore, e se lo uccidiamo, saremo colpevoli del nostro fratello di sangue”. E dopo questo, l’uomo che aveva parlato si trasse fuori di nascosto e fece una fossa per nascondere il corpo di san Fedele. E, tornato nuovamente da san Fedele, si dispiacque per lui, e gli disse: “Fratello Fedele, preoccupati per la tua vita e sacrifica agli dèi così non diverremo colpevoli del tuo sangue”. Ma san Fedele rispose: “Se volessi essere d’accordo con me, e la tua scelta fosse vera, crederesti in Cristo Gesù, mio Signore, e sceglieresti di morire per il nome di Cristo, dal momento che questa è la scelta che conduce alla vita eterna. Ma non mi persuaderai ad abbandonare colui che ho sempre servito devotamente”.
6. E quando ebbe detto questo, i persecutori gli inflissero dure pene. Ma san Fedele costantemente dichiarò, “Le pene che infliggete non mi fanno soffrire, ma mi rinvigoriscono”. Gli assassini poi legato san Fedele, lo portarono in un luogo chiamato Turriculus dove c’era un albero di pino cresciuto in prossimità di un villaggio di marinai, e lì gli tagliarono la testa. E non appena fu decapitato, scoppiò una bufera e un grande lampo di luce di modo che i persecutori stessi poterono pure riconoscere ora, che il Cristo Dio aveva preso l’anima del suo martire
7. Dopo questi fatti, affinché la potenza di Dio potesse essere più pienamente rivelata, uno dei persecutori fu posseduto da uno spirito immondo e cominciò a gridare, “San Fedele, liberami e quando sarò liberato seppellirò il tuo corpo con grande rispetto[9]”. E mentre gridava questo al corpo del beato martire, lo toccò, e fu liberato dal demonio non appena lo fece. 
8. E quando i persecutori ebbero visto ciò, si rifugiarono in una barca con timore e tremore. E arrembando la barca, tornarono in tutta fretta dal loro duce Massimiano. E quando riferirono ciò che avevano visto, il sacrilego Massimiano imperatore ordinò loro di non rivelare a nessuno le meraviglie che Dio aveva rivelato attraverso il suo più fedele martire.
9. San Fedele fu decapitato sotto l’imperatore Massimiano il quinto giorno prima delle kalende di Novembre[10], durante il regno di nostro Signore Gesù Cristo, a cui si deve l’onore e la gloria sempre e nei secoli. Amen.



[1] Nel luglio del 285 Diocleziano dichiarava Milano nuova capitale d’occidente, e proclamava Massimiano co-imperatore. Diocleziano, infatti, necessitava di un valido aiuto militare per fronteggiare i vari conflitti che erano scoppiati nell’impero. Massimiano assunse subito il controllo della parte occidentale dell’impero e si recò in Gallia a combattere i ribelli Bagaudi. Entro la fine dell’anno, la rivolta era stata quasi del tutto sedata, e Massimiano spostò il grosso delle sue truppe sulla frontiera del Reno.
[2] Secondo altre passioni san Fedele era un alto funzionario di servizio a Milano, convertito a Cristo dal presbitero Materno. A Milano diede aiuto a sant’Alessandro, un soldato che aveva disertato per non abiurare la fede, facendolo fuggire verso Como, dove sarebbe stato catturato e riportato indietro a Milano, da cui sarebbe fuggito una seconda volta, per subire infine il martirio nella città di Bergamo. In seguito, san Fedele, fu inviato da Materno, divenuto vescovo di Milano, come evangelizzatore presso il municipium di Como, dove subì il martirio. Vista la scarsezza di elementi storicamente certi e la confusione scaturita dall’incrocio tra le narrazioni su santi diversi, l’unico dato certo resta la testimonianza che san Fedele rese a Cristo con il proprio sangue sulle rive del lago Lario, dove è celebrato, ininterrottamente da secoli ed ancora oggi, quale protomartire ed evangelizzatore della Chiesa di Como.
[3] Il 23 febbraio del 303 Diocleziano diede inizio all’ultima delle persecuzioni dell’impero contro i cristiani, la più cruenta, tanto da prendere nome di Grande persecuzione, che ebbe tra i principali obiettivi anche lo sradicamento dei cristiani dall’esercito, dove la loro presenza era ormai numerosa e spesso ritenuta causa di tensione per il rifiuto dei cristiani a partecipare alle cerimonie pagane insieme agli altri soldati.
[4] La zona era interamente ricoperta di boschi, nel medioevo vi sorse il borgo di Camerlata.
[5] Insieme a loro, associati nel martirio, la tradizione ricorda anche Cassio, Severo, Secondo e Licinio; tutti insieme resero testimonianza a Cristo, la loro memoria è celebrata il 7 agosto. Le reliquie dei santi, in origine a San Martino alla Selvetta, furono traslate nella basilica romanica di San Carpoforo, prima cattedrale di Como.
[6] Summolacunaus.
[7] Cfr. Psalmo 70, 5; Ecclesiaste 12, 1.
[8] Superstitio, era l’opinione comune che i pagani avevano della fede cristiana. Plinio il giovane in una lettera a Traiano l’aveva definita nihil aliud quam superstitionem, null’altro che superstizione. Allo stesso modo si espressero Tacito e Svetonio, per i quali i cristiani erano solo i diffusori di una “superstitio nova ac malefica”, una superstizione nuova e malefica.
[9] Stando al racconto dopo il martirio il corpo del santo fu sepolto presso lo stesso luogo, a Samolaco. Altre fonti invece riferiscono che il suo sepolcro si trovava all’altra estremità del lago. Ennodio (†521), narrando la vita di Sant’Antonio di Lérins, ricorda che il suo primo rifugio fu ad sepulchrum beati martiris Fidelis, nel punto in cui “il Lario depone la minaccia dei suoi bianchi arieti, quando la terra gli oppone il duro freno delle rive”. La descrizione corrisponde all’antico punto terminale settentrionale del Lago di Como. Lì, nel 964, in seguito al sogno di una donna venne dissepolto un antico sacello, che conservava le reliquie del santo. Il sacello venne sostituito con l’ancora esistente Oratorio di San Fedele (detto comunemente san Fedelino) sull’ultimo lembo costiero nord del comune di Sorico. Le reliquie vennero trasportate a Como dal vescovo e custodite nella Chiesa di Santa Eufemia oggi a lui dedicata. Nel 1572, il vescovo di Milano Carlo Borromeo pretese (ed ottenne) la traslazione solenne delle reliquie (o presumibilmente solo di una buona parte di esse) a Milano, nella nuova chiesa di San Fedele, nella omonima piazza della metropoli lombarda (cfr. Wikipedia). Reliquie di san Fedele, san Carpoforo e degli altri martiri si trovano oltre che a Como e Milano anche nella città di Arona e a Palazzolo sull’Oglio, dove san Fedele è il festeggiato patrono, ma il 14 maggio.
[10] 28 ottobre.
 Filippino lippi, san donato.JPG

Santo Donato  vescovo di Arezzo

Tratto dal quotidiano Avvenire

Nato a Nicomedia, studia da chierico a Roma. Suo compagno di formazione è Giuliano, ma mentre questi diventa suddiacono della Chiesa di Roma, Donato rimane semplice lettore. Tuttavia divenuto imperatore, Giuliano (l'Apostata) promulga una violenta persecuzione contro la Chiesa. Donato fugge ad Arezzo accolto dal monaco Ilariano a cui si affianca nell'apostolato, penitenza e preghiera; con lui opera tra il popolo prodigi e conversioni. La sua «passio» racconta di miracoli eclatanti: fra i tanti, durante la celebrazione di una Messa, al momento della Comunione, entra nel tempio un gruppo di pagani che mandano in frantumi il calice. Donato, dopo intensa preghiera, raccoglie i frammenti e li riunisce, ma manca un pezzo del fondo del calice. Il vescovo continua a servire il vino senza che esso cada dal fondo mancante; fra lo stupore generale ben 79 pagani si convertono. Un mese dopo Donato è arrestato e, sotto la persecuzione di Giuliano l'Apostata, viene decapitato ad Arezzo il 7 agosto.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/33900
Della vita del santo si ha conoscenza da un’antica ‘Passio’ scritta secondo la tradizione da Severino vescovo, suo secondo successore sulla cattedra vescovile di Arezzo. Bisogna dire che l’intera ‘passio’ porta in sé notizie certe ma anche altre che nel tempo sono state confutate dagli stessi agiografi, perché non rispondenti alle date storiche abbinate a certuni personaggi che vi compaiono; la stessa qualifica di martire è posta in incertezza perché in tanti antichi documenti egli è menzionato come “episcopi et confessoris”, tenendo conto che già a partire dal IV secolo il termine “confessore” assumeva per i santi il significato attuale che non è di martire.
Donato sarebbe morto martire, secondo la tradizione, il 7 agosto 362 sotto Giuliano l’Apostata.
Nato a Nicomedia, ancora fanciullo venne a Roma con la famiglia, qui fu educato da Pimenio prete e fatto chierico; suo compagno di studi e di formazione religiosa era Giuliano, ma mentre costui giunse a diventare suddiacono della Chiesa di Roma, Donato rimase semplice lettore.
S. Pier Damiani nei suoi Sermoni così commenta: “ Ecco che nel campo del Signore crescono assieme due virgulti, Donato e Giuliano, ma uno di essi diverrà cedro del Paradiso, l’altro carbone per le fiamme eterne”.
Infatti divenuto imperatore ed apostata, Giuliano promulgò una nuova persecuzione contro la Chiesa, prima con l’interdizione ai cristiani dell’insegnamento nelle scuole, cariche pubbliche e carriera militare e poi nell’autunno del 362 anche con la violenza nei loro confronti.
Nella città di Roma, furono vittime fra gli altri i suoi devoti genitori ed il prete Pimenio, allora Donato fugge ad Arezzo accolto dal monaco Ilariano a cui si affianca nell’apostolato, penitenza e preghiera; con lui opera tra il popolo prodigi e conversioni.
La ‘passio’ racconta di miracoli eclatanti, fra i tanti, fa risuscitare una donna di nome Eufrosina che aveva in custodia una ingente somma di denaro, ma che con la sua improvvisa morte non si trovava più; fa vedere di nuovo ad una povera cieca a cui dona anche la luce della fede, di nome Siriana; libera dal demonio il figlio del prefetto di Arezzo, Asterio.
Viene poi ordinato diacono e sacerdote dal vescovo Satiro e prosegue così la sua opera con predicazioni in città e nelle circostanti campagne. Alla morte del vescovo, viene scelto a succedergli e quindi ordinato vescovo dal papa Giulio I, prosegue la sua opera con rinnovato zelo e altri prodigi lo confortano e gli danno popolarità.
Durante la celebrazione della Messa, al momento della Comunione ai fedeli nelle due specie, mentre egli distribuisce il pane e il suo diacono Antimo distribuisce con un calice di vetro il vino, entrano nel tempio i pagani che con violenza mandano in frantumi il calice fra la costernazione dei fedeli. Donato allora, dopo intensa preghiera, raccoglie i frammenti e li riunisce, ma manca un pezzo del fondo del calice, egli noncurante continua a servire il vino senza che esso cada dal fondo mancante; fra lo stupore generale provocato dal miracolo ben 79 pagani si convertono.
Ma un mese dopo l’episodio, il prefetto di Arezzo, Quadraziano, fa arrestare sia Ilariano che Donato, i quali vittime della nuova persecuzione indetta da Giuliano l’Apostata, vengono uccisi, Ilariano monaco ad Ostia il 16 luglio e Donato vescovo decapitato ad Arezzo il 7 agosto.
Donato è rappresentato nell’arte in vesti vescovili e i suoi attributi sono il calice di vetro riferendosi al miracolo suddetto e il drago da lui combattuto vittoriosamente.
Protettore di Arezzo, è celebratissimo in città, il suo busto si trova in un grosso d’argento della Repubblica Aretina del sec. XIII custodito al Museo Nazionale di Napoli; nella cattedrale di Arezzo vi è la ricca arca marmorea del suo corpo con decine di formelle a cui hanno lavorato artisti insigni, narranti la vita e i suoi miracoli.

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