sabato 25 agosto 2018

26 agosto Santi Italici ed Italo greci


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Santi martiri di Lecce Oronzo Giusto e Fortunato (altra memoria il 1 Novembre)

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90471
Venerato patrono di Lecce, s. Oronzo è affiancato dai santi Giusto e Fortunato e insieme vengono commemorati il 26 agosto. Le prime notizie che riguardano questi santi sono tratte da un’antica pergamena del secolo XII, oggi scomparsa.
Giusto, discepolo di s. Paolo, era in viaggio verso Roma, quando una forte burrasca del mare fece naufragare la nave sulle coste della Penisola Salentina; qui incontrò due cittadini di Lecce, Oronzo e Fortunato, zio e nipote e li convertì al cristianesimo. Secondo la tradizione lo stesso s. Paolo, nominò Oronzo primo vescovo della città, qui le notizie diventano più lacunose, i tre santi si misero a predicare il Vangelo e convertire i pagani idolatri e andati nella città di Lecce, arditamente fecero a pezzi la statua di Giove che stava nel suo bellissimo tempio, allo stesso modo dopo pochi giorni ruppero a pezzi la statua di Marte posta fuori la città.
Non è certo se è per questi episodi o altro, che Oronzo fu martirizzato con l’ascia, durante la persecuzione di Nerone, stessa sorte toccò a Fortunato che gli era succeduto nella carica di vescovo, ed a Giusto.
Il culto per questi martiri è antichissimo sia a Lecce che nell’Italia Meridionale; solo nel 1658 la festa li vede accomunati tutti e tre, in precedenza il culto era singolo per ognuno, i Martirologi Romano e Geronimiano nominano vari Fortunato e Giusto ma con grande incertezza se sono gli stessi venerati a Lecce.
S. Oronzo o Oronzio invece ha avuto un culto più ampio e la devozione dei fedeli si è molto diffusa specie in Puglia e Basilicata ( a Potenza è chiamato Aronzo), i leccesi gli danno merito di aver preservato la città dal contagio della peste del 1656 che imperversava in Napoli e in tutto il vicereame.
E’ oggetto di molte opere d’arte tipiche del barocco leccese, compreso delle guglie, sempre raffigurato con abiti vescovili, il pastorale e ai piedi i resti degli idoli da lui infranti.

Tratto da
http://www.leccenews24.it/attualita/storia-di-oronzo-martire-santo-e-patrono-di-lecce.htm
Sant’Oronzo non è stato il primo protettore di Lecce. La città infatti, era posta sotto la custodia celeste di Santa Irene che ne fu la prima patrona. Solo in epoca moderna la città passò sotto la protezione religiosa di quello che fu il primo vescovo di Lecce, quasi 2000 anni fa.
Non tutti sanno che Sant’Oronzo fu contemporaneo di Gesù Cristo, essendo vissuto nel primo secolo. La sua storia prende avvio qualche anno dopo la crocifissione del Signore, grazie alle relazioni che il giovane leccese intrattenne con uno dei più importanti discepoli dell’apostolo Paolo e cioè Giusto, un cittadino greco che ebbe incarico di raggiungere Roma, dove Pietro aveva fondato la Chiesa occidentale.
Durante il viaggio per mare Giusto fu vittima di un terribile fortunale che interessò il canale d’Otranto e naufragò sulla costa leccese nei pressi dell’attuale marina di San Cataldo dove venne soccorso e aiutato da un giovane patrizio romano chiamato Oronzo e da suo nipote Fortunato.
Giusto parlò ad Oronzo che ancora non aveva assunto questo nome (Oronzo è il nome cristiano di Publio da Rugge, imposto da San Giusto al momento del suo battesimo avvenuto in circostanze a noi sconosciute) del Vangelo di Cristo così come egli lo aveva appreso dal racconto dell’Apostolo Paolo in persona. Il giovane, di ricca famiglia patrizia, rimase estasiato dal racconto di Giusto e decise di abbracciare quella dottrina proveniente dalla lontana Palestina, ma che nel giro di un decennio si era estesa in tutto il bacino nord occidentale del Mediterraneo.
La leggenda vuole che lo stesso San Paolo abbia imposto le mani a Oronzo per ordinarlo vescovo, così come Oronzo fece con il nipote Fortunato che gli succedette dopo la morte. Intanto Giusto e Oronzo girarono in lungo e il largo la il Salento e la Puglia evangelizzando e convertendo al Cristianesimo città e villaggi.
Ma i tempi erano avversi ai cristiani. La persecuzione degli imperatori si fece spietata e crudele, perché la nuova religione minava alle basi il potere stesso della Roma imperiale. Sotto il governo di Nerone la persecuzione raggiunse anche le periferie e Oronzo e Giusto furono vittime di tale azione repressiva. La condanna era inevitabile, e nonostante l’intervento dell’apostolo Paolo, divenuto intanto cittadino di Roma, non fu possibile cambiare la sorte dei due leccesi.
A pochi chilometri da Lecce, lungo la via per il mare, il vescovo di Lecce e il suo ispiratore e maestro, furono sottoposti a supplizi e violenze, prima di essere decapitati nel luogo esatto dove oggi sorge il tempio di Sant’Oronzo fuori le mura, detto in dialetto locale “Capu te Santu Ronzu” proprio a ricordare la decapitazione avvenuta per mano della giustizia romana. La decapitazione era una morte onorevole, a differenza della Crocifissione, essendo questo un privilegio che veniva riservato ai cittadini romani, colpevoli però di tradimento o ingiuria.
Oggi Sant’Oronzo è presente in tutta l’iconografia cattolica leccese. Troneggia sulla facciata barocca della Chiesa Cattedrale e sulla colonna posta nel mezzo della piazza che da Lui prende il nome. Molti leccesi, in segno di devozione da parte dei loro genitori, sono stati battezzati col nome di Oronzo che significa “risorto”. Una festa patronale di tre giorni (24,25 e 26 agosto) ogni anno lo ricorda e lo celebra insieme a Giusto e Fortunato.

Per la memoria del 1 novembre





Santo Alessandro di Bergamo martire

Tratto da quotidiano Avvenire
Patrono di Bergamo, vissuto a cavallo del III e IV secolo. Dopo essere stato comandante di centuria della legione Tebea, utilizzata prevalentemente in Oriente, è spostato in Occidente. Gli viene ordinato di ricercare i cristiani contro i quali è in atto una persecuzione. Di fronte al suo rifiuto e di alcuni compagni segue la decimazione, a cui riesce a salvarsi. Scappa a Milano dove però è riconosciuto e incarcerato. Grazie a san Fedele, che organizza la fuga di Alessandro, si rifugia a Como e infine, passando per Fara Gera d'Adda e Capriate, arriva a Bergamo. Qui, ospite del principe Crotacio, che lo aiuta a nascondersi, inizia la sua opera di predicazione e conversione di molti cittadini, tra cui i martiri Fermo e Rustico. Ma nel 303 Alessandro è nuovamente scoperto e catturato. Condannato alla decapitazione, muore il 26 agosto a Bergamo, dove ora sorge la chiesa di Sant'Alessandro in Colonna.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/34250
Alessandro, patrono della città di Bergamo, è raffigurato tradizionalmente in veste di soldato romano con un vessillo recante un giglio bianco. Il vessillo sarebbe stato quello della Legione Tebea comandata da s. Maurizio (legione romana composta secondo la leggenda da soldati egiziani della Tebaide) nella quale Alessandro sarebbe stato secondo gli Atti del martirio, comandante di centuria. La legione romana utilizzata in prevalenza in oriente, venne spostata nel 301 in occidente per controbbattere gli attacchi dei Quadi e dei Marcomanni. Durante l'attraversamento del Vallese alla legione fu ordinato di ricercare i cristiani contro i quali era stata scatenata una persecuzione. I legionari, cristiani a loro volta, si rifiutarono e per questa insubordinazione vennero puniti con la decimazione eseguita ad Agaunum (oggi S. Moritz). La decimazione consisteva nell'uccisione di un uomo ogni dieci. Al perdurare del rifiuto dei legionari di perseguitare i cristiani, fu eseguita una seconda decimazione e quindi l'imperatore ordinò lo sterminio. Pochi furono i superstiti, tra cui Alessandro, Cassio, Severino, Secondo e Licinio che ripararono in Italia. A Milano Alessandro fu però riconosciuto e incarcerato, dove rifuta di abiurare. In carcere riceve la visita di s. Fedele e del vescovo s. Materno. Proprio s. Fedele riesce a organizzare la fuga di Alessandro, che ripara a Como, dove fu nuovamente catturato. Riportato a Milano fu condannato a morte per decapitazione, ma durante l'esecuzione ai boia si irrigidivano le braccia. Fu allora nuovamente incarcerato. Riuscì nuovamente a fuggire e raggiunse Bergamo passando per Fara Gera d'Adda e Capriate. A Bergamo fu ospitato dal principe Crotacio, che lo invitò a nascondersi, ma Alessandro iniziò a predicare e a convertire molti bergamaschi, tra cui i martiri Fermo e Rustico. Fu perciò scoperto e nuovamente catturato, la decapitazione venne eseguita pubblicamente il 26 agosto 303 nel luogo ove oggi sorge la chiesa di S. Alessandro in Colonna. Probabilmente Alessandro fu effettivamente un soldato romano, originario o residente a Bergamo, torturato e ucciso per non avere rinunciato alla propria fede cristiana.




Tratto da
https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/86147_la_storia_di_santalessandro_martire_e_patrono_della_nostra_citt/

La vicenda di Sant’Alessandro — a cui si fa risalire la prima evangelizzazione di Bergamo — è una commistione fra storia e leggenda. Il soldato cristiano Fedele, su invito del vescovo di Milano, visita il carcere militare.

Lì incontra il soldato Alessandro, alfiere e portainsegne della legione Tebea, che viene fatto fuggire con altri compagni. Catturato e rifiutandosi di sacrificare agli dèi, Alessandro viene condannato a morte. La decapitazione è impossibile, perché il suo capo appare grande come una montagna al carnefice. Rimesso in carcere, riesce nuovamente a fuggire, attraversa il fiume Adda e si rifugia nei pressi di Bergamo.

Catturato una seconda volta, nel luogo dove ora sorge la chiesa di Sant’Alessandro in Captura dei frati Cappuccini di Borgo Palazzo, e rifiutandosi di sacrificare agli dèi, viene decapitato nel luogo ove sorge la colonna all’esterno della basilica di Sant’Alessandro in Colonna.

La nobile matrona Grata ne raccoglie il corpo per seppellirlo: durante il tragitto, sul luogo dove ora sorge la chiesa di Sant’Alessandro della Croce in Pignolo, dalle gocce di sangue cadute nella terra nascono dei gigli.

I resti del santo sono sepolti in un podere di Città Alta, sul luogo dove poi fu costruita la basilica alessandrina, abbattuta nel 1561 in seguito alla costruzione delle Mura venete. Antichissima la tradizione di esporre le sue reliquie alla venerazione pubblica, soprattutto nei momenti più drammatici, come guerre, calamità naturali, carestie.

tratto da
https://digilander.libero.it/nonsoloperfede/Santi/Alessandro.htm

il nucleo storico da quanto leggenda e tradizione ci hanno consegnato. Lo si vuole alfiere della legione texana di stanza a Milano, poi convertito al Cristianesimo. Fu presto colpito dalla persecuzione di Diocleziano e Massimiano e carcerato coi compagni. Riuscì a fuggire con essi verso Como, dove fu nuovamente arrestato e condotto a Milano, alla presenza di Massimiano. Costui gli impose allora di sacrificare agli dei pagani; ma Alessandro abbatté l'ara pronta per il sacrificio, onde l'imperatore inferocito condannò che fosse ucciso. Sennonché il carnefice, Marziano, sguainò la spada, ma non osò ferire; ed avendonelo Massimiano ripreso, gli rispose: "Signore, il capo di costui mi appare come un monte, ed io ne tremo tutto".
Furono allora chiamati altri carnefici; ma Alessandro nel frattempo riuscì a fuggire, e, passato l'Adda a piedi asciutti, giunse in una piccola città presso Bergamo - dicono gli altri - chiamata Pretoria. Ivi si nascose in alcune boscaglie, ma fu ripreso dagli sgherri dell'imperatore, i quali lo caricarono di catene e lo trassero innanzi alla statua di Plotacio (Crotacio), per sacrificarvi agli idoli, o per esservi ucciso. Qui giunto, Alessandro domandò dell'acqua, si lavò le mani, pregò ardentemente Iddio, consegnò nelle sue mani lo spirito e offerse il collo al carnefice, che lo decapitò. Era il 26 agosto 298 (ma c'è anche chi ipotizza un'altra data, di poco anteriore o posteriore).
Nei dì seguenti, Grata, figlia di Lupo, trovò il suo corpo, intorno al quale, e dalle gocce di sangue, erano spuntati candidi gigli: lo fece raccogliere e devotamente seppellire fuori della città in un piccolo orto.
Al di là della veridicità e dell'esattezza storica di alcuni particolari, la connotazione specifica di S. Alessandro è quella di aver introdotto la fede cristiana in Bergamo, connotazione che costituisce la ragione della sua scelta a patrono della città e del territorio. Ed è certo che il culto per questo martire si diffuse presto nella nostra diocesi: lo dimostrano le numerose chiese a lui dedicate, a principiare da quella fatta erigere nel 585 dal re longobardo Autari a Fara Autarena (oggi Fara d'Adda)

Tratto da
http://www.famigliacristiana.it/liturgia/sant-alessandro_42611.aspx
Il martirio di sant’Alessandro, patrono di Bergamo, ci viene raccontato dagli Atti che, pur non essendo di epoca molto tarda, contengono elementi fantasiosi e storicamente discutibili. Ci parlano di un soldato della famosa Legione Tebea di stanza a Milano, convertitosi al cristianesimo e incarcerato con alcuni compagni in seguito all’editto di persecuzione promulgato dal Diocleziano e Massimiano nel 303. Fuggito verso Como, Alessandro sarebbe stato arrestato e ricondotto a Milano alla presenza dell’imperatore Massimiano, che gli ordinò di sacrificare agli dei, ma egli avrebbe rovesciato l’idolo provocando la sua immediata condanna a morte. Il carnefice però non osava colpirlo e l’esecuzione sarebbe stata sospesa. Fuggito una seconda volta, il santo si sarebbe nascosto in una boscaglia ma sarebbe stato ripreso dalle guardie imperiali. Essendosi nuovamente rifiutato di sacrificare agli idoli, sarebbe stato decapitato. Il corpo sarebbe stato sepolto da una matrona di nome Grata in un suo podere, dove venne poi costruita una basilica. Il culto di Alessandro si sviluppò prestissimo sul suo sepolcro; nei calendari della città dei secolo XI e XIII si afferma che nonostante le continue devastazioni barbariche subite, la cripta con i resti del martire è rimasta intatta. Inoltre, fin dal secolo VI la costruzione di una chiesa a lui intitolata a Fara Autarena, nel 585, ad opera del re Autari, conferma che il culto era già esteso in epoca interiore. A Bergamo e nella diocesi sono numerose le chiese intitolate al santo: in città, oltre al Duomo, ci sono quelle di Sant’Alessandro della Morla (o dei Cappuccini), che secondo la tradizione, sarebbe sorta sul luogo dove il santo venne arrestato; di sant’Alessandro in Colonna, eretta, sempre secondo la tradizione, sul luogo del martirio; infine, di Sant’Alessandro della Croce, costruita per ricordare i gigli che sarebbero germogliati da alcune gocce di sangue cadute dal capo del martire nella decapitazione.


Santo Gianuario di Cartagine vescovo a Marsico Nuovo in Italia dove si addormentò nel Signore e di cui è patrono (in alcuni codici ritenuto martire insieme con i Santi Felice ed Onorato )

Tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Gianuario_vescovo

Secondo una tradizione riportata negli Acta Sanctorum[2] e probabilmente successiva all'XI o al XII secolo[3], fu un vescovo che lasciò il suolo africano accompagnato dai diaconi Felice e Onorato. Sbarcò in Calabria, dove predicò il Vangelo, facendo lo stesso anche nell'Abruzzo e nella Lucania.
A Potenza fu accusato dal magistrato Leonzio di turbare la quiete pubblica e venne condannato a morte nell'ambito della persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano. Gianuario si salvò con la fuga e si recò a Marsico, dove fu accolto con favore. Raggiunto però dagli uomini di Leonzio nel bosco del Monte Arioso, Gianuario fu decapitato a colpi di scure insieme a Felice e Onorato. Secondo una tradizione, la sua testa dopo esser caduta a terra si levò in alto e parlò ai carnefici. Il corpo di Gianuario fu quindi nascosto in una fossa vicino alle radici di un albero, dove venne ricoperto da pietre e terra.
Secondo lo storico e agiografo Francesco Lanzoni, il patrono di Marsico ha un profilo leggendario e potrebbe essere identificato o con un san Gennaro[4] di origine africana o con il più celebre san Gennaro, patrono di Napoli[3]. Le reliquie apparterrebbero invece a Felice e Onorato, entrambi di origine africana e martiri a Potenza[3]
  ^ Santi dell'Arcidiocesi, Arcidiocesi di Potenza - Muro Lucano - Marsico Nuovo. URL consultato il 24 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 7 maggio 2013).
  ^ Agosto, volume V, pp. 813-814. Parziale traduzione in italiano in: Annali del Regno di Napoli, 1803, p. 90.
  ^ a b c Francesco Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604), Faenza 1927, p. 326.

Nei secoli successivi il nome di Gianuario era rimasto per semplice tradizione, tanto che non si conosceva neppure il luogo di sepoltura. La sua memoria rimase però viva presso la popolazione locale. Secondo la tradizione, nell'853[senza fonte] una donna marsicana di nome Susanna per tre notti consecutive sognò Gianuario che le diceva: “Susanna, va' dal vescovo Grimaldo e digli che il mio corpo giace inonorato nel bosco dell'Arioso, fra le radici di un faggio. Digli che io desidero essere condotto là in Marsico”. La donna obbedì, ma il vescovo non le prestò inizialmente ascolto. Il giorno seguente, quando la città venne minacciata da una forte tempesta, il vescovo decise però di andare in processione verso il luogo descritto dalla donna insieme all'abate di Santo Stefano. Il corpo venne ritrovato nel bosco, sotto un faggio. Sorse quindi una questione tra il vescovo e l'abate riguardo alla custodia delle spoglie. Secondo la tradizione, si decise quindi di affidare il carro che trasportava il corpo del santo a due buoi, lasciandoli liberi di muoversi. Gli animali si diressero verso Marsico e si fermarono davanti alla Badia di Santo Stefano (l'attuale chiesa di San Gianuario)[5].
Ancora oggi si indica il luogo dove fu trovato il corpo del santo, con un grosso mucchio di pietre, volgarmente chiamato “Macera di san Gianuario”. Poco lontano scorre un ruscello che ancora conserva il nome di Fonte di san Gianuario. Ogni anno è tradizione visitare il luogo in cui il Santo fu martirizzato nove giorni prima della solennità, 17 agosto.
Nel 1502 Gonzalo Fernández de Córdoba incendiò Marsico e i suoi soldati rubarono una gamba di san Gianuario. Rientrati in Spagna lo portarono nella città di Ciudad Rodrigo, dove si venera il culto di Gianuario[6]. Del corpo del santo si erano nel frattempo perse le tracce. Quando il vescovo Pietro Ignazio Marolda nel 1826 fece scavare nella chiesa di S. Stefano, il corpo del Santo fu ritrovato ad eccezione del braccio trafugato. Il 31 gennaio 1827 il vescovo ordinò quindi che le ossa fossero traslate nella chiesa Cattedrale. Il 25 agosto 1950 il vescovo Augusto Bertazzoni ha proceduto alla rimozione delle sacre reliquie di San Gianuario dalla vecchia urna per riporle in una nuova offerta dalla popolazione. All'interno dell'urna fu rinvenuto un documento che diceva:
« Quae hic servantur sunt divi Januarii Martyris qui olim in Africa, et ut fertur Carthaginiensis Episcopus in persecutione Diocletiani et Maximiani, cum inde profugus in Italiam venisset, anno CCLXXXII incidit in manus impii Leontii Praesidis Lucanae Provinciae; iussu cuius ad Ariosum locum cum Felicem et Onorato secure percutitur; eadem ossa cum diu cristianis fuissent ignota Deo rilevante cuidam piae feminae Susanna nomine, Grimaldo Episcopo e Marsicen reperta fuere. Non sine miraculo in sacello divi Stephani protomartiris traslata, deposita fuerunt subter Altare Martyris nomini dicato usque ad diem XXXI mensis Januarii anni MDCCCXXVII. Quo tempore collabente sacello, convenerunt per Petrum Ignatium Marolda, Episcopum Marsicen et Potentin, elata, isto in loco deposita fuerunt venerationis causa »
  ^ Una ricostruzione della vicenda può essere consultata negli "Annali Critico-Diplomatici del Regno di Napoli della Mezzana Età, Volume 8", di Alessandro di Meo, 1803, Annali Critico-Diplomatici Del Regno Di Napoli Della Mezzana Età - Alessandro di Meo - Google Libri
  ^ (ES) Justo García Sánchez, Procesos consistoriales civitatenses: Miróbriga en los siglos XVII y XVIII, Università di Oviedo, 1994. URL consultato il 25 novembre 2013.


Santi Ireneo e Abbondio Martiri a Roma

Tratto da
 http://www.santiebeati.it/dettaglio/67310
Il Martirologio Geronimiano li ricorda il 23 agosto, il Romano invece, seguendo Beda, il 26 dello stesso mese ed aggiunge che perirono durante la persecuzione di Valeriano, gettati nella cloaca perché avevano curato la sepoltura della martire Concordia; i loro corpi furono raccolti dal presbitero Giustino e sepolti in agro Verano presso il tomba di san Lorenzo. Queste notizie provengono dalla leggendaria passio Polychronii in cui però si dice che i due santi perirono nella persecuzione di Decio e per opera del prefetto Valeriano.
I loro sepolcri erano venerati nel secolo VII, ma gli Itinerari non sono concordi nell’indicarne l’ubicazione: la Notitia Ecclesiarum, infatti, afferma che erano sepolti in una cappella accanto e ad ovest della basilica di san Lorenzo fuori le mura; il De locis invece e il Malmesburiense (che non ricorda però Ireneo) affermano che erano deposti sotto l'altare di san Lorenzo. I primi due Itinerari, inoltre, parlano di una pietra che stava nella cappella (Notitia) o fuori nel portico (De Locis), che era servita per gettare Abbondio nel pozzo e che superstiziosamente «tollent digito multi homines nescientes quid faciunt».
Dalle diverse notizie della passio e degli itinerari si deve concludere che ormai nel secolo VII non si sapeva niente di certo sulla vita dei due martiri. Né maggiori indicazioni sa darci il monaco Gottschalk di Limbourg che nel secolo XI compose in loro onore due sermoni, dai quali soltanto apprendiamo che il corpo di Abbondio, senza testa, era conservato nella chiesa di quel monastero, mentre di quello di Ireneo non si avevano più sicure notizie.


Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/i/ireneo-abbondio.htm
Ireneo e Abbondio, santi, martiri di Roma, secondo la Notitia Ecclesiarum erano sepolti in una cappella vicino a S. Lorenzo f.l.m. o nelle adiacenti catacombe. Il Piazza vuole parte dei loro corpi a S. Maria in Portico e parte nella grotta presso S. Lorenzo. Loro reliquie risultano nell’elenco di quelle esposte a S. Maria in Portico nel giorno dell’Assunzione, per la cerimonia della Solenne Ostensione.

Martirologio .Romano .: 26 agosto - A Roma i santi Martiri Ireneo ed Abbondio, i quali, nella persecuzione di Valeriano, perchè avevano tolto via il corpo della beata Concordia, che era stato gettato in una cloaca, furono sommersi nella medesima cloaca. I loro corpi, di là estratti dal Prete Giustino, furono sepolti in una cripta, vicino al beato Lorenzo.
 

Tratto da
http://guidasantuari.altervista.org/blog/santi-abbondio-e-ireneo/
Il centro del culto non è stato identificato con certezza; dalla Notizia Ecclesiarum sappiamo che i due martiri vennero sepolti in parvum cubiculum extra ecclesiam in occidente; nel De Locis si afferma invece che Abbondio fu deposto sub eodem altare (insieme a Lorenzo), mentre non si fa menzione di Ireneo. Non si esclude che le tombe dei due martiri possano essere localizzate nell’area posta immediatamente ad occidente dell’abside della basilica di Pelagio II (579-590), dove gli scavi misero alla luce alcune strutture che furono oggetto di una serie di interventi di monumentalizzazione, in particolare una sorta di pozzo-cataratta foderato esternamente di marmo, posto in relazione con una sepoltura.Descrizione: L’oggetto del culto doveva essere, come in tutti i santuari martiriali, la tomba dei martiri, che tuttavia non è stata identificata con certezza; non si esclude che essa potesse essere situata nella zona immediatamente ad occidente dell’abside della basilica di Pelagio II (579-590), dove gli scavi hanno portato alla luce un pozzo-cataratta posto in relazione con una sepoltura; oggetto di culto era anche la pietra con la quale Abbondio, secondo quanto riferito dagli Itinerari del VII secolo (Notitia Ecclesiarum e De Locis), sarebbe stato gettato nel pozzo; i due testi indicano che la pietra era custodita nel portico della chiesa. Entrata in uso: tra l’anno 400 e l’anno 450
I martiri sono ricordati per la prima volte nel Martirologio Geronimiano (400-450); la più tarda attestazione è quella contenuta nell’Itinerario di Malmesbury, la cui fonte si pone, concordemente, fra il 648 e il 682 (Valentini-Zucchetti, p. 135). Dopo tale data non si hanno altre attestazioni dirette di un culto tributato ai due martiri.
Nella Passio Polychronii, riferibile al V-VI secolo, si narra che dopo il martirio i corpi di Ireneo e Abbondio sarebbero stati seppelliti dal presbitero Giustino iuxta corpus beati Laurentii, in crypta in Agro Verano.

Santo Secondo martire

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92328
Il martirio di San Secondo avvenne nell’antica Vittimulo (oggi frazione San Secondo di Salussola, in provincia di Biella) in un anno compreso tra il 286 e il 306. Patrono di Ventimiglia (nella Cattedrale è venerato il suo capo), è compatrono anche di Torino. Qui, in un altare del Duomo, sono conservate le altre sue reliquie e, in città, gli è dedicata una parrocchia che dà il nome alla zona circostante. Le notizie più antiche che abbiamo su questo martire sono contenute in documenti medievali del IX secolo.
Luogotenente della Legione Tebea, Secondo era nativo della provincia di Tebe, nell’Alto Egitto. Gli Imperatori romani Diocleziano e Massimiano avevano inviato questo esercito in Svizzera, agli ordini di Maurizio, per sedare la rivolta dei Bagaudi. L’intera Legione trovò la morte ad Agauno (odierna St. Maurice, nel Vallese), in quanto i suoi membri, tutti cristiani, non rinnegarono il proprio credo partecipando al consueto sacrificio pagano che si teneva prima di una battaglia. Secondo fu martirizzato prima che la Legione varcasse le Alpi. La sua “Passio” narra che, dopo essersi professato cristiano, gli fu dato un termine per abiurare che scadeva con l’arrivo a Vittimulo, stazione di sosta nella marcia verso le Gallie. Al suo diniego venne decapitato: il sangue di un martire bagnava la terra biellese. Secondo fu d’esempio a tutti i compagni.
La piccola comunità cristiana del paese lo seppellì e la tomba divenne luogo segreto di preghiera, pubblico dopo l’editto di Costantino. Se ovviamente non esistono documenti coevi ai fatti, certo è che il suo culto a Vittimulo fu immediato. La più antica pieve del basso biellese fu eretta in suo onore, sul luogo del martirio, da S. Eusebio (vescovo dal 345 al 371). Se ne conserva una lapide del V – VI secolo, oggi al Museo Civico di Biella. La venerazione era talmente radicata che, nei secoli successivi, il luogo era denominato semplicemente “plebes S. Secundi”.
Le reliquie di San Secondo lasciarono Vittimulo nel VIII – IX secolo, a causa della distruzione del paese. Furono portate nell’abbazia benedettina della Novalesa, tra le maggiori del Piemonte, fondata nel 726 lungo una delle vie più importanti delle Alpi. Probabilmente furono prese durante la distruzione, poi donate o vendute ai Benedettini. Nel 906, per sfuggire all’invasione dei Saraceni, i monaci ripararono a Torino portando le reliquie dei santi e preziosi codici manoscritti. Una loro proprietà era il monastero di Sant’Andrea (odierno Santuario della Consolata) e lì trovarono rifugio. Nel 990 i benedettini poterono tornare alla Novalesa: i resti di S. Secondo furono lasciati in città dove gli era stata dedicata una chiesa presso la Dora (distrutta nell’XI secolo), a eccezione del capo che fu donato al vescovo Panteio di Ventimiglia. Egli, a Susa per ripianare delle controversie, aveva riconsacrato gli altari della Novalesa.
Nel 1579, in occasione di una pestilenza, la città di Ventimiglia fece un voto a S. Secondo. Liberata dal morbo fu eletto patrono dell’intera diocesi (ufficialmente nel 1602) con festa al 26 agosto. Negli antichissimi codici di Vercelli, alcuni dei quali provenienti dalla Novalesa, era invece stabilita al 28 agosto. Anche a Torino fu eletto compatrono della città durante una pestilenza (nel 1630). La diocesi di Biella, dal 2004, ha ripristinato la memoria liturgica nel calendario diocesano.

Santo Elia vescovo di Siracusa

TRATTO da

 
Nato a Siracusa  e fu ordinato diacono e sacerdote da San Zosimo, vescovo della città, che predisse anche che egli sarebbe stato il suo successore. Il Papa Vitaliano, infatti, lo nominò vescovo di Siracusa nel 656.
Elia governò la Chiesa siracusana sino alla morte avvenuta nel 664, mentre l’imperatore Costante visitava la città

San Rufino Vescovo di Capua

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/67710
di origine siriana, presbitero in Palestina, visse nella seconda metà del IV sec. d.C., sotto il pontificato di Atanasio. Da principio negò la trasmissione del peccato originale, ma poi convertito a Roma dai Santi Girolamo e Pammacchio, scrisse una serie di libri ortodossi sulla fede. Veniva lodato per la sua viva intelligenza e l'arguzia di mente. Fece atto di sottomissione al Vescovo di Roma e con l'aiuto del Santo Pammacchio riuscì a liberarsi dai suoi errori. San Rufino strinse un forte legame di amicizia con San Girolamo, questi più volte si recò con lui in diversi luoghi per compiere importanti legazioni diplomatiche. Fu creato vescovo di Capua verso il 410 dal Santo Pontefice Innocenzo I,  morì a Capua il 25 Agosto del 423. Dopo la morte avvennero vari e interessanti prodigi e miracoli attribuiti al vescovo morto in odore di santità. Sepolto nella basilica dei Ss Apostoli, venne poi trasferito il corpo, nel 688 dal Vescovo d'allora S. Decoroso, in quella dei Ss. Stefano ed Agata, ed indi nella odierna cattedrale, dove rimane tuttora ignoto il sito in cui  giace, comunque si dica posto all'ingresso della presente cappella della Concezione, o all'ingresso del Tesoro. Non a lui, ma si dice appartenente piuttosto a S. Rufino Conf. di Mantova quella piccola reliquia nel Tesoro del Duomo di Capua, che facilmente si ottenne al tempo del Card. Arcivescovo Ippolito d'Este di Ferrara, dove si venera il suo corpo con culto speciale. Fu pure insigne Taumaturgo dopo morto. Verso la metà del IX sec d.C., il longobardo Radiperto, vescovo vulturnense, gli faceva erigere nella sua cattedrale un superbo altare marmoreo rivestito finemente con argento e metalli preziosi . Il marmo sepolcrale riportava la scritta: "Perspicuo argenti sacrum altare metallo Rufini eximii struxit in omne decus." e ciò faceva da testimone del pregio e della santità del Vescovo capuano nostro protettore. Il breviario Capuano riporta su San Rufino la seguente espressione: "Rufinus Episcopus Vir Eximii Sanctitatis". Furono fondate innumerevoli chiese e cappelle in suo onore sia dai longobardi che ne avevano particolare cura, sia dai capuani che ne erano fortemente legati.
Furono proprio i Longobardi che ne portarono il culto nell’antica diocesi di Sinuessa, in modo particolare nell’attuale Mondragone (CE), oggi Diocesi di Sessa Aurunca, dove è fortemente venerato e il 25 agosto di ogni anno è festeggiato nella parrocchia omonima, la più grande della diocesi. Particolare rilancio alla memoria del santo è stata apportata dall'attuale Vicario generale mons. Franco Alfieri e dal parroco don Osvaldo Morelli. Nella parrocchia di San Rufino fa da sfondo ai bassorilievi del marmoreo altare, un bellissimo mosaico che raffigura il santo vescovo tra due angeli.

Santo Felice prete a Pistoia
Tratto da
http://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/2001/02/22/ZP202.html

Vissuto in epoca longobarda, parla di lui una «legenda» conservata nell'archivio capitolare, senza confini precisi tra certo e incerto. Ma studi recenti hanno chiarito molte cose: intanto si dà per certo che è vissuto davvero. Il prete Felice faceva l'eremita. Luogo prescelto era la valle della Bure, tra Candeglia, Santomoro e Valdibure.Pregava e faceva digiuni e penitenze.Anche quando tornò a vivere in città continuò la stessa vita di ascetica . La sua simpatia, si direbbe,era tutta per il popolo bisognoso: guariva dal vaiolo, liberava dagli spiriti maligni,assisteva le donne durante il parto.Il miracolo più curioso che gli si attribuisce è la resurrezione di un bue,l'intero capitale di un contadino dell'epoca.Fu tale la devozione per questo prete che i pistoiesi gli dedicarono la cattedrale che si chiamava appunto«Ecclesia Sanctorum Zenonis, Rufini et Felicis». Probabilmente, le sue ossa furono seppellite proprio nel Duomo,in un'urna d'alabastro venuta alla luce nel lontano 1414. Nel '700 le ossa furono deposte in altra urna di legno argentato,dove sono tuttora. San Felice ha avuto a Pistoia momenti di gloria,ma il culto per lui si è poi affievolito: i pistoiesi che prima lo avevano così osannato hanno poi spostato le preci verso S. Jacopo e relegato in periferia il povero prete “penitenza e popolo”: a S.Felice dove gli fu dedicata la chiesa.


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