mercoledì 22 agosto 2018

22 agosto santi italici ed italo greci





Santo Ippolito vescovo di Porto nel Lazio e martire verso il 232 (altra memoria insieme con tutti i martiri di Porto e di Ostia il 30 gennaio)

Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/i/ippolitodiporto.htm

Ippolito, vescovo di Porto, santo, martire, i resti sono dal 1931 nella nuova urna posta nell’altare maggiore di S. Giovanni Calibita. Traslato in questa chiesa dal futuro papa Formoso (891-896), unitamente ai resti di Ercolano, Taurino e Giovanni Calibita, venne ritrovato nel 1640. Parte del suo corpo con le reliquie di Ercolano, Taurino e Giovanni Calibita furono traslate il 7 dicembre 1737 a S. Lorenzo in Damaso presso il nuovo altare della Confessione. A S. Giovanni Calibita il 4 marzo 1742, in occasione della consacrazione dell’altare maggiore, operata dal cardinale vicario Guadagni, mediante le reliquie non insigni dei martiri Zosimo e Faustina, furono ricollocati i corpi di Mario, Marta, Audiface e Abaco e quelli di Ippolito e Ercolano. Il Diario Romano (1926) conferma i suoi resti sia a S. Lorenzo in Damaso che a S. Giovanni Calibita. Nulla si conosce di questo vescovo, probabilmente è da identificarsi con S. Ippolito (13 agosto). Si ebbero varie ricognizioni: 1699, 1737, 1851 e 1931.


Martirologio Romano : 22 agosto - A Porto Romano sant’Ippolito Vescovo, chiarissimo per la erudizione, il quale, sotto l’Imperatore Alessandro, per la splendida confessione della fede, gettato, con le mani ed i piedi legati, in una profonda fossa, piena di acqua, ricevette la palma del martirio. Il suo corpo fu sepolto dai Cristiani presso il medesimo luogo.

