Santo Magno vescovo di Anagni e martire durante la
persecuzione di Decio-AA
Fabreteria Vetere, nel Lazio, avvenne il martirio del vescovo San Magno,
patrono della città di Anagni, la cui chiesa cattedrale ne ospita le reliquie.
Il santo è inoltre venerato a Colle San Magno, sempre in provincia di
Frosinone, di cui pure è il santo patrono. La tradizione vuole che San Magno
battezzò Santa Secondina, anch’ella martire ad Anagni.
TRATTO da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/93374
San
Magno, figlio di un certo Apollonio, nacque a Trani verso la fone del II
secolo. Sin da piccolo, per aiutare la famiglia, si dedicò alla pastorizia e,
consigliato dal padre, comprò un piccolo gregge e devolvette il ricavato
prevalentemente ai poveri. Ricevette il battesimo dal vescovo Redento insieme
con suo padre.
Alla morte di Redento, Magno fu chiamato dal popolo e dal clero a succedergli, rivelandosi ardente di carità e zelo. Si impegnò nella diffusione del Vangelo prima nell’agro di Fondi, poi ad Aquino, città ducale, ed infina presso Anagni. In questa città battezzò una giovane di nome Secondina, che anch’ella come lui sarebbe poi morta martire.
Sfuggito alle ire di un certo Tarquinio, Magno si recò a Roma, ma quando era ormai di ritorno fu scovato da alcuni soldati a pregare in una grotta a Fondi. Chiese loro di non ucciderlo subito e così avvenne, ma dopo aver atteso invano e trovatolo morto, lo decapitarono presso Fabreteria, nel Lazio.
Curiosa è la storia delle reliquie del santo, che intorno al IX secolo furono traslate a Veroli da un certo Platone. Muca, sovrano saraceno, profanò il luogo gel sepolcro trasformandolo in una stalla. Trovati in seguito i cavalli morti, restò impaurito e gettò fuori le spoglie del santo, invitando gli anagnini ad acquistarlo a prezzo d’oro. Questi accettarono ed alla presenza del vescovo Zaccaria avvenne la traslazione nella cattedrale di Anagni con grande concorso di popolo.
Succesivamente San Magno fu proclamato patrono della città, ma il santo è inoltre venerato anche a Colle San Magno, sempre in provincia di Frosinone. Questo santo non va confuso con il suo omonimo venerato nel cuneese, leggendario martire della Legione Tebea, anch’egli festeggiato in data odierna. Il Martyrologium Romanum cita comunque solamente San Magno di Anagni.
Alla morte di Redento, Magno fu chiamato dal popolo e dal clero a succedergli, rivelandosi ardente di carità e zelo. Si impegnò nella diffusione del Vangelo prima nell’agro di Fondi, poi ad Aquino, città ducale, ed infina presso Anagni. In questa città battezzò una giovane di nome Secondina, che anch’ella come lui sarebbe poi morta martire.
Sfuggito alle ire di un certo Tarquinio, Magno si recò a Roma, ma quando era ormai di ritorno fu scovato da alcuni soldati a pregare in una grotta a Fondi. Chiese loro di non ucciderlo subito e così avvenne, ma dopo aver atteso invano e trovatolo morto, lo decapitarono presso Fabreteria, nel Lazio.
Curiosa è la storia delle reliquie del santo, che intorno al IX secolo furono traslate a Veroli da un certo Platone. Muca, sovrano saraceno, profanò il luogo gel sepolcro trasformandolo in una stalla. Trovati in seguito i cavalli morti, restò impaurito e gettò fuori le spoglie del santo, invitando gli anagnini ad acquistarlo a prezzo d’oro. Questi accettarono ed alla presenza del vescovo Zaccaria avvenne la traslazione nella cattedrale di Anagni con grande concorso di popolo.
Succesivamente San Magno fu proclamato patrono della città, ma il santo è inoltre venerato anche a Colle San Magno, sempre in provincia di Frosinone. Questo santo non va confuso con il suo omonimo venerato nel cuneese, leggendario martire della Legione Tebea, anch’egli festeggiato in data odierna. Il Martyrologium Romanum cita comunque solamente San Magno di Anagni.
Tratto
da
http://www.anagniexcelsa.it/san-magno/
Ero un pastore. Lo sono sempre stato» disse Magno, rivolto ai fratelli in ascolto. Dopo il pasto, fatto di pane e qualche pezzo di formaggio che avevano diviso in parti uguali, si erano seduti in cerchio, nella grotta umida e buia, illuminata da poche candele.
Erano poveri pellegrini che vagavano nel mondo per
diffondere la parola di Dio, vestivano stracci, e i loro sandali erano
consumati dal lungo cammino. Ma il loro spirito era incrollabile, sostenuto da
una fede in Dio forte come la roccia, che gli permetteva di sopportare ogni
fatica, e soprattutto la violenza delle persecuzioni che li costringeva a
nascondersi per pregare, a vivere nell’ombra, tremando ogni volta che incontravano un soldato
romano.
«Il mio
caro padre mi insegnò a condurre il gregge quando ero ancora un ragazzino, e non
passarono molti anni quando ne ebbi uno mio. Amavo vivere nella natura,
camminare per i campi, sedermi all’ombra degli ulivi a guardare il gregge che pascolava, e
intanto riempirmi il cuore della parola di Dio, che mi parlava attraverso la
meraviglia del suo creato».
«Sappiamo
che sei fuggito dalla tua terra, fratello Magno, perché mai?
Così feroci
erano le persecuzioni?» chiese un giovane dalla barba scura, che sedeva al centro
del gruppo, con le ginocchia raccolte al petto, e guardava Magno ammirato.
«Sono
andato via quando i romani sono diventati violenti e hanno
cominciato a torturare la mia gente nella città
dove ero vescovo. L’ho fatto per salvare i miei fratelli cristiani di Trani,
nella speranza che, andando via, i romani smettessero di accanirsi su di loro,
per cercare me soltanto». Magno abbassò
il capo con le sopracciglia aggrottate, un’espressione
di dolore gli segnò il viso. «È
molto tempo che non ho loro notizie, questo mi riempie di
dolore. Spero con tutto me stesso, con l’aiuto di Dio, che stiano bene. Prego ogni sera per la loro
incolumità».
«Sappiamo
che ti sei fermato ad Anagni, e che lì
hai battezzato una donna. Come è
quella città?».
«Basta
varcare le mura della città, per sentire quanto è
potente la grazia di Dio che vi alberga» disse
Magno. «Coloro che vi abitano sono le persone più ospitali
che io abbia mai incontrato, accolgono gli stranieri come fossero fratelli, e
sono avidi della parola di Dio. Ma purtroppo neanche lì sono
liberi dalle persecuzioni dei romani».
«Anche
noi siamo dovuti scappare dalla nostra terra, ma i romani hanno continuato a
perseguitare i fratelli, obbligandoli alla barbarie del sacrificio, per
soddisfare la bramosia dei loro
idoli senza misericordia. Abbiamo notizia che molti sono
morti per le torture».
«Bisogna
avere fede» disse Magno. «Se è questo il disegno di Dio, allora dobbiamo lasciare che si
compia, come si è compiuto il sacrificio di suo figlio Gesù».
D’improvviso un lampo gli attraversò la
mente. Chiuse gli occhi, scosso. E in quel momento seppe che Dio dall’alto
aveva depositato un’immagine nella sua mente come un uccello deposita il cibo
nel nido per i suoi figli. Era una immagine chiara, e lui per un attimo
tremò, capendo cosa Dio voleva fargli conoscere. Ma un attimo
dopo, preso un respiro, il suo animo si placò, e disse: «Miei cari fratelli. Più
è salda in voi la fede, più
deboli e vani saranno i colpi dei nostri persecutori. Un
giorno anche loro sapranno, e Dio li perdonerà
per ciò che hanno fatto. Ma adesso bisogna restare uniti, perché la
parola di Dio è forte, non ha muri che possano contenerla. Quanto a me e al
mio destino: non abbiate paura per ciò
che mi accadrà, anzi raccontate la mia storia, quella di un umile pastore
a cui Dio ha affidato il compito di portare nel mondo la sua parola. Adesso
preghiamo, fratelli, abbiate fede nel destino che il Signore ha disegnato per
voi». Fu
in quel momento che, dal bosco fuori la grotta dove si erano rifugiati,
giunsero le urla e gli schiamazzi dei soldati romani. I presenti si
allarmarono, tentarono la fuga. Solo Magno restò
imperturbabile, inginocchiato in preghiera. Vedeva ancora
chiaramente, dietro le palpebre chiuse, l’immagine che Dio gli aveva depositato nella mente, come
fosse un sogno: vedeva una cripta, affrescata da mirabili figure colorate; in
un’abside, una pittura di meravigliosa fattura raffigurava l’immagine
terribile che lo aveva fatto tremare, l’immagine del suo martirio: soldati romani con le spade
levate che lo uccidono e gli tagliano la calotta cranica. D’un
tratto vide un esercito di saraceni al riposo che bivaccavano in un villaggio,
poi vide una cripta che i soldati sacrileghi avevano usato come stalla per i
loro cavalli. Ma i cavalli erano morti: giacevano a decine, senza vita, sul
suolo di paglia, come vittime di una epidemia mortale.
Così sarà, pensò Magno, e mentre i soldati romani irrompevano nella grotta,
pregò Dio di farlo morire in pac
Leggere
VITA DI S. MAGNO
ARCIVESCOVO , E MARTIRE
SCRITTA DA GIUSEPPE ROCCO VOLPI, S. J. nel 1732
Santo Satiro primo vescovo di Arezzo
Nell'archivio capitolare esiste una pergamena dell'XI secolo sul retro della quale vi è un catalogo di vescovi aretini dal IV secolo fino a Teodaldo nel 1036: si tratta di una serie ininterrotta di vescovi copiati dai dittici antichi, ossia dalle tavolette di legno che, fino al X secolo, servivano a ricordare nella liturgia il nome dei defunti per cui pregare.
Questo lungo elenco, dopo il XVI secolo, è stato manipolato con la modifica dell'ordine originario dei nomi, con l'interpolazione di nomi di vescovi inventati o con l'omissione di nomi di altri vescovi. Il catalogo così modificato, con l'aggiunta di datazioni più o meno fantasiose, è stato accettato dall'Ughelli nella sua Italia sacra, da Cappelletti nell'opera Le Chiese d'Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, e da Pius Bonifacius Gams nelle Series episcoporum Ecclesiae Catholicae. Agli inizi del Novecento lo studioso Ubaldo Pasqui ha pubblicato il catalogo originario, con testo critico, nei Documenti per la storia della città di Arezzo nel medioevo, restituendo in questo modo l'ordine esatto dei vescovi aretini.
Il primo vescovo del catalogo è san Satiro, che secondo la Passio Donati sarebbe morto durante il pontificato di papa Giulio I (337-352. Il successore, san Donato, è il patrono della città e della diocesi; è ricordato nel martirologio geronimiano alla data del 7 agosto e di lui parla Gregorio Magno nei suoi Dialoghi.
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Santo Bartolomeo da Simeri
Tratto dal quotidiano Avvenire
Nasce verso il secolo XI a Semeri (oggi Simeri) in provincia di Catanzaro. Si accosta ai Padri eremiti nel deserto, per poi spostarsi sulle montagne della Sila dove pratica rigide penitenze. La notizia della sua figura di eremita si diffonde in tutta la regione, da cui in breve tempo iniziano ad affluire pellegrini desiderosi di mettersi sotto la sua direzione spirituale. In una visione la Vergine chiede a Bartolomeo di accogliere quanti volevano servire Dio in penitenza. Il santo decide allora di edificare un monastero e una chiesa fra Rossano e Corigliano, in provincia di Cosenza, che prenderanno il nome di Santa Maria Nuova Odigitria. L'importanza raggiunta nel tempo dal monastero calabrese suscita l'invidia di altre istituzioni monastiche, tanto che alcuni religiosi accusano Bartolomeo di aver arricchito i propri parenti con i beni del monastero. Condannato al rogo, prima dell'esecuzione celebra la Messa, durante la quale appare una colonna di fuoco. Colpiti da tale prodigio i presenti si prostrano ai piedi dell'abate chiedendogli perdono. Bartolomeo muore il 19 agosto del 1130.
Tratto da
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=3633:19-08-memoria-del-nostro-venerabile-padre-san-bartolomeo-di-simeri&catid=190:agosto&lang=it
San Bartolomeo di Simeri - 19 agosto
Nato a Simeri di Catanzaro, monaco
all'Athos, sotto la Francocrazia fondò il Monastero di Trigona (RC), il più
noto Monastero della Madre di Dio detto Patirion presso Rossano (CS) e l'ancora
più famoso Monastero della Metamorfosi di Messina. Scampato prodigiosamente al
rogo cui era stato condannato dai Latini, si addormentò in pace nel 1140.
Tratto da un adattamento
tratto da un piccolo sinassario curato da P. Daniele Castrizio.
Bartolomeo nacque nel 1050 circa, a Sìmeri di
Catanzaro, da Giorgio ed Elena, che lo chiamarono Basilio. Divenuto
adulto, egli si recò dal grande asceta Cirillo, che allora viveva con pochi
asceti lungo il torrente Militino. Questi lo vestì del sacro abito monastico,
gli cambiò il nome in quello di Bartolomeo, e lo istruì alla rigorosa
osservanza dei canoni monastici. Bartolomeo andava in giro con i piedi scalzi,
coprendo il corpo con una sola e povera tunica, stringendo i fianchi con una
cintura di cuoio; aveva, poi, un bastone a forma di croce tra le mani, come
l’apostolo Andrea. Così si recò a Rossano, e trovò un oratorio dedicato al
martire Sisinnio, nel quale abitava il gheron Biagio, che gli indicò una grotta
in cui vivere in solitudine: in essa si diede alla Preghiera continua e al
digiuno.
