Santi
martiri di Lecce Oronzo Giusto e Fortunato (altra memoria il 1 Novembre)
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90471
Venerato patrono di Lecce, s. Oronzo è affiancato dai
santi Giusto e Fortunato e insieme vengono commemorati il 26 agosto. Le prime
notizie che riguardano questi santi sono tratte da un’antica pergamena del
secolo XII, oggi scomparsa.
Giusto, discepolo di s. Paolo, era in viaggio verso Roma, quando una forte burrasca del mare fece naufragare la nave sulle coste della Penisola Salentina; qui incontrò due cittadini di Lecce, Oronzo e Fortunato, zio e nipote e li convertì al cristianesimo. Secondo la tradizione lo stesso s. Paolo, nominò Oronzo primo vescovo della città, qui le notizie diventano più lacunose, i tre santi si misero a predicare il Vangelo e convertire i pagani idolatri e andati nella città di Lecce, arditamente fecero a pezzi la statua di Giove che stava nel suo bellissimo tempio, allo stesso modo dopo pochi giorni ruppero a pezzi la statua di Marte posta fuori la città.
Non è certo se è per questi episodi o altro, che Oronzo fu martirizzato con l’ascia, durante la persecuzione di Nerone, stessa sorte toccò a Fortunato che gli era succeduto nella carica di vescovo, ed a Giusto.
Il culto per questi martiri è antichissimo sia a Lecce che nell’Italia Meridionale; solo nel 1658 la festa li vede accomunati tutti e tre, in precedenza il culto era singolo per ognuno, i Martirologi Romano e Geronimiano nominano vari Fortunato e Giusto ma con grande incertezza se sono gli stessi venerati a Lecce.
S. Oronzo o Oronzio invece ha avuto un culto più ampio e la devozione dei fedeli si è molto diffusa specie in Puglia e Basilicata ( a Potenza è chiamato Aronzo), i leccesi gli danno merito di aver preservato la città dal contagio della peste del 1656 che imperversava in Napoli e in tutto il vicereame.
E’ oggetto di molte opere d’arte tipiche del barocco leccese, compreso delle guglie, sempre raffigurato con abiti vescovili, il pastorale e ai piedi i resti degli idoli da lui infranti.
Giusto, discepolo di s. Paolo, era in viaggio verso Roma, quando una forte burrasca del mare fece naufragare la nave sulle coste della Penisola Salentina; qui incontrò due cittadini di Lecce, Oronzo e Fortunato, zio e nipote e li convertì al cristianesimo. Secondo la tradizione lo stesso s. Paolo, nominò Oronzo primo vescovo della città, qui le notizie diventano più lacunose, i tre santi si misero a predicare il Vangelo e convertire i pagani idolatri e andati nella città di Lecce, arditamente fecero a pezzi la statua di Giove che stava nel suo bellissimo tempio, allo stesso modo dopo pochi giorni ruppero a pezzi la statua di Marte posta fuori la città.
Non è certo se è per questi episodi o altro, che Oronzo fu martirizzato con l’ascia, durante la persecuzione di Nerone, stessa sorte toccò a Fortunato che gli era succeduto nella carica di vescovo, ed a Giusto.
Il culto per questi martiri è antichissimo sia a Lecce che nell’Italia Meridionale; solo nel 1658 la festa li vede accomunati tutti e tre, in precedenza il culto era singolo per ognuno, i Martirologi Romano e Geronimiano nominano vari Fortunato e Giusto ma con grande incertezza se sono gli stessi venerati a Lecce.
S. Oronzo o Oronzio invece ha avuto un culto più ampio e la devozione dei fedeli si è molto diffusa specie in Puglia e Basilicata ( a Potenza è chiamato Aronzo), i leccesi gli danno merito di aver preservato la città dal contagio della peste del 1656 che imperversava in Napoli e in tutto il vicereame.
E’ oggetto di molte opere d’arte tipiche del barocco leccese, compreso delle guglie, sempre raffigurato con abiti vescovili, il pastorale e ai piedi i resti degli idoli da lui infranti.
Tratto da
http://www.leccenews24.it/attualita/storia-di-oronzo-martire-santo-e-patrono-di-lecce.htm
Sant’Oronzo
non è stato il primo protettore di Lecce. La città infatti, era posta sotto la custodia
celeste di Santa Irene che ne fu la prima patrona. Solo in epoca moderna la
città passò sotto la protezione religiosa di quello che fu il primo vescovo di Lecce, quasi 2000
anni fa.
Non tutti sanno che Sant’Oronzo fu
contemporaneo di Gesù Cristo, essendo vissuto nel primo secolo. La sua storia
prende avvio qualche anno dopo la crocifissione del Signore, grazie alle
relazioni che il giovane leccese intrattenne con uno dei più importanti
discepoli dell’apostolo Paolo e cioè Giusto, un cittadino greco che ebbe
incarico di raggiungere Roma, dove Pietro aveva fondato la Chiesa occidentale.
Durante il viaggio per mare Giusto fu vittima di un terribile fortunale che
interessò il canale d’Otranto e naufragò sulla costa leccese nei pressi
dell’attuale marina di San Cataldo dove venne soccorso e aiutato da un giovane
patrizio romano chiamato Oronzo e da suo nipote Fortunato.
Giusto parlò ad Oronzo che ancora
non aveva assunto questo nome (Oronzo è il nome cristiano di Publio da Rugge,
imposto da San Giusto al momento del suo battesimo avvenuto in circostanze a
noi sconosciute) del Vangelo di Cristo così come egli lo aveva appreso dal
racconto dell’Apostolo Paolo in persona. Il giovane, di ricca famiglia
patrizia, rimase estasiato dal racconto di Giusto e decise di abbracciare
quella dottrina proveniente dalla lontana Palestina, ma che nel giro di un
decennio si era estesa in tutto il bacino nord occidentale del Mediterraneo.
La
leggenda vuole che lo stesso San Paolo abbia imposto le mani a Oronzo per
ordinarlo vescovo, così come Oronzo fece con il
nipote Fortunato che gli succedette dopo la morte. Intanto Giusto e Oronzo
girarono in lungo e il largo la il Salento e la Puglia evangelizzando e
convertendo al Cristianesimo città e villaggi.
Ma i tempi erano avversi ai
cristiani. La persecuzione degli imperatori si fece spietata e crudele, perché
la nuova religione minava alle basi il potere stesso della Roma imperiale.
Sotto il governo di Nerone la persecuzione raggiunse anche le periferie e Oronzo e Giusto furono vittime di tale azione
repressiva. La condanna era inevitabile, e nonostante l’intervento
dell’apostolo Paolo, divenuto intanto cittadino di Roma, non fu possibile
cambiare la sorte dei due leccesi.
A pochi chilometri da Lecce, lungo
la via per il mare, il vescovo di Lecce e il suo ispiratore e maestro, furono
sottoposti a supplizi e violenze, prima di essere decapitati nel luogo esatto dove oggi sorge il tempio di Sant’Oronzo fuori le mura,
detto in dialetto locale “Capu te Santu Ronzu” proprio a ricordare la
decapitazione avvenuta per mano della giustizia romana. La decapitazione era una morte onorevole,
a differenza della Crocifissione, essendo questo un privilegio che veniva
riservato ai cittadini romani, colpevoli però di tradimento o ingiuria.
Oggi Sant’Oronzo è presente in tutta
l’iconografia cattolica leccese. Troneggia sulla facciata barocca della Chiesa
Cattedrale e sulla colonna posta nel mezzo della piazza che da Lui prende il
nome. Molti leccesi, in segno di devozione da parte dei loro genitori,
sono stati battezzati col nome di Oronzo che significa “risorto”. Una festa
patronale di tre giorni (24,25 e 26 agosto) ogni anno lo ricorda e lo celebra
insieme a Giusto e Fortunato.
Per
la memoria del 1 novembre
Santo
Alessandro di Bergamo martire
Tratto da quotidiano Avvenire
Patrono
di Bergamo, vissuto a cavallo del III e IV secolo. Dopo essere stato comandante
di centuria della legione Tebea, utilizzata prevalentemente in Oriente, è
spostato in Occidente. Gli viene ordinato di ricercare i cristiani contro i
quali è in atto una persecuzione. Di fronte al suo rifiuto e di alcuni compagni
segue la decimazione, a cui riesce a salvarsi. Scappa a Milano dove però è
riconosciuto e incarcerato. Grazie a san Fedele, che organizza la fuga di
Alessandro, si rifugia a Como e infine, passando per Fara Gera d'Adda e
Capriate, arriva a Bergamo. Qui, ospite del principe Crotacio, che lo aiuta a
nascondersi, inizia la sua opera di predicazione e conversione di molti
cittadini, tra cui i martiri Fermo e Rustico. Ma nel 303 Alessandro è nuovamente
scoperto e catturato. Condannato alla decapitazione, muore il 26 agosto a
Bergamo, dove ora sorge la chiesa di Sant'Alessandro in Colonna.
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/34250
Alessandro,
patrono della città di Bergamo, è raffigurato tradizionalmente in veste di
soldato romano con un vessillo recante un giglio bianco. Il vessillo sarebbe
stato quello della Legione Tebea comandata da s. Maurizio (legione romana
composta secondo la leggenda da soldati egiziani della Tebaide) nella quale Alessandro
sarebbe stato secondo gli Atti del martirio, comandante di centuria. La legione
romana utilizzata in prevalenza in oriente, venne spostata nel 301 in occidente
per controbbattere gli attacchi dei Quadi e dei Marcomanni. Durante
l'attraversamento del Vallese alla legione fu ordinato di ricercare i cristiani
contro i quali era stata scatenata una persecuzione. I legionari, cristiani a
loro volta, si rifiutarono e per questa insubordinazione vennero puniti con la
decimazione eseguita ad Agaunum (oggi S. Moritz). La decimazione consisteva
nell'uccisione di un uomo ogni dieci. Al perdurare del rifiuto dei legionari di
perseguitare i cristiani, fu eseguita una seconda decimazione e quindi
l'imperatore ordinò lo sterminio. Pochi furono i superstiti, tra cui Alessandro,
Cassio, Severino, Secondo e Licinio che ripararono in Italia. A Milano
Alessandro fu però riconosciuto e incarcerato, dove rifuta di abiurare. In
carcere riceve la visita di s. Fedele e del vescovo s. Materno. Proprio s.
Fedele riesce a organizzare la fuga di Alessandro, che ripara a Como, dove fu
nuovamente catturato. Riportato a Milano fu condannato a morte per
decapitazione, ma durante l'esecuzione ai boia si irrigidivano le braccia. Fu
allora nuovamente incarcerato. Riuscì nuovamente a fuggire e raggiunse Bergamo
passando per Fara Gera d'Adda e Capriate. A Bergamo fu ospitato dal principe
Crotacio, che lo invitò a nascondersi, ma Alessandro iniziò a predicare e a
convertire molti bergamaschi, tra cui i martiri Fermo e Rustico. Fu perciò scoperto
e nuovamente catturato, la decapitazione venne eseguita pubblicamente il 26
agosto 303 nel luogo ove oggi sorge la chiesa di S. Alessandro in Colonna.
Probabilmente Alessandro fu effettivamente un soldato romano, originario o
residente a Bergamo, torturato e ucciso per non avere rinunciato alla propria
fede cristiana.
Tratto
da
https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/86147_la_storia_di_santalessandro_martire_e_patrono_della_nostra_citt/
La
vicenda di Sant’Alessandro — a cui si fa risalire la prima evangelizzazione di
Bergamo — è una commistione fra storia e leggenda. Il soldato cristiano Fedele,
su invito del vescovo di Milano, visita il carcere militare.
Lì incontra il soldato Alessandro, alfiere e portainsegne della legione Tebea, che viene fatto fuggire con altri compagni. Catturato e rifiutandosi di sacrificare agli dèi, Alessandro viene condannato a morte. La decapitazione è impossibile, perché il suo capo appare grande come una montagna al carnefice. Rimesso in carcere, riesce nuovamente a fuggire, attraversa il fiume Adda e si rifugia nei pressi di Bergamo.
Catturato una seconda volta, nel luogo dove ora sorge la chiesa di Sant’Alessandro in Captura dei frati Cappuccini di Borgo Palazzo, e rifiutandosi di sacrificare agli dèi, viene decapitato nel luogo ove sorge la colonna all’esterno della basilica di Sant’Alessandro in Colonna.
La nobile matrona Grata ne raccoglie il corpo per seppellirlo: durante il tragitto, sul luogo dove ora sorge la chiesa di Sant’Alessandro della Croce in Pignolo, dalle gocce di sangue cadute nella terra nascono dei gigli.
I resti del santo sono sepolti in un podere di Città Alta, sul luogo dove poi fu costruita la basilica alessandrina, abbattuta nel 1561 in seguito alla costruzione delle Mura venete. Antichissima la tradizione di esporre le sue reliquie alla venerazione pubblica, soprattutto nei momenti più drammatici, come guerre, calamità naturali, carestie.
tratto da
Lì incontra il soldato Alessandro, alfiere e portainsegne della legione Tebea, che viene fatto fuggire con altri compagni. Catturato e rifiutandosi di sacrificare agli dèi, Alessandro viene condannato a morte. La decapitazione è impossibile, perché il suo capo appare grande come una montagna al carnefice. Rimesso in carcere, riesce nuovamente a fuggire, attraversa il fiume Adda e si rifugia nei pressi di Bergamo.
Catturato una seconda volta, nel luogo dove ora sorge la chiesa di Sant’Alessandro in Captura dei frati Cappuccini di Borgo Palazzo, e rifiutandosi di sacrificare agli dèi, viene decapitato nel luogo ove sorge la colonna all’esterno della basilica di Sant’Alessandro in Colonna.
La nobile matrona Grata ne raccoglie il corpo per seppellirlo: durante il tragitto, sul luogo dove ora sorge la chiesa di Sant’Alessandro della Croce in Pignolo, dalle gocce di sangue cadute nella terra nascono dei gigli.
I resti del santo sono sepolti in un podere di Città Alta, sul luogo dove poi fu costruita la basilica alessandrina, abbattuta nel 1561 in seguito alla costruzione delle Mura venete. Antichissima la tradizione di esporre le sue reliquie alla venerazione pubblica, soprattutto nei momenti più drammatici, come guerre, calamità naturali, carestie.
tratto da
https://digilander.libero.it/nonsoloperfede/Santi/Alessandro.htm
il nucleo storico da quanto leggenda e tradizione ci hanno
consegnato. Lo si vuole alfiere della legione texana di stanza a Milano, poi
convertito al Cristianesimo. Fu presto colpito dalla persecuzione di
Diocleziano e Massimiano e carcerato coi compagni. Riuscì a fuggire con essi
verso Como, dove fu nuovamente arrestato e condotto a Milano, alla presenza di
Massimiano. Costui gli impose allora di sacrificare agli dei pagani; ma
Alessandro abbatté l'ara pronta per il sacrificio, onde l'imperatore inferocito
condannò che fosse ucciso. Sennonché il carnefice, Marziano, sguainò la spada,
ma non osò ferire; ed avendonelo Massimiano ripreso, gli rispose:
"Signore, il capo di costui mi appare come un monte, ed io ne tremo
tutto".
Furono allora chiamati altri carnefici;
ma Alessandro nel frattempo riuscì a fuggire, e, passato l'Adda a piedi
asciutti, giunse in una piccola città presso Bergamo - dicono gli altri -
chiamata Pretoria. Ivi si nascose in alcune boscaglie, ma fu ripreso dagli
sgherri dell'imperatore, i quali lo caricarono di catene e lo trassero innanzi
alla statua di Plotacio (Crotacio), per sacrificarvi agli idoli, o per esservi
ucciso. Qui giunto, Alessandro domandò dell'acqua, si lavò le mani, pregò
ardentemente Iddio, consegnò nelle sue mani lo spirito e offerse il collo al
carnefice, che lo decapitò. Era il 26 agosto 298 (ma c'è anche chi ipotizza
un'altra data, di poco anteriore o posteriore).
Nei dì seguenti, Grata, figlia di
Lupo, trovò il suo corpo, intorno al quale, e dalle gocce di sangue, erano
spuntati candidi gigli: lo fece raccogliere e devotamente seppellire fuori
della città in un piccolo orto.
Al di là della veridicità e
dell'esattezza storica di alcuni particolari, la connotazione specifica di S.
Alessandro è quella di aver introdotto la fede cristiana in Bergamo,
connotazione che costituisce la ragione della sua scelta a patrono della città
e del territorio. Ed è certo che il culto per questo martire si diffuse presto
nella nostra diocesi: lo dimostrano le numerose chiese a lui dedicate, a
principiare da quella fatta erigere nel 585 dal re longobardo Autari a Fara
Autarena (oggi Fara d'Adda)
Tratto da
http://www.famigliacristiana.it/liturgia/sant-alessandro_42611.aspx
Il
martirio di sant’Alessandro, patrono di Bergamo, ci viene raccontato dagli Atti
che, pur non essendo di epoca molto tarda, contengono elementi fantasiosi e
storicamente discutibili. Ci parlano di un soldato della famosa Legione Tebea
di stanza a Milano, convertitosi al cristianesimo e incarcerato con alcuni
compagni in seguito all’editto di persecuzione promulgato dal Diocleziano e
Massimiano nel 303. Fuggito verso Como, Alessandro sarebbe stato arrestato e
ricondotto a Milano alla presenza dell’imperatore Massimiano, che gli ordinò di
sacrificare agli dei, ma egli avrebbe rovesciato l’idolo provocando la sua
immediata condanna a morte. Il carnefice però non osava colpirlo e l’esecuzione
sarebbe stata sospesa. Fuggito una seconda volta, il santo si sarebbe nascosto
in una boscaglia ma sarebbe stato ripreso dalle guardie imperiali. Essendosi
nuovamente rifiutato di sacrificare agli idoli, sarebbe stato decapitato. Il
corpo sarebbe stato sepolto da una matrona di nome Grata in un suo podere, dove
venne poi costruita una basilica. Il culto di Alessandro si sviluppò
prestissimo sul suo sepolcro; nei calendari della città dei secolo XI e XIII si
afferma che nonostante le continue devastazioni barbariche subite, la cripta
con i resti del martire è rimasta intatta. Inoltre, fin dal secolo VI la
costruzione di una chiesa a lui intitolata a Fara Autarena, nel 585, ad opera
del re Autari, conferma che il culto era già esteso in epoca interiore. A Bergamo
e nella diocesi sono numerose le chiese intitolate al santo: in città, oltre al
Duomo, ci sono quelle di Sant’Alessandro della Morla (o dei Cappuccini), che
secondo la tradizione, sarebbe sorta sul luogo dove il santo venne arrestato;
di sant’Alessandro in Colonna, eretta, sempre secondo la tradizione, sul luogo
del martirio; infine, di Sant’Alessandro della Croce, costruita per ricordare i
gigli che sarebbero germogliati da alcune gocce di sangue cadute dal capo del
martire nella decapitazione.
Santo
Gianuario di Cartagine vescovo a Marsico Nuovo in Italia dove si addormentò nel
Signore e di cui è patrono (in alcuni codici ritenuto martire insieme con i
Santi Felice ed Onorato )
Tratto
da https://it.wikipedia.org/wiki/Gianuario_vescovo
A Potenza fu accusato dal magistrato Leonzio di turbare la quiete pubblica e venne condannato a morte nell'ambito della persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano. Gianuario si salvò con la fuga e si recò a Marsico, dove fu accolto con favore. Raggiunto però dagli uomini di Leonzio nel bosco del Monte Arioso, Gianuario fu decapitato a colpi di scure insieme a Felice e Onorato. Secondo una tradizione, la sua testa dopo esser caduta a terra si levò in alto e parlò ai carnefici. Il corpo di Gianuario fu quindi nascosto in una fossa vicino alle radici di un albero, dove venne ricoperto da pietre e terra.
Secondo lo storico e agiografo Francesco Lanzoni, il patrono di Marsico ha un profilo leggendario e potrebbe essere identificato o con un san Gennaro[4] di origine africana o con il più celebre san Gennaro, patrono di Napoli[3]. Le reliquie apparterrebbero invece a Felice e Onorato, entrambi di origine africana e martiri a Potenza[3]
^ Santi dell'Arcidiocesi,
Arcidiocesi di Potenza - Muro Lucano - Marsico Nuovo. URL consultato il 24
novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 7 maggio 2013).
^ Agosto, volume V, pp.
813-814. Parziale traduzione in italiano in: Annali del Regno di Napoli,
1803, p. 90.
^
a b c Francesco
Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle
origini al principio del secolo VII (an. 604), Faenza 1927, p. 326.
Ancora oggi si indica il luogo dove fu trovato il corpo del santo, con un grosso mucchio di pietre, volgarmente chiamato “Macera di san Gianuario”. Poco lontano scorre un ruscello che ancora conserva il nome di Fonte di san Gianuario. Ogni anno è tradizione visitare il luogo in cui il Santo fu martirizzato nove giorni prima della solennità, 17 agosto.
Nel 1502 Gonzalo Fernández de Córdoba incendiò Marsico e i suoi soldati rubarono una gamba di san Gianuario. Rientrati in Spagna lo portarono nella città di Ciudad Rodrigo, dove si venera il culto di Gianuario[6]. Del corpo del santo si erano nel frattempo perse le tracce. Quando il vescovo Pietro Ignazio Marolda nel 1826 fece scavare nella chiesa di S. Stefano, il corpo del Santo fu ritrovato ad eccezione del braccio trafugato. Il 31 gennaio 1827 il vescovo ordinò quindi che le ossa fossero traslate nella chiesa Cattedrale. Il 25 agosto 1950 il vescovo Augusto Bertazzoni ha proceduto alla rimozione delle sacre reliquie di San Gianuario dalla vecchia urna per riporle in una nuova offerta dalla popolazione. All'interno dell'urna fu rinvenuto un documento che diceva:
« Quae hic servantur sunt divi Januarii Martyris qui
olim in Africa, et ut fertur Carthaginiensis Episcopus in persecutione
Diocletiani et Maximiani, cum inde profugus in Italiam venisset, anno CCLXXXII
incidit in manus impii Leontii Praesidis Lucanae Provinciae; iussu cuius ad
Ariosum locum cum Felicem et Onorato secure percutitur; eadem ossa cum diu
cristianis fuissent ignota Deo rilevante cuidam piae feminae Susanna nomine,
Grimaldo Episcopo e Marsicen reperta fuere. Non sine miraculo in sacello divi
Stephani protomartiris traslata, deposita fuerunt subter Altare Martyris
nomini dicato usque ad diem XXXI mensis Januarii anni MDCCCXXVII. Quo tempore
collabente sacello, convenerunt per Petrum Ignatium Marolda, Episcopum
Marsicen et Potentin, elata, isto in loco deposita fuerunt venerationis
causa » |
^ Una
ricostruzione della vicenda può essere consultata negli "Annali
Critico-Diplomatici del Regno di Napoli della Mezzana Età, Volume 8", di Alessandro di Meo,
1803, Annali Critico-Diplomatici Del Regno Di Napoli
Della Mezzana Età - Alessandro di Meo - Google Libri
^ (ES) Justo
García Sánchez, Procesos consistoriales
civitatenses: Miróbriga en los siglos XVII y XVIII, Università di Oviedo,
1994. URL consultato il 25 novembre 2013.
Santi Ireneo e Abbondio Martiri
a Roma
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/67310
Il Martirologio Geronimiano li ricorda
il 23 agosto, il Romano invece, seguendo Beda, il 26 dello stesso mese ed
aggiunge che perirono durante la persecuzione di Valeriano, gettati nella cloaca
perché avevano curato la sepoltura della martire Concordia; i loro corpi furono
raccolti dal presbitero Giustino e sepolti in agro Verano presso il tomba di
san Lorenzo. Queste notizie provengono dalla leggendaria passio Polychronii in
cui però si dice che i due santi perirono nella persecuzione di Decio e per
opera del prefetto Valeriano.
I loro sepolcri erano venerati nel secolo VII, ma gli Itinerari non sono concordi nell’indicarne l’ubicazione: la Notitia Ecclesiarum, infatti, afferma che erano sepolti in una cappella accanto e ad ovest della basilica di san Lorenzo fuori le mura; il De locis invece e il Malmesburiense (che non ricorda però Ireneo) affermano che erano deposti sotto l'altare di san Lorenzo. I primi due Itinerari, inoltre, parlano di una pietra che stava nella cappella (Notitia) o fuori nel portico (De Locis), che era servita per gettare Abbondio nel pozzo e che superstiziosamente «tollent digito multi homines nescientes quid faciunt».
Dalle diverse notizie della passio e degli itinerari si deve concludere che ormai nel secolo VII non si sapeva niente di certo sulla vita dei due martiri. Né maggiori indicazioni sa darci il monaco Gottschalk di Limbourg che nel secolo XI compose in loro onore due sermoni, dai quali soltanto apprendiamo che il corpo di Abbondio, senza testa, era conservato nella chiesa di quel monastero, mentre di quello di Ireneo non si avevano più sicure notizie.
I loro sepolcri erano venerati nel secolo VII, ma gli Itinerari non sono concordi nell’indicarne l’ubicazione: la Notitia Ecclesiarum, infatti, afferma che erano sepolti in una cappella accanto e ad ovest della basilica di san Lorenzo fuori le mura; il De locis invece e il Malmesburiense (che non ricorda però Ireneo) affermano che erano deposti sotto l'altare di san Lorenzo. I primi due Itinerari, inoltre, parlano di una pietra che stava nella cappella (Notitia) o fuori nel portico (De Locis), che era servita per gettare Abbondio nel pozzo e che superstiziosamente «tollent digito multi homines nescientes quid faciunt».
Dalle diverse notizie della passio e degli itinerari si deve concludere che ormai nel secolo VII non si sapeva niente di certo sulla vita dei due martiri. Né maggiori indicazioni sa darci il monaco Gottschalk di Limbourg che nel secolo XI compose in loro onore due sermoni, dai quali soltanto apprendiamo che il corpo di Abbondio, senza testa, era conservato nella chiesa di quel monastero, mentre di quello di Ireneo non si avevano più sicure notizie.
Tratto
da
http://www.enrosadira.it/santi/i/ireneo-abbondio.htm
Ireneo e Abbondio, santi, martiri di Roma, secondo la
Notitia Ecclesiarum erano sepolti in una cappella vicino a S. Lorenzo f.l.m. o
nelle adiacenti catacombe. Il Piazza vuole parte dei loro corpi a S. Maria in
Portico e parte nella grotta presso S. Lorenzo. Loro reliquie risultano
nell’elenco di quelle esposte a S. Maria in Portico nel giorno dell’Assunzione,
per la cerimonia della Solenne Ostensione.
Martirologio .Romano .: 26 agosto - A Roma i santi Martiri Ireneo ed Abbondio, i quali, nella persecuzione di Valeriano, perchè avevano tolto via il corpo della beata Concordia, che era stato gettato in una cloaca, furono sommersi nella medesima cloaca. I loro corpi, di là estratti dal Prete Giustino, furono sepolti in una cripta, vicino al beato Lorenzo.
Tratto da
http://guidasantuari.altervista.org/blog/santi-abbondio-e-ireneo/
Il
centro del culto non è stato identificato con certezza; dalla Notizia
Ecclesiarum sappiamo che i due martiri vennero sepolti in parvum cubiculum
extra ecclesiam in occidente; nel De Locis si afferma invece che Abbondio fu
deposto sub eodem altare (insieme a Lorenzo), mentre non si fa menzione di
Ireneo. Non si esclude che le tombe dei due martiri possano essere localizzate
nell’area posta immediatamente ad occidente dell’abside della basilica di
Pelagio II (579-590), dove gli scavi misero alla luce alcune strutture che
furono oggetto di una serie di interventi di monumentalizzazione, in
particolare una sorta di pozzo-cataratta foderato esternamente di marmo, posto
in relazione con una sepoltura.Descrizione: L’oggetto del culto doveva essere,
come in tutti i santuari martiriali, la tomba dei martiri, che tuttavia non è
stata identificata con certezza; non si esclude che essa potesse essere situata
nella zona immediatamente ad occidente dell’abside della basilica di Pelagio II
(579-590), dove gli scavi hanno portato alla luce un pozzo-cataratta posto in
relazione con una sepoltura; oggetto di culto era anche la pietra con la quale
Abbondio, secondo quanto riferito dagli Itinerari del VII secolo (Notitia
Ecclesiarum e De Locis), sarebbe stato gettato nel pozzo; i due testi indicano
che la pietra era custodita nel portico della chiesa. Entrata in uso: tra
l’anno 400 e l’anno 450
I
martiri sono ricordati per la prima volte nel Martirologio Geronimiano
(400-450); la più tarda attestazione è quella contenuta nell’Itinerario di
Malmesbury, la cui fonte si pone, concordemente, fra il 648 e il 682
(Valentini-Zucchetti, p. 135). Dopo tale data non si hanno altre attestazioni
dirette di un culto tributato ai due martiri.
Nella Passio Polychronii, riferibile al V-VI secolo, si narra che dopo il martirio i corpi di Ireneo e Abbondio sarebbero stati seppelliti dal presbitero Giustino iuxta corpus beati Laurentii, in crypta in Agro Verano.
Nella Passio Polychronii, riferibile al V-VI secolo, si narra che dopo il martirio i corpi di Ireneo e Abbondio sarebbero stati seppelliti dal presbitero Giustino iuxta corpus beati Laurentii, in crypta in Agro Verano.
Santo
Secondo martire
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92328
Il
martirio di San Secondo avvenne nell’antica Vittimulo (oggi frazione San
Secondo di Salussola, in provincia di Biella) in un anno compreso tra il 286 e
il 306. Patrono di Ventimiglia (nella Cattedrale è venerato il suo capo), è
compatrono anche di Torino. Qui, in un altare del Duomo, sono conservate le
altre sue reliquie e, in città, gli è dedicata una parrocchia che dà il nome alla
zona circostante. Le notizie più antiche che abbiamo su questo martire sono
contenute in documenti medievali del IX secolo.
Luogotenente della Legione Tebea, Secondo era nativo della provincia di Tebe, nell’Alto Egitto. Gli Imperatori romani Diocleziano e Massimiano avevano inviato questo esercito in Svizzera, agli ordini di Maurizio, per sedare la rivolta dei Bagaudi. L’intera Legione trovò la morte ad Agauno (odierna St. Maurice, nel Vallese), in quanto i suoi membri, tutti cristiani, non rinnegarono il proprio credo partecipando al consueto sacrificio pagano che si teneva prima di una battaglia. Secondo fu martirizzato prima che la Legione varcasse le Alpi. La sua “Passio” narra che, dopo essersi professato cristiano, gli fu dato un termine per abiurare che scadeva con l’arrivo a Vittimulo, stazione di sosta nella marcia verso le Gallie. Al suo diniego venne decapitato: il sangue di un martire bagnava la terra biellese. Secondo fu d’esempio a tutti i compagni.
La piccola comunità cristiana del paese lo seppellì e la tomba divenne luogo segreto di preghiera, pubblico dopo l’editto di Costantino. Se ovviamente non esistono documenti coevi ai fatti, certo è che il suo culto a Vittimulo fu immediato. La più antica pieve del basso biellese fu eretta in suo onore, sul luogo del martirio, da S. Eusebio (vescovo dal 345 al 371). Se ne conserva una lapide del V – VI secolo, oggi al Museo Civico di Biella. La venerazione era talmente radicata che, nei secoli successivi, il luogo era denominato semplicemente “plebes S. Secundi”.
Le reliquie di San Secondo lasciarono Vittimulo nel VIII – IX secolo, a causa della distruzione del paese. Furono portate nell’abbazia benedettina della Novalesa, tra le maggiori del Piemonte, fondata nel 726 lungo una delle vie più importanti delle Alpi. Probabilmente furono prese durante la distruzione, poi donate o vendute ai Benedettini. Nel 906, per sfuggire all’invasione dei Saraceni, i monaci ripararono a Torino portando le reliquie dei santi e preziosi codici manoscritti. Una loro proprietà era il monastero di Sant’Andrea (odierno Santuario della Consolata) e lì trovarono rifugio. Nel 990 i benedettini poterono tornare alla Novalesa: i resti di S. Secondo furono lasciati in città dove gli era stata dedicata una chiesa presso la Dora (distrutta nell’XI secolo), a eccezione del capo che fu donato al vescovo Panteio di Ventimiglia. Egli, a Susa per ripianare delle controversie, aveva riconsacrato gli altari della Novalesa.
Nel 1579, in occasione di una pestilenza, la città di Ventimiglia fece un voto a S. Secondo. Liberata dal morbo fu eletto patrono dell’intera diocesi (ufficialmente nel 1602) con festa al 26 agosto. Negli antichissimi codici di Vercelli, alcuni dei quali provenienti dalla Novalesa, era invece stabilita al 28 agosto. Anche a Torino fu eletto compatrono della città durante una pestilenza (nel 1630). La diocesi di Biella, dal 2004, ha ripristinato la memoria liturgica nel calendario diocesano.
Luogotenente della Legione Tebea, Secondo era nativo della provincia di Tebe, nell’Alto Egitto. Gli Imperatori romani Diocleziano e Massimiano avevano inviato questo esercito in Svizzera, agli ordini di Maurizio, per sedare la rivolta dei Bagaudi. L’intera Legione trovò la morte ad Agauno (odierna St. Maurice, nel Vallese), in quanto i suoi membri, tutti cristiani, non rinnegarono il proprio credo partecipando al consueto sacrificio pagano che si teneva prima di una battaglia. Secondo fu martirizzato prima che la Legione varcasse le Alpi. La sua “Passio” narra che, dopo essersi professato cristiano, gli fu dato un termine per abiurare che scadeva con l’arrivo a Vittimulo, stazione di sosta nella marcia verso le Gallie. Al suo diniego venne decapitato: il sangue di un martire bagnava la terra biellese. Secondo fu d’esempio a tutti i compagni.
La piccola comunità cristiana del paese lo seppellì e la tomba divenne luogo segreto di preghiera, pubblico dopo l’editto di Costantino. Se ovviamente non esistono documenti coevi ai fatti, certo è che il suo culto a Vittimulo fu immediato. La più antica pieve del basso biellese fu eretta in suo onore, sul luogo del martirio, da S. Eusebio (vescovo dal 345 al 371). Se ne conserva una lapide del V – VI secolo, oggi al Museo Civico di Biella. La venerazione era talmente radicata che, nei secoli successivi, il luogo era denominato semplicemente “plebes S. Secundi”.
Le reliquie di San Secondo lasciarono Vittimulo nel VIII – IX secolo, a causa della distruzione del paese. Furono portate nell’abbazia benedettina della Novalesa, tra le maggiori del Piemonte, fondata nel 726 lungo una delle vie più importanti delle Alpi. Probabilmente furono prese durante la distruzione, poi donate o vendute ai Benedettini. Nel 906, per sfuggire all’invasione dei Saraceni, i monaci ripararono a Torino portando le reliquie dei santi e preziosi codici manoscritti. Una loro proprietà era il monastero di Sant’Andrea (odierno Santuario della Consolata) e lì trovarono rifugio. Nel 990 i benedettini poterono tornare alla Novalesa: i resti di S. Secondo furono lasciati in città dove gli era stata dedicata una chiesa presso la Dora (distrutta nell’XI secolo), a eccezione del capo che fu donato al vescovo Panteio di Ventimiglia. Egli, a Susa per ripianare delle controversie, aveva riconsacrato gli altari della Novalesa.
Nel 1579, in occasione di una pestilenza, la città di Ventimiglia fece un voto a S. Secondo. Liberata dal morbo fu eletto patrono dell’intera diocesi (ufficialmente nel 1602) con festa al 26 agosto. Negli antichissimi codici di Vercelli, alcuni dei quali provenienti dalla Novalesa, era invece stabilita al 28 agosto. Anche a Torino fu eletto compatrono della città durante una pestilenza (nel 1630). La diocesi di Biella, dal 2004, ha ripristinato la memoria liturgica nel calendario diocesano.
Santo
Elia vescovo di Siracusa
TRATTO
da
Nato a Siracusa e fu ordinato diacono e sacerdote da San Zosimo, vescovo della città, che predisse anche che egli sarebbe stato il suo successore. Il Papa Vitaliano, infatti, lo nominò vescovo di Siracusa nel 656.
Elia governò la Chiesa siracusana sino alla morte avvenuta nel 664, mentre l’imperatore Costante visitava la città
San Rufino Vescovo di
Capua
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/67710
di
origine siriana, presbitero in Palestina, visse nella seconda metà del IV sec.
d.C., sotto il pontificato di Atanasio. Da principio negò la trasmissione del
peccato originale, ma poi convertito a Roma dai Santi Girolamo e Pammacchio,
scrisse una serie di libri ortodossi sulla fede. Veniva lodato per la sua viva
intelligenza e l'arguzia di mente. Fece atto di sottomissione al Vescovo di
Roma e con l'aiuto del Santo Pammacchio riuscì a liberarsi dai suoi errori. San
Rufino strinse un forte legame di amicizia con San Girolamo, questi più volte
si recò con lui in diversi luoghi per compiere importanti legazioni diplomatiche.
Fu creato vescovo di Capua verso il 410 dal Santo Pontefice Innocenzo I,
morì a Capua il 25 Agosto del 423. Dopo la morte avvennero vari e interessanti
prodigi e miracoli attribuiti al vescovo morto in odore di santità. Sepolto
nella basilica dei Ss Apostoli, venne poi trasferito il corpo, nel 688 dal
Vescovo d'allora S. Decoroso, in quella dei Ss. Stefano ed Agata, ed indi nella
odierna cattedrale, dove rimane tuttora ignoto il sito in cui giace,
comunque si dica posto all'ingresso della presente cappella della Concezione, o
all'ingresso del Tesoro. Non a lui, ma si dice appartenente piuttosto a S.
Rufino Conf. di Mantova quella piccola reliquia nel Tesoro del Duomo di Capua,
che facilmente si ottenne al tempo del Card. Arcivescovo Ippolito d'Este di Ferrara,
dove si venera il suo corpo con culto speciale. Fu pure insigne Taumaturgo dopo
morto. Verso la metà del IX sec d.C., il longobardo Radiperto, vescovo
vulturnense, gli faceva erigere nella sua cattedrale un superbo altare marmoreo
rivestito finemente con argento e metalli preziosi . Il marmo sepolcrale
riportava la scritta: "Perspicuo argenti sacrum altare metallo Rufini
eximii struxit in omne decus." e ciò faceva da testimone del pregio e
della santità del Vescovo capuano nostro protettore. Il breviario Capuano
riporta su San Rufino la seguente espressione: "Rufinus Episcopus Vir
Eximii Sanctitatis". Furono fondate innumerevoli chiese e cappelle in suo
onore sia dai longobardi che ne avevano particolare cura, sia dai capuani che
ne erano fortemente legati.
Furono proprio i Longobardi che ne portarono il culto nell’antica diocesi di Sinuessa, in modo particolare nell’attuale Mondragone (CE), oggi Diocesi di Sessa Aurunca, dove è fortemente venerato e il 25 agosto di ogni anno è festeggiato nella parrocchia omonima, la più grande della diocesi. Particolare rilancio alla memoria del santo è stata apportata dall'attuale Vicario generale mons. Franco Alfieri e dal parroco don Osvaldo Morelli. Nella parrocchia di San Rufino fa da sfondo ai bassorilievi del marmoreo altare, un bellissimo mosaico che raffigura il santo vescovo tra due angeli.
Furono proprio i Longobardi che ne portarono il culto nell’antica diocesi di Sinuessa, in modo particolare nell’attuale Mondragone (CE), oggi Diocesi di Sessa Aurunca, dove è fortemente venerato e il 25 agosto di ogni anno è festeggiato nella parrocchia omonima, la più grande della diocesi. Particolare rilancio alla memoria del santo è stata apportata dall'attuale Vicario generale mons. Franco Alfieri e dal parroco don Osvaldo Morelli. Nella parrocchia di San Rufino fa da sfondo ai bassorilievi del marmoreo altare, un bellissimo mosaico che raffigura il santo vescovo tra due angeli.
Santo
Felice prete a Pistoia
Tratto
da
http://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/2001/02/22/ZP202.html
Vissuto
in epoca longobarda, parla di lui una «legenda» conservata nell'archivio capitolare,
senza confini precisi tra certo e incerto. Ma studi recenti hanno chiarito
molte cose: intanto si dà per certo che è vissuto davvero. Il prete Felice
faceva l'eremita. Luogo prescelto era la valle della Bure, tra Candeglia,
Santomoro e Valdibure.Pregava e faceva digiuni e penitenze.Anche quando tornò a
vivere in città continuò la stessa vita di ascetica . La sua simpatia, si
direbbe,era tutta per il popolo bisognoso: guariva dal vaiolo, liberava dagli
spiriti maligni,assisteva le donne durante il parto.Il miracolo più curioso che
gli si attribuisce è la resurrezione di un bue,l'intero capitale di un
contadino dell'epoca.Fu tale la devozione per questo prete che i pistoiesi gli
dedicarono la cattedrale che si chiamava appunto«Ecclesia Sanctorum Zenonis,
Rufini et Felicis». Probabilmente, le sue ossa furono seppellite proprio nel
Duomo,in un'urna d'alabastro venuta alla luce nel lontano 1414. Nel '700 le
ossa furono deposte in altra urna di legno argentato,dove sono tuttora. San
Felice ha avuto a Pistoia momenti di gloria,ma il culto per lui si è poi
affievolito: i pistoiesi che prima lo avevano così osannato hanno poi spostato
le preci verso S. Jacopo e relegato in periferia il povero prete “penitenza e
popolo”: a S.Felice dove gli fu dedicata la chiesa.
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