martedì 28 agosto 2018

28 agosto santi italici ed italo greci


Alexander Chashkin Contemporary Iconographers of Russia – Orthodox Arts Journal




Santo Ermete martire a Roma



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http://www.enrosadira.it/santi/e/ermete.htm

Ermete, santo, martire a Roma, fu sepolto nel cimitero di Bassilla. Papa Pelagio I (579-590) gli dedicò il cimitero e una basilica poi restaurata da Adriano I (772-795). Il corpo si vuole traslato nell’829 da papa Gregorio IV a S. Marco Evangelista in Campidoglio. Nel XVIII secolo si venerava alcuni resti a S. Alessio e a S. Clemente, un suo braccio si esponeva a S. Maria Maggiore. La reliquia di un dito, traslata in Francia, operò diversi miracoli




Martoirologio Romano : 28 agosto - A Roma il natale di sant'Ermete, uomo illustre, il quale (come si legge negli Atti del beato Alessandro Papa), posto prima in prigione, quindi insieme a moltissimi altri ucciso colla spada, compì il martirio sotto il Giudice Aureliano





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http://www.santiebeati.it/dettaglio/67810



Il suo nome ricorre nella passio apocrifa dei santi Evenzio, Alessandro e Teodulo, la quale fa di Alessandro il papa del tempo di Traiano e di Ermete il contemporaneo prefetto di Roma, convertito dal papa insieme con la moglie, i figli, la sorella Teodora e milleduecentocinquanta schiavi. Traiano, avutane notizia, avrebbe spedito a Roma Aureliano, il quale avrebbe fatto arrestare Ermete, consegnandolo al tribuno Quirino, che lo fece decapitare. Il corpo del martire sarebbe stato raccolto dalla sorella Teodora e deposto «in Salaria veteri, non longe ab urbe Roma sub die quinto kalendas septembris». La passio non indica il nome del cimitero, ma il riferimento topografico è esatto. La Depositio Martyrum, alla stessa data, segnala: «Hermetis in Basille, Salaria vetere»; così pure il Martirologio Geronimiano; sempre in detto giorno è menzionato nel Sacramentario Gregoriano e nel Sacramentario Gelasiano.
Nel 1932, nel sopratterra del cimitero di Bassilla, si identificarono due frammenti marmorei in caratteri filocaliani, appartenenti ad un carme tramandatoci dalla sola silloge Laureshamense quarta; il De Rossi lo pubblicò dicendolo di provenienza incerta, pur sospettando fosse stato tra l’Appia e la Latina, ammettendo che il Terribilini l’avesse ritenuto l’elogio damasiano di san Ermete. Il Mantechi, invece, vi riconobbe il carme in onore di Ippolito del gruppo dei martiri greci. I due frammenti del 1932 appartengono ai primi due esametri del carme; nel maggio 1940 si identificò un terzo piccolo frammento della terza riga. La scoperta epigrafica conferma l’ipotesi del Terribilini: è l’elogio del martire Ermete. Esso, però, sfata la passio: storicamente non è mai esistito un Ermete prefetto di Roma; il cimitero di Bassilla, in cui il martire fu deposto, non si può fare risalire al tempo di Traiano. Per Damaso, il martire non è però di epoca recente: «jam dudum, quod fama refert, te Graecia misit, / sanguine mutasti patriam, civemque fratrem / fecit amor legis: sancto pro nomine passus, / incolla nunc Domini, servas qui altaria Christi / ut Damasi praecibus faveas precor, inclite martyr».
Poiché nell’epigramma manca il nome del martire, giustamente il Ferma pensa vi fosse un sesto verso, non tramandatoci dalla silloge di Lortsch, contenente la dedica di Damaso al martire Ermete. Il nome stesso tradisce l’origine ellenica di un liberto o di uno schiavo.
Il suo sepolcro venne già abbellito alla fine del secolo IV non solo col carme di Damaso, ma anche con opere architettoniche, come dimostra l’epistilio marmoreo, rinvenuto in quello stesso luogo da A. Bosio, dove su una faccia si legge Herme e sull’altra Inherens. Egli fu sepolto a una quota del secondo piano del cimitero di Bassilla, dove il papa Pelagio I (579-90) «fecit cymiterium b. Hermetis martyris». Si tratta della prima costruzione o di un restauro? Al tempo di san Gregorio Magno (590-604) un tale Giovanni recò l’olio delle lampade poste sul suo sepolcro alla regina Teodolinda. Sia la Notitia ecclesiarum, sia il Liber de locis, l’itinerario inserito da Guglielmo di Malmesbury nella Notitia portarum viarum et ecclesiarum urbis Romae e l’itinerario di Einsiedeln localizzano sulla Salaria il suo sepolcro «longe sub terra». Adriano I (772-95) restaurò la basilica presso la quale fiorì un monastero; un Eugenius... praepositus Mon. Sci Hermetis venne deposto a san Saba; l’abbazia di Ermete viene ancora ricordata tra il 1169 e il 1188. Al monastero appartenne l’oratorio in cui fu rinvenuta la sua immagine, ma forse egli era stato già rappresentato nell’abside stessa della basilica, che nel Catalogo di Torino, circa l'anno 1320, "non habet servitorem", cioè non era più officiata. La basilica fu riscoperta al tempo di A,. Bosio, all'inizio del secolo XVII; venne allora rinforzata; fu restaurata ancora dal p. G. Marchi nel 1844. Fuori Roma, il martire era venerato in Anzio già alla prima metà del V secolo: infatti, nel 418, Eulalio, il competitore del papa Bonifacio I, si rifugiò in quella cittadina "ad sanctus Hermen".
Nel 598 san Gregorio Magno spedì
brandea, che erano stati deposti sul sepolcro del martire Ermete, al vescovo Crisanto di Spoleto per la chiesa di san Maria in Rieti; l'anno seguente, consentì che in Napoli venisse eretta una chiesa in onore dei santi Ermete, Sebastiano, Ciriaco e Pancrazio; al suo tempo esisteva un monastero di Ermete in Sicilia e un altro in Sardegna.





Santo Vicino vescovo di Sarsina



Tratto dal quotidiano Avvenire




 Vicinio, che la tradizione vuole primo vescovo della diocesi di Sarsina (oggi unita a Cesena), è ritenuto di origine ligure. Si ritirò come eremita su un monte che ora porta il suo nome. Mentre sacerdoti e popolo di Sarsina erano riuniti per scegliere il vescovo, sulla cima del monte apparve un segno divino. Così il solitario Vicinio divenne pastore della comunità romagnola, dai primi del IV secolo al 330, data della morte. Il suo carisma era quello di scacciare i demoni e guarire i fedeli da infermità fisiche o dell'animo attraverso una catena che poneva loro al collo



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La ricerca storica su San Vicinio si ferma ad un manoscritto anonimo del XII secolo, denominato Lectionarium. Questo codice è quasi sicuramente la trascrizione di precedenti note scritte sulla vita di San Vicinio, databile almeno un secolo precedente. Da questo manoscritto apprendiamo che Vicinio si ritiene venuto dalla Liguria, ma potrebbe anche essere originario delle contrade della mediovalle del Savio. Sulla scia della più consolidata tradizione, lo diciamo proveniente dalla Liguria nel periodo a cavallo fra il terzo ed il quarto secolo, nell'imminenza della persecuzione di Diocleziano e Massimiano, databile dal 303 al 313. Sempre sulla scia della tradizione, lo diciamo protovescovo di Sarsina, pur non trascurando l'opinione di coloro che vogliono l' origine della Chiesa sarsinate legata al ravennate Sant' Apollinare o ai discepoli nel I secolo.
Il racconto evangelico del "Giovane ricco" e la scelta di uno stile di vita da penitente nella povertà ha sempre affascinato gli spiriti con l'inquietudine della santità. Anche Vicinio, spinto dall' amore della solitudine, si dedicò alla preghiera, alla meditazione ed alla penitenza in luogo solitario che la tradizione identifica col Monte San Vicinio, ubicato a circa sei chilometri da Sarsina.
La vita santa di Vicinio fu di tale gradimento al Signore che lo scelse pastore della comunità cristiana insediata in Sarsina. La preghiera e la penitenza avevano certamente accresciuto lo zelo per la Casa del Signore e Vicinio si dedicò alla strutturazione del gregge divino diffondendo il Vangelo anche nelle zone più impervie della Diocesi. La cronotassi dei vescovi sarsinati lo colloca primo vescovo della diocesi e afferma che fu guida di questa porzione di Chiesa fino al 28 agosto 330, giorno della sua nascita al cielo.
Penitenza e preghiera, evangelizzazione e conduzione del popolo di Dio sono i cardini a cui San Vicinio aveva incatenato la sua vita e sono pure la strada maestra da lui scelta per realizzare la sua personale chiamata alla santità. Ogni santo incarna un particolare carisma e San Vicinio esprime la potenza di Dio nella lotta contro il maligno nella spirituale battaglia di adesione al Vangelo.
Il suo ingresso nella schiera dei beati con la morte alla vita eterna è da considerarsi avvenuto non prima del 330, dopo ventisette anni e tre mesi di ministero episcopale nel sarsinate.
Anche prima della morte, l' intercessione di San Vicinio si rivelò potente in favore di coloro che portavano infermità nel corpo e nello spirito. In tanti ricorrevano e ricorrono a lui quando si manifestano malanni nel corpo, anche molto gravi, ansie, fatiche, dolori, turbamenti, ma soprattutto,quando si manifestano problemi esistenziali e spirituali e attraverso l' utilizzo di una catena che il Santo stesso usava ponendola intorno al collo dei fedeli, riescono a ritrovare pace e serenità.


Alcuni aneddoti:
Si narra che l'elezione a Vescovo avvenne per chiamata visibile da parte di Dio. Mentre Presbiterio (nome di persona? nome collettivo dei sacerdoti?) e popolo riuniti, pregavano per la scelta di un nuovo pastore, nel cielo sul monte dove Vicinio pregava apparve un infula episcopale sorretta da angeli. Presbiterio e popolo accorsero sul luogo e acclamarono Vicinio Vescovo della città.
Si narra che un giorno, mentre il santo si recava nel silenzio della montagna per pregare, una quercia devota e riverente piegò i suoi rami fino a terra, inchinandosi alla santità.


Miracoli:
Nel Lectionarium si legge di un indemoniato trascinato in vari santuari nel tentativo di riuscire nell' intento di liberarlo dai lacci del demonio. Finchè in Arezzo, sulla tomba del martire Donato, il demonio diede l' indicazione utile: "A nessuno dei Martiri o dei Confessori della fede mi sento obbligato a cedere, se non a San Vicinio, Vescovo di Sarsina, che anche da vivo si oppose sempre a me ed ai miei soci". Fu condotto non senza gravi difficoltà alla tomba di San Vicinio dal Signore e fu liberato dal dominio del demonio nel mentre i sacerdoti celeb-ravano la Santa Messa.
Si legge ancora nel Lectionarium di un mendicante che attribuendo alla catena di san Vicinio un alto valore venale, pensò ben presto di rubarla e darsi alla fuga. Giunse intanto al fiume Savio tentando di allontanarsi il più possibile, ma in realtà passò la notte a correre a vuoto per ritrovarsi al mattino nello stesso punto del fiume. Colto da timore e rimorso, malconcio e ferito, gettò la catena in un gorgo del fiume, ove fu ritrovata tre giorni dopo galleggiante vicino alla riva.



Tratto da

http://www.camminodisanvicinio.it/Storia/SanVicinio



A Vicinio la terra sarsinate e la media valle del Savio, ancora popolate di culti e divinità pagani, sono tributarie della prima evangelizzazione: i primi dati sicuri, a cui ci si possa appoggiare non per notizie riconducibili al santo ma per elevate testimonianze sull'antichità della locale comunità cristiana, conducono agli anni 455 e 507-511. Alla prima data risale una iscrizione cristiana conservata nel Museo Archeologico sarsinate; alla seconda va riferita una lettera – registrata nelle Variae di Cassiodoro (480/485-580ca.) - che il re Teoderico (454 ca.-526) invia a Gudila, vescovo ariano di Sarsina.

Dobbiamo partire da un dato che può meravigliare ma che corrisponde a verità: della vita di san Vicinio - primo vescovo di Sarsina - e delle sue vicende storiche sappiamo pochissimo, quasi nulla. Tra gli specialisti autorevoli annoveriamo gli agiologi faentini Francesco Lanzoni e Giovanni Lucchesi. Il primo asseriva che «Vicinio, forse non senza ragione, suole assegnarsi al secolo IV», mentre il secondo ribadiva che «è comunque verosimile l'episcopato di san Vicinio nel secolo IV, o anche agli inizi del V».

La Vita sancti Vicinii Saxenatis episcopi è il solo documento che ci parla del santo, un testo agiografico composto in età medievale con finalità edificatorie, devozionali e cultuali; si tratta dunque di uno scritto commissionato (molto probabilmente dall'autorità vescovile e/o capitolare) e chi l'ha scritto (un anonimo di area romagnola e probabilmente d'àmbito riminese) si prefiggeva l'illustrazione di un modello di santità episcopale, la glorificazione del protagonista e la propaganda del santuario.

La Vita è tramandata da cinque manoscritti: il Passionario della Biblioteca Gambalunga di Rimini della seconda metà del secolo XII; il codice 1622 della Biblioteca Universitaria di Padova, del secolo XV; il codice Vaticano Latino 5834, scritto verso la metà del secolo XVI e compilato dall'erudito ravennate Gian Pietro Ferretti (1482-1557); i manoscritti H.8.1 e H.9 della Biblioteca Vallicelliana di Roma, fine XVI-inizio XVII secolo

Il testo, volgarizzato dal sacerdote sarsinate Filippo Antonini, 1560 -1621 (Vita et miracoli del glorioso confessore s. Vicinio vescovo, et protettore di Sarsina. Nouamente posta in luce d'ordine di monsignor Nicolò Brautio vescouo di Sarsina. Ad instanza del Capitolo della medesima Città, Sarsina 1609), viene édito per la prima volta dai Bollandisti. La Vita sancti Vicinii fu composta a cavallo dei secoli XI-XII, e comunque non oltre la prima metà del XII, a motivo della datazione del codice riminese che per primo la tramanda; un riferimento interno al vescovo sarsinate Uberto (documentato da prima del 20 maggio 1028 a dopo il 1053) funge da indicatore e spartiacque cronologico.

Che cosa ci racconta di Vicinio? Originario della Liguria, vale a dire dell'Italia nord-occidentale, giunse a Sarsina in tempo di persecuzioni; qui predicò il Vangelo, fu ordinato vescovo e svolse santamente il ministero episcopale, dedito alle virtù pastorali e in particolare a liberare con la preghiera e col digiuno gli infelici oppressi da influsso demoniaco.

Esercitò al sommo grado tutte le virtù evangeliche, ammaestrando clero e popolo, sovvenendo ai poveri, alle vedove, agli orfani e ai sofferenti, praticando la povertà in prima persona, pregando, vegliando e digiunando, aborrendo tutto ciò che era mondano e improntando il proprio essere e il proprio agire alla sequela di Cristo.

La sua presenza fisica determinò molteplici opere miracolose, guarendo da malattie e liberando gli ossessi dal demonio: azione, quest'ultima, nella quale Vicinio eccelleva; una sorta di specializzazione, precisa il testo, constatata e registrata anche al tempo della sua stesura. Dopo ventisette anni e tre mesi di episcopato, ricevette con la morte il premio che Dio riserva ai suoi figli diletti. Con trionfali esequie e un funerale famoso per la solennità della liturgia, fu sepolto in un sarcofago marmoreo collocato nella cripta. Dopo la sepoltura, continuarono i miracoli operati per sua intercessione presso il suo sepolcro e la vita cristiana crebbe rigogliosa.

È una "vita" che non ha notizie biografiche: nulla della famiglia d'appartenenza di Vicinio, nulla su nascita e infanzia; alcun episodio riferito alla vita terrena, al periodo precedente l'elezione episcopale e all'operato da vescovo (ma l'assenza di cronologia e di cronotopi è anche in funzione dell'atemporalità della figura del santo); si fa cenno a miracoli in vita ma non vengono raccontati; gli episodi prodigiosi appartengono tutti al post mortem.

Lo scenario d'azione dell'evangelizzatore rimane su un piano indistinto. Mancano implicazioni urbane da potersi definire sarsinati in senso stretto; la città è soltanto genericamente nominata («si diresse alla volta della città di Sarsina, comunemente chiamata Bobbio») e individuata dai connotati geografico-topografici: è collocata fra gli Appennini, ai suoi piedi scorre il fiume Savio e si trova sulla direttrice viaria Ravenna-Roma.

I secoli posti tra l'esistenza del santo e l'età di redazione della Vita Vicinii hanno inghiottito notizie e informazioni puntuali; del suo protovescovo la Chiesa sarsinate conserva soltanto lineamenti generali, derivati dalla tradizione e poggiati più sull'oralità che sui documenti scritti, dal momento che la memoria storica risulta del tutto offuscata, per non dire definitivamente perduta.

Ma qui l'agiografo si limita a prendere atto dell'esistenza di un culto secolare, attestato e ribadito dalla prassi devozionale di cui è testimone la sua fonte, cui non intende aggiungere nulla o sovrapporre alcunché di forzato; registra un dato tradizionale e lo rispetta pur nell'autocosciente consapevolezza della povertà delle indicazioni. All'autore non rimane che procedere ad un'azione programmatica pressoché obbligata: esaltare, per il tramite dei miracula post mortem registrati e registrabili intorno al sepolcro, il carisma taumaturgico del corpo di Vicinio, e dunque le proprietà esclusive della cattedrale sarsinate (plebs urbana, non si dimentichi), ormai rinomata custode di un locus sanctus, con tutte le prerogative del sanctuarium (di cui i racconti prodigiosi sanciscono le canoniche specificità); del resto la fitta rete di santuari e il ricco panorama di pellegrinaggi denunciati dal testo pongono la città sul Savio fra le mete dei questuanti bisognosi e dei cercatori del Dio-salus, sancendone una sorta di ufficialità e improntando una pubblicizzazione che sortisce l'efficacia maggiore proprio nella spettacolare e puntuale concretezza delle azioni miracolose derivate dai meriti del santo. Il catalogo dei miracoli mette in sequenza storie - che risultano veri e propri quadri di genere - assolutamente indipendenti fra loro, benché manifestino analoghi procedimenti narrativi e medesime modalità stilistiche; la loro conclusione comporta sempre un ravvedimento e una conversione della persona esaudita o guarita, e il malato diventa uno "strumento" del santo.

C'è una coscienza collettiva alla base dei racconti prodigiosi, dai quali si sprigiona un culto che giunge a determinare persino forme di aggregazione sociale (la festa del patrono confluisce in fiere e occasioni di commercio): la solennità liturgica si prolunga così su un versante laico e civile, con più elevata frequenza e densità. I miracoli, vera sopravvivenza postuma del santo, ruotano attorno ai consueti ingredienti (malato, taumaturgo e pubblico) e si sviluppano narrativamente secondo la classica struttura ternaria:
1) l'insorgere di un problema-difficoltà;
2) l'intervento del santo-aiutante;
3) la scomparsa del problema-difficoltà.

La sequenza dei nove racconti miracolosi è così articolata:
• liberazione di un indemoniato
• un ricco cessa di vessare un suo diacono
• furto della «catena», suo prodigioso rinvenimento e liberazione d'indemoniato
• una donna, che ha irriso il santo, dapprima viene punita e poi liberata
• guarigione di un cavallo, in seguito morto per inadempienza del voto
• liberazione di un prete ingiustamente incarcerato
• furto di sacre offerte e conseguente punizione
• guarigione di uno storpio
• la reliquia del santo, dimenticata in un letto per distrazione, si manifesta prodigiosamente e così viene recuperata



Come tutti i santi, anche Vicinio ha un culto ed una devozione documentati nel corso dei secoli. Alquanto significativa, in proposito, è l'età medievale, nella cui lunga durata si appuntano varie e variegate segnalazioni riguardo al santo vescovo di Sarsina. La più antica è costituita da una preghiera attribuita all'abate benedettino san Guglielmo da Volpiano contenuta in un codice del secolo XI: fra i santi venerati troviamo affiancati Apollinare, Vitale e Vicinio. La seconda testimonianza si trova in un altro testo agiografico (Sancti Rophilli episcopi Foropopiliensis miracula post mortem), trasmesso da un codice in gran parte degli inizi del sec. XI; nel secondo episodio narrato san Vicinio è protagonista, insieme al vescovo Rufillo di Forlimpopoli. In un notevole documento iconografico raffigurante Cristo in trono fra i santi Giovanni Battista e Vicinio e donatori, conservato nella Biblioteca Malatestiana di Cesena, con esattezza datato 1104, qualcuno vi riconoscere la figura di s. Vicinio proprio grazie alla presenza del suo tipico attributo: il protovescovo sarsinate (a destra del Cristo) è accompagnato da un'ancella che reca il collare. Un'interessantissima attestazione del culto viciniano, datata 1120, si trova nell'abbazia di Montetiffi, una fondazione benedettina del Montefeltro risalente alla metà del secolo XI: nella chiesa abbaziale si conserva la base dell'antico altare con un'epigrafe che menziona san Vicinio (primo di una lista santorale che comprende Agostino, Nicola, Leonardo, Giorgio e Giovanni Battista). Si devono poi aggiungere: un privilegio di papa Lucio III, del 1182 (cita i mercanti che giungevano a Sarsina per la festa di san Vicinio e che dovevano versare al Capitolo della cattedrale la terza parte delle tasse dovute); il sinodo diocesano del 1380, testimone del fatto che sul monte detto di San Vicinio si trova una chiesa a lui dedicata; un documento notarile del 1404 attestante la solennità di san Vicinio, con la partecipazione obbligatoria di tutti i chierici del circondario. Il culto ritorna prepotente nella seconda metà del Cinquecento, in clima post-tridentino, e agli esordi del Seicento: alimentata da evidenti impulsi di carattere locale, la devozione al santo subì agli inizi del secolo XVII una forte accelerazione ad opera soprattutto di un volumetto composto da Filippo Antonini. La redazione, fa capire l'autore, è voluta dal vescovo Nicola Brauzzi (1602-1632) e verosimilmente rientra in un progetto che intende partire da una riscoperta della tradizione locale, e dunque anche del culto dei santi; una rilettura ed un rinnovamento già iniziati dai presuli predecessori, artefici di riesumazioni, ricognizioni e traslazioni delle reliquie del santo.



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https://www.patriziacattaneo.com/lang2/san_vicinio.html



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