Una volta che il ghèron Biagio saliva in visita al santo insieme a Cirillo, apparve davanti a loro una colonna di fuoco che dalla terra si estendeva fino al cielo stesso. Sbigottiti, stettero muti: dopo che quella luce soprannaturale si allontanò dalla loro vista, trovarono Bartolomeo, illuminato e glorificato nel volto. Anche alcuni cacciatori, trovatisi davanti alla grotta, spaventati per l’improvvisa e inconsueta vista, stavano per fuggire. Ma quel grande disse loro: “Non abbiate paura! Ho scelto di abitare in questo luogo a causa dei miei peccati”. Ed essi, avvicinatisi di più, ne videro l’aspetto angelico e divino.
Ed ecco che, soggiogati dalla sua dolcezza, molti lo supplicarono di averlo come guida verso la salvezza. Egli, allora, accogliendoli, li guidava alla vita solitaria, dimorando con loro in una Casa di preghiera che molti anni prima era stata costruita da un certo monaco Nifon, dedicata alla Madre di Dio e a Giovanni Battista, detta Rochoniate. La schiera intorno a lui cresceva di giorno in giorno; per questo il padre si dedicò allora alla fondazione di un monastero, con l’aiuto dell’ammiraglio Cristodulo, e accettò di essere ordinato sacerdote dal beato Policronio, vescovo della città di Kallipoli in Puglia, poiché il vescovo del luogo e quello della vicina Santa Severina si erano uniti ai Latini.
Bartolomeo, dato che i suoi compagni di ascesi avevano bisogno di libri sacri, e inoltre era necessario che quel tempio della Madre di Dio venisse ornato di suppellettili sacre e icone, partì verso la sovrana delle città, Costantinopoli Nuova Roma. Ed essendosi incontrato con gli imperatori che reggevano l’Impero dei Romani con grande ortodossia, Alessio e Irene, ottenne una splendida accoglienza da parte loro e di tutto il Senato e venne ricolmato di molti e ricchi doni, sia di venerande icone sia di libri e suppellettili sacre. E uno di quelli che avevano grande autorità, Basilio Calimeris, gli donò il Monastero di San Basilio sul Monte Athos: e avendone il santo accettato il governo, divenne autore di molto giovamento per gli asceti di quel monastero. Da allora esso rimase sottoposto all’illustre padre, e per questo fino a oggi è chiamato Monastero del Calabrese.
Partito da lì, fece ritorno al proprio monastero , ma due monaci latini di Mileto si recarono dal re Ruggero, dicendo: “Bartolomeo è un eretico”. Subito fu redatta una lettera contro il santo, che diceva di comparire al cospetto del re, nella città di Messina. Il santo si mise in viaggio e il re, dopo che lo vide, fece venire al suo cospetto i calunniatori. Presentatisi al tribunale, essi accusarono apertamente il santo, ma egli non contestò loro neanche una parola; disse anzi che tutto stava così come dicevano. Avendo il re sentito che il santo aveva ammesso tutte le accuse portate contro di lui, fu emessa la sentenza: che fosse dato alle fiamme. Il santo disse: “Sono sacerdote: lasciatemi celebrare la sacra Mistagogia e poi si esegua la sentenza”. Subito viene data al santo la veste sacerdotale e nella chiesa di San Nicola detta di Punta, vicino Messina, andò il re, portandovi anche il santo in catene. Appena il re entrò nel tempio per vedere, lui e molti notabili videro una colonna di fuoco che si alzava dai piedi del santo fino al cielo e angeli che lo servivano. Subito brivido e stupore prese tutti quanti e tutta la città fu turbata; tutti si gettarono ai piedi del santo. Il re chiedeva perdono, e disse: “Padre, disponi di questo luogo dove è stato accesa la pira contro di te”. Egli decise che vi sorgesse un tempio col nome del Salvatore, e i crudeli potenti liberarono e consegnarono in dono a Bartolomeo alcuni ortodossi che tenevano in catene, pronti a essere impiccati. Il beato cadde in una lieve malattia e prevedendo, grazie al divino Spirito che abitava in lui, il giorno della sua morte che ormai si avvicinava, pose l’anima nelle mani di Dio; era il diciannove del mese di agosto 1130
Una volta che il ghèron Biagio saliva in visita al santo insieme a Cirillo, apparve davanti a loro una colonna di fuoco che dalla terra si estendeva fino al cielo stesso. Sbigottiti, stettero muti: dopo che quella luce soprannaturale si allontanò dalla loro vista, trovarono Bartolomeo, illuminato e glorificato nel volto. Anche alcuni cacciatori, trovatisi davanti alla grotta, spaventati per l’improvvisa e inconsueta vista, stavano per fuggire. Ma quel grande disse loro: “Non abbiate paura! Ho scelto di abitare in questo luogo a causa dei miei peccati”. Ed essi, avvicinatisi di più, ne videro l’aspetto angelico e divino.
Ed ecco che, soggiogati dalla sua dolcezza, molti lo supplicarono di averlo come guida verso la salvezza. Egli, allora, accogliendoli, li guidava alla vita solitaria, dimorando con loro in una Casa di preghiera che molti anni prima era stata costruita da un certo monaco Nifon, dedicata alla Madre di Dio e a Giovanni Battista, detta Rochoniate. La schiera intorno a lui cresceva di giorno in giorno; per questo il padre si dedicò allora alla fondazione di un monastero, con l’aiuto dell’ammiraglio Cristodulo, e accettò di essere ordinato sacerdote dal beato Policronio, vescovo della città di Kallipoli in Puglia, poiché il vescovo del luogo e quello della vicina Santa Severina si erano uniti ai Latini.
Bartolomeo, dato che i suoi compagni di ascesi avevano bisogno di libri sacri, e inoltre era necessario che quel tempio della Madre di Dio venisse ornato di suppellettili sacre e icone, partì verso la sovrana delle città, Costantinopoli Nuova Roma. Ed essendosi incontrato con gli imperatori che reggevano l’Impero dei Romani con grande ortodossia, Alessio e Irene, ottenne una splendida accoglienza da parte loro e di tutto il Senato e venne ricolmato di molti e ricchi doni, sia di venerande icone sia di libri e suppellettili sacre. E uno di quelli che avevano grande autorità, Basilio Calimeris, gli donò il Monastero di San Basilio sul Monte Athos: e avendone il santo accettato il governo, divenne autore di molto giovamento per gli asceti di quel monastero. Da allora esso rimase sottoposto all’illustre padre, e per questo fino a oggi è chiamato Monastero del Calabrese.
Partito da lì, fece ritorno al proprio monastero , ma due monaci latini di Mileto si recarono dal re Ruggero, dicendo: “Bartolomeo è un eretico”. Subito fu redatta una lettera contro il santo, che diceva di comparire al cospetto del re, nella città di Messina. Il santo si mise in viaggio e il re, dopo che lo vide, fece venire al suo cospetto i calunniatori. Presentatisi al tribunale, essi accusarono apertamente il santo, ma egli non contestò loro neanche una parola; disse anzi che tutto stava così come dicevano. Avendo il re sentito che il santo aveva ammesso tutte le accuse portate contro di lui, fu emessa la sentenza: che fosse dato alle fiamme. Il santo disse: “Sono sacerdote: lasciatemi celebrare la sacra Mistagogia e poi si esegua la sentenza”. Subito viene data al santo la veste sacerdotale e nella chiesa di San Nicola detta di Punta, vicino Messina, andò il re, portandovi anche il santo in catene. Appena il re entrò nel tempio per vedere, lui e molti notabili videro una colonna di fuoco che si alzava dai piedi del santo fino al cielo e angeli che lo servivano. Subito brivido e stupore prese tutti quanti e tutta la città fu turbata; tutti si gettarono ai piedi del santo. Il re chiedeva perdono, e disse: “Padre, disponi di questo luogo dove è stato accesa la pira contro di te”. Egli decise che vi sorgesse un tempio col nome del Salvatore, e i crudeli potenti liberarono e consegnarono in dono a Bartolomeo alcuni ortodossi che tenevano in catene, pronti a essere impiccati. Il beato cadde in una lieve malattia e prevedendo, grazie al divino Spirito che abitava in lui, il giorno della sua morte che ormai si avvicinava, pose l’anima nelle mani di Dio; era il diciannove del mese di agosto 1130
IL BIOS DI SAN
BARTOLOMEO DA SIMERI
(BHG 235)
a cura di Gaia Zaccagni
http://padridellachiesa.blogspot.com/2018/08/il-bios-di-san-bartolomeo-da-simeri-bhg.html
Leggere
Santo
Bartolomeo da Simeri
http://www.treccani.it/enciclopedia/bartolomeo-da-simeri-santo_(Dizionario-Biografico)/
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