Tratto
http://www.diocesiportosantarufina.it/home/news_det.php?neid=2650
La passio di Sant’Ippolito, riportata dai Bollandisti, racconta come il nostro martire, patrono della Diocesi di Porto – l’attuale Fiumicino – era genere arabs, forse nativo della Persia. Come tanti altri pellegrini, egli era venuto a Roma per venerare le tombe di Pietro e Paolo e si era fermato per qualche tempo nell’Urbe, coinvolto nella vita liturgica e caritativa della vivace comunità cristiana. Quando si pone il problema di inviare un Vescovo nella città di Portus, dove fioriva l’ampio porto commerciale voluto dall’imperatore Traiano, viene scelto proprio Ippolito. Siamo a metà del terzo secolo, in piena epoca di persecuzioni, quando il semplice nomen cristiano equivale ad una sicura condanna a morte. Giunto a Portus, Ippolito, come ogni buon Vescovo, ha insegnato, ha celebrato i santi Misteri, ha consacrato sacerdoti e si è preso cura delle persone bisognose della comunità che vivendo sul porto fluviale di Roma, più di ogni altra era chiamata ad accogliere i pellegrini cristiani i quali, sotto stretto anonimato, venivano a venerare le tombe degli Apostoli.
Ma il fervore creatosi attorno al Pastore Portuense non rimane nascosto, e ben presto Ippolito viene preso, condotto in carcere, e, dopo un processo sommario con l’invito ad apostatare, condannato a morte. Viene gettato, dice la passio, in altam foveam – in una profonda cisterna piena d’acqua, e subito trascinato a fondo da quei pesi che gli hanno legato alle mani e ai piedi. I persecutori sono convinti di aver cancellato il futuro della comunità dei credenti, ma si sbagliano. Di nascosto, il corpo di Ippolito viene prelevato e gelosamente custodito dai credenti. Appena termina l’epoca delle persecuzioni e Costantino dichiara il cristianesimo religio licita, viene costruita prima una piccola edicola sul luogo del martirio, poi un’ampia Basilica. Il corpo di Ippolito viene posto sotto l’altare maggiore, la testimonianza del primo Vescovo della Città è saldo fondamento per il ministero dei suoi successori. La comunità cristiana cresce e si sviluppa.
Ma la sorte di Portus, città di mare, è legata a quella di Roma, la capitale dell’Impero che pure sta per tramontare. L’Insula Sacra, l'ampio e fertile territorio posta tra il mare, il canale navigabile e la foce del Tevere, ha un'aria malsana, è oggetto delle incursioni dei pirati e di quelle dei barbari, per cui viene abbandonata, gli abitanti fuggono da quelle terre un tempo ambite e gloriose. Verso il X sec. il Vescovo di Porto si vede costretto a lasciare la propria sede ormai ridotta ad un piccolo villaggio, e chiede al Papa di potersi trasferire sull’Isola Tiberina. Prima di partire, provvede a nascondere il corpo di Ippolito: scava sotto il pavimento della Cattedrale, vi pone il sarcofago di Sant’Ippolito, lo protegge con le parti smontate del ciborio dell’altare maggiore, e ricopre il tutto. L’antica e ricca Portus non esiste più.
Nel 1120 Papa Callisto II unisce la Diocesi Portuense a quella limitrofa di Sylva Candida. La splendida Basilica di Ippolito viene più volte saccheggiata e cade in rovina, fino ad essere sepolta. Tra le rovine di quelle che gli abitanti continuano a chiamare “Isola Sacra” continua però a svettare la torre campanaria della Basilica, usata come torre d’avvistamento. Così, nel XVIII sec., il Card. Rezzonico ordina degli scavi alla base del campanile, e scopre un complesso sistema idrico sotterraneo. E’ chiaro, in una di quelle cisterne è stato annegato Sant’Ippolito. Per recuperarne la memoria, il Cardinale fa costruire una cappellina, tuttora esistente, e un monastero in cui tenta di avviare una forma di vita religiosa. Ma l’Isola Sacra è terra di nessuno, vivono solo pochi poverissimi pescatori, anzi fiorisce la malavita, e sembra impossibile invertire il corso degli eventi.
Passano così i secoli, finchè negli anni Settanta, durante uno scavo archeologico, con gran sorpresa di tutti torna alla luce il tracciato della Basilica di Ippolito, le mura crollate, i resti dell’altare, del presbiterio e della vasca battesimale; ma quando si scava davanti l’altare, ecco il sarcofago di Ippolito, contenente i suoi resti con l’iscrizione Hic Requiescit Beatus Ypolitus Martyr. Emerge così definitivamente dalle nebbie del passato Ippolito, primo Vescovo di Porto e Martire, del quale era stata perfino messa in dubbio l’esistenza, o era stato confuso con Ippolito romano o addirittura con un antipapa. E da circa vent’anni, il 5 di ottobre, a Fiumicino, i Vescovi presiedono la processione con le Reliquie di Sant’Ippolito dal Castello di Porto all’Isola Sacra, e celebrano l’Eucaristia sulle rovine di quella che fu la prima Basilica Cattedrale della nostra Diocesi.
a cura di d. Roberto Leoni
(13/09/2013) 

Per la memoria al 30 gennaio







Santo Guniforto martire a Pavia

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91270
La passio fu pubblicata per la prima volta dal Mombrizio da un vecchio ms. conservato al Laterano; una copia di essa si trova in un ms. del sec. XIV conservato nella Biblioteca del Capitolo di Novara.
Il suo valore storico, però, è quasi nullo: si ignora il nome dell'autore, e l'epoca in cui egli scrisse; alcuni studiosi, come il Maiocchi e Siro Severino Capsoni, la pongono fra i secc. VIII e XI-XII.
L'autore, in ogni caso, è poco preciso: non dà nessuna indicazione cronologica, confonde pagani ed eretici; l'elemento fantastico predomina su quello storico e reale e le poche cose dette intorno al santo non ci permettono di vedere il profilo esatto della sua personalità.
Oriundo della Scozia (i. e. dell'Irlanda), Guniforto col fratello Guiniboldo e due sorelle, per sfuggire alla persecuzione, passò in Germania dove le sorelle furono uccise. Giunti a Como, fu ucciso il fratello e il solo Guniforto si recò a Milano Qui egli fu colpito da frecce: creduto morto e abbandonato, si trascinò fino a Pavia, dove fu raccolto da una donna cristiana e dopo tre giorni di agonia, morì nella sua casa. Come si può notare, la passio di Guniforto è una ripetizione in tono minore di quella di s. Sebastiano.
Gli studiosi hanno cercato di stabilire il tempo preciso del martirio di Guniforto, ma c'è divergenza fra di essi, provocata dalla confusione che la passio fa tra pagani ed eretici. Il Ferrari colloca il martirio di Guniforto, sotto Costanzo, il Dempster lo fa martirizzare da pagani però sotto Teodosio; il Tatti assegna il martirio del santo al tempo di Massimiