venerdì 24 agosto 2018

25 agosto Santi Italici ed Italo greci


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Santi EUSEBIO, PONZIANO, VINCENZO e PELLEGRINO, martiri a ROMA.


Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91784

La loro passio, pervenutaci in varie redazioni, racconta che vissero al tempo dell’imperatore Commodo (180-92). Per seguire i consigli evangelici distribuirono ai poveri i loro averi. Quando l’imperatore ordinò un pubblico atto di culto in onore di Giove ed Ercole, essi non solo rifiutarono, ma anche intensificarono la loro propaganda cristiana. Convertirono al Cristianesimo anche il senatore Giulio, che pure si affrettò a distribuire le sue ricchezze ai poveri: il giudice Vitellio lo condannò ad essere ucciso a vergate. Eusebio e i suoi compagni ne seppellirono il corpo con onore.
Vitellio li fece arrestare e li sottopose ai supplizi del cavalletto, dello stiramento dei piedi, della bastonatura e del fuoco ai fianchi. Un angelo scese a medicare le loro orrende ferite. Lo vide Antonio (o Antonino), uno dei carnefici; si converti e poco dopo suggellò col sangue la sua fede recente. Eusebio ebbe la lingua strappata dalle radici, eppure continuò a parlare e, messo di nuovo in carcere insieme coi compagni, continuò la predicazione e i miracoli, cosi che si convertì il sacerdote pagano Lupolo e, seguendo il suo esempio, lo stesso carceriere. Vitellio, allora, ricevuti ordini dall’imperatore, comandò fossero uccisi dai colpi di una sferza munita di pallottole di piombo. Era il 25 agosto. Il prete Rufino ne raccolse i corpi e li seppelli in una cripta tra la via Aurelia e quella Trionfale, al sesto miglio da Roma.
Già il Tillemont aveva messo in dubbio il valore storico di questo racconto; lo difese invece il bollandista Stilting negli Acta Sanctorum Augusti mentre i recenti Bollandisti nel Commento al Martirologio Romano, giudicano fittizia la passio, ma accettano quel che dice a proposito della data e del luogo di deposizione dei quattro martiri. Fu Adone ad introdurre questi nomi nel suo Martirologio riassumendo il racconto della passio. Il suo elogio, compendiato da Usuardo, passò tale e quale nel Martirologio Romano, al 25 agosto.
Una lapide della basilica di S. Lorenzo in Lucina ricorda che, in occasione della consacrazione di quella basilica da parte del papa Celestino III, il 26 maggio 1196, furono poste nell’altare maggiore, insieme con molte altre, anche le reliquie “Pontiani, Eusebi, Vincenti et Peregrini”. Invece Adone, nella seconda edizione del suo Martirologio, aggiunse all’elogio dei quattro martiri, la notizia che nell’865 “largitione pape Nicolai membra” (reliquie?) dei santi Eusebio e Ponziano vennero portate a Vézelay e a Pothières “in monasteriis sancto apostolo Petro voto religioso collatis”, ove erano venerate. Della traslazione resta un’ampia relazione. Anche la città di Lucca si vanta di possedere nella chiesa monasteriale di S. Ponziano il corpo del martire romano titolare e ne celebra la festa il 25 agosto. Vi sarebbe stato portato nel sec. X: probabilmente anche qui si tratta soltanto di reliquie.



Tratto
Da http://www.enrosadira.it/santi/e/eusebio-ponziano-vincenzo-pellegrino.htm
Eusebio, Ponziano, Vincenzo e Pellegrino , santi, martiri a Roma, furono sepolti dal prete Rufino in una cripta tra la via Aurelia e quella Trionfale, al sesto miglio da Roma. Rinvenuti il 15 ottobre del 1112 dal presbitero Benedetto sotto un altare di una chiesa dedicata a S. Stefano, in località detta Acqua Traversa, furono traslati a S. Lorenzo in Lucina e qui ritrovati nel 1605. Reliquie di Vincenzo vengono indicate da P. Lugano (1960) a S. Stefano Rotondo al Celio. Quelle di Eusebio e Ponziano si vogliono anche, dal 865, a Vezelay e a Pothiers. Lucca vanta il possesso del corpo di Ponziano nella chiesa a lui intitolata, ma con probabilità si venera solamente una parte di esso.


Martirologio .Romano .: 25 agosto - A Roma i santi martiri Eusebio, Ponziano, Vincenzo e Pellegrino, i quali, sotto l'Imperatore Commodo, furono prima stesi sull'eculeo e stirati con nervi, e quindi percossi con bastoni e bruciati ai fianchi; e, poichè perseveravano fedelissimamente nella confessione di Cristo, furono battuti con flagelli piombati finchè spiraron


San Genesio di Roma Martire

Tratto
http://www.santiebeati.it/dettaglio/67650
Quando l'imperatore Diocleziano venne a Roma, fu accolto con la più grande magnificenza. Fra le feste, si diedero pure delle rappresentazioni teatrali, in sua presenza. Uno dei comici principali, Genesio, volle mettere in burla le cerimonie del Battesimo dei Cristiani. Era sicuro di far ridere gli spettatori.
Postosi dunque a letto sul palcoscenico si finse ammalato e si cominciò questo dialogo.
– Ah, miei amici, io sento sopra di me un grave peso, e vorrei ben essere liberato!
– Che faremo per toglierti questo peso?
– Quanto siete mai privi di intendimento! Io sono risoluto di morire cristiano affinché Iddio mi riceva nel suo regno, come quelli che, per assicurare la loro salvezza, hanno rinunziato all'idolatria e alla superstizione.
Allora si chiamarono due attori, uno dei quali rappresentava il prete e l'altro l'esorcista. Venuti al capezzale dell'ammalato gli dissero:
– Perché, figlio, ci fai qui venire?
– Perché desidero ricevere la grazia di Gesù Cristo, e di essere rigenerato, onde potermi liberare dai miei peccati.
Genesio venne allora battezzato e rivestito di una veste bianca come solevano fare i Cristiani: e ciò gli attori lo facevano sempre per burla. Intanto continuando la scena, sopravvennero altri attori vestiti da soldati, i quali si impadronirono di Genesio e lo presentarono all'imperatore per essere interrogato nella stessa maniera con cui s'interrogavano i Cristiani. Fin qui si era creduto che fosse una farsa come era stato nell'intenzione di tutti, ma ben presto imperatore, attori e spettatori conobbero che per Genesio non era più una commedia.
Difatti il comico, rivoltosi improvvisamente al popolo che rideva gustosamente, e con tutta naturalezza e serietà disse:
– Signori e voi tutti che siete qui presenti, ascoltate ciò ch'io sto per dire. Io non ho mai udito pronunziare il nome cristiano senza inorridire e detestare anche quei miei parenti che professavano questa religione. Mi sono istruito nei misteri e nei riti del Cristianesimo unicamente per dileggiarli e per farli disprezzare dagli altri; ma in questo istante tosto che l'acqua ebbe lavato il mio capo ed ebbi risposto ch'io credeva a tutte quelle cose su cui venivo interrogato, ho veduto sopra il mio capo una schiera di Angeli splendenti di luce che leggevano in un libro tutti i peccati da me commessi fin dalla fanciullezza; indi immerso questo libro nell'acqua in cui io ero pure immerso, me lo mostrarono più bianco della neve e senza alcuna traccia di scrittura. Voi dunque, o possente imperatore, voi dunque, o romani che mi ascoltate, voi tutti che vi beffavate con me dei misteri del Cristianesimo, credetemi: Gesù Cristo è il vero Dio, che è la luce e la verità, e che da lui solo potete ottenere il perdono dei vostri peccati.
Udendo queste parole, tutti gli spettatori trasecolarono. Diocleziano, credendosi burlato, lo fece flagellare e lo consegnò al prefetto Plauziano.
Genesio disteso sul cavalletto ebbe rotte le costole e da ultimo fu decapitato. In queste sofferenze il martire andava ripetendo: “Non vi è altro Dio all'infuori di quello che io ebbi la fortuna di conoscere. Io non adoro né servo altro che a lui: a lui solo starò sempre unito, dovessi anche soffrire mille morti”.

Martirologio Romano (antico), 25 agosto: A Roma san Genesio Martire, il quale, essendo prima pagano e commediante, mentre nel teatro, alla presenza dell'Imperatore Diocleziano, metteva in burla i misteri dei Cristiani, improvvisamente, ispirato da Dio, si convertì alla fede e fu battezzato. Poco dopo, per ordine dell'Imperatore, fu percosso crudelissimamente con bastoni, quindi sospeso sull'eculeo, con uncini fu lacerato per lunghissimo tempo e anche abbruciato con fiaccole. Finalmente, perseverando nella fede cristiana, dicendo: "Non vi è altro Re che Cristo, per il quale se mille volte io fossi ucciso, voi non me lo potreste mai togliere nè dalla bocca, nè dal cuore", colla decapitazione meritò la palma del martirio.


Santa Patrizia di Costantinopoli asceta a Napoli

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90253
Le fonti sulla vita di santa Patrizia sono perlopiù scarse e leggendarie. La versione più comune è che Patrizia, discendente dell’imperatore Costantino, fuggì da Costantinopoli per evitare un matrimonio imposto. Dopo aver deciso di andare in pellegrinaggio in Terra Santa, 90253fece naufragio presso l’isoletta di Megaride, oggi Castel dell’Ovo a Napoli, dove morì poco tempo dopo. Il suo corpo venne custodito presso il monastero dei SS. Nicandro e Marciano fino al 1864, quando fu traslato nella chiesa annessa al monastero di San Gregorio Armeno, nell’omonima via napoletana. Inserita dal 1625 tra i compatroni di Napoli, è molto amata dalla popolazione della città, che la venera tradizionalmente al martedì, oltre che nel giorno della sua festa.


Le fonti sulla vita di santa Patrizia sono perlopiù scarse e leggendarie. La versione più comune è che fosse una discendente del grande imperatore Costantino, nata a Costantinopoli. Educata a corte dalla nutrice Aglaia, emise i voti di verginità in giovane età e, per rimanere fedele a quel proposito, fuggì dalla città perché l’imperatore Costante II (668-685) suo congiunto le aveva imposto il matrimonio.
Arrivò a Roma insieme ad Aglaia e altre ancelle e, recatasi da papa Liberio, ricevette il velo verginale. Morto il padre, Patrizia ritornò a Costantinopoli: rinunciò a ogni pretesa sulla corona imperiale, distribuì i suoi beni ai poveri e andò in pellegrinaggio verso la Terra Santa. Ma una terribile tempesta la fece naufragare sulle coste di Napoli, precisamente sull’isoletta di Megaride (oggi Castel dell’Ovo). Nel piccolo eremo che vi sorgeva, morì dopo una brevissima malattia.
I funerali, per celeste rivelazione alla nutrice Aglaia, si tennero in modo solenne, con la partecipazione del vescovo, del duca della città e di tanta gente. Il carro col suo corpo, tirato da due torelli senza guida, si arrestò davanti al monastero di Caponapoli dei padri Basiliani, dedicato ai SS. Nicandro e Marciano: in quel luogo, Patrizia aveva profetizzato tempo addietro che sarebbe stata sepolta. I resti rimasero là, insieme alle compagne che l’avevano seguita e che da lei si chiamarono Patriziane o Suore di Santa Patrizia.
Il monastero, trasferiti i monaci  in quello di San Sebastiano, fu tenuto dalle suore e sotto la regola benedettina ebbe secoli di vita gloriosa. A causa degli eventi storici e politici, nel 1864 le spoglie furono traslate nel monastero di San Gregorio Armeno: rivestite di cera, sono contenute in un’urna pregiata d’oro e d’argento ornata di gemme, posta alla venerazione dei fedeli in una cappella della navata destra della monumentale chiesa del monastero. Il suo culto è portato avanti dalle Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia, venute a risiedere nel monastero dopo l’estinzione delle Patriziane.
La popolazione è sempre accorsa numerosa a venerarla, assistendo stupefatta ai prodigi della liquefazione del sangue e a quello della manna. La manna fu vista trasudare dal sepolcro, come nel caso di altri santi: in particolare, una grande effusione si ebbe il 13 settembre di un anno fra il 1198 e il 1214. Il sangue, invece, sarebbe uscito miracolosamente da un alveolo di un dente che un cavaliere romano, per devozione esagerata, aveva strappato al corpo della santa, morta da qualche secolo.
Dente e sangue sono conservati in un reliquiario di notevole pregio. Nei vari secoli lo scioglimento del sangue è avvenuto con modalità e tempi diversi. Attualmente, dopo le preghiere, si scioglie lungo le pareti dell’ampolla. Questo miracolo è meno conosciuto dell’altra liquefazione che pure avviene a Napoli, cioè quella di san Gennaro, patrono principale della città.
Santa Patrizia è dal 1625 una dei 51 compatroni di Napoli. La sua festa cade il 25 agosto, mentre il martedì è il giorno della settimana che devozionalmente le è collegato.


Tratto da
http://www.vesuviolive.it/vesuvio-e-dintorni/notizie-di-napoli/107303-santa-patrizia-patrona-napoli-san-gennaro-compie-miracolo/
Santa Patrizia di Costantinopoli è la compatrona di Napoli che viene festeggiata ogni 25 agosto. L’esistenza della Santa, nipote di Costantino il Grande, fu breve. Ella nacque a Costantinopoli nel 350 d.C. e fin da giovane fece voto di verginità. Purtroppo la sua famiglia le impose il matrimonio, ma per non infrangere il suo voto Patrizia, accompagnata dalla sua nutrice Aglaia, fuggì a Roma dove Papa Liberio la diede ufficialmente in sposa a Cristo.
Quando morì il padre la giovane fece ritorno in patria, e decise di donare ogni bene ai poveri rinunciando così alle ricchezze imperiali. Patrizia decise poi di partire per la Terra Santa, ma durante il viaggio si scatenò una tempesta tanto violenta che la nave su cui viaggiava fu costretta a trovare rifugio a Napoli. La giovane trovò ospitalità presso il Monastero dei Monaci Basiliani, tuttavia morì dopo qualche mese a seguito di una malattia.
Per volontà di Patrizia il suo corpo venne sepolto nel Monastero di San Nicandro e Marciano dove Aglaia e altre donne che la seguirono anche dopo la morte divennero Patriziane o Suore di Santa Patrizia.
Patrizia venne successivamente proclamata Santa e la chiesa situata in vico Armanni venne ben presto riconosciuta dal popolo come la chiesa di Santa Patrizia. Nel 1864 il convento delle Patriziane venne chiuso e le monache, i resti della Santa e il sangue sacro vennero trasferiti nel monastero di San Gregorio Armeno, dove tutt’oggi le Suore Crocifisse adoratrici dell’eucarestia custodiscono un’urna d’oro e d’argento ornata di preziose gemme, che conserva le spoglie rivestite in cera di Santa Patrizia.
Una leggenda narra che un cavaliere romano per devozione strappò un molare alla Santa morta da qualche secolo che sanguinò come se fosse ancora in vita. Quel sangue venne conservato in due ampolle ed ogni 25 agosto, così come ogni martedì, proprio come quello di San Gennaro anche per il sangue di Santa Patrizia dal secolo XVII avviene il prodigio della liquefazione.

Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/p/patriziadicostantinopoli.htm
Santa Patrizia è una discendente dell'imperatore Costantino. Nacque a Costantinopoli e fu educata a corte dalla nutrice Aglaia.
In giovane età, emise i voti di verginità e per poterli mantenere dovette fuggire dalla città, in quanto l’imperatore Costante II (668-685) suo congiunto le voleva imporre il matrimonio.
Insieme a Agliaia e altre ancelle giunse a Roma, dove ricevette da papa Liberio il velo verginale.
Patrizia ritornò poi a Costantinopoli, rinunciando ad ogni pretesa sulla corona imperiale. Distribuì i suoi beni ai poveri e partì in pellegrinaggio verso la Terra Santa.
Una terribile tempesta la fece però naufragare sulle coste di Napoli e più precisamente sull’isoletta di Megaride (Castel dell’Ovo), dove dopo brevissima malattia muore.
La nutrice Aglaia fece fare i funerali in forma solenne e vi parteciparono il vescovo, il duca di Napoli e molte persone.
Il carro tirato da due torelli senza guida si arrestò davanti al monastero di Caponapoli dedicato ai ss. Nicandro e Marciano e retto dai Padri basiliani.
Qui Patrizia fece tappa nel precedente viaggio a Roma e lo indicò come il luogo dove avverrà la sua sepoltura.
E così avvenne e rimasero le sue consorelle che l’avevano seguita e che da lei si chiameranno Patriziane o Suore di Santa Patrizia.
Trasferitosi i monaci basiliani nel monastero di san Sebastiano, qeullo di Caponapoli rimase alle suore, sotto la regola benedettina.
Nel 1864 le spoglie di Santa Patrizia furono traslate nel monastero di san Gregorio Armeno, rivestite di cera, sono conservate in un'urna d'oro e d'argento ornata di gemme, nella cappella laterale della monumentale chiesa del monastero.
S. Patrizia è compatrona di Napoli ed è nota anche per il prodigio della liquefazione del sangue e della manna.
La manna fu vista trasudare dal sepolcro il 13 settembre di un anno non ben precisato tra il 1198 e il 1214.
Il sangue invece sarebbe uscito miracolosamente da un alveolo di un dente strappato da un cavaliere romano in um momento di devozione esagerata.
Dente e sangue sono conservati in un reliquiario. Nei vari secoli lo scioglimento del sangue è avvenuto con modalità e tempi diversi. Attualmente, dopo le preghiere si scioglie lungo le pareti dell’ampolla.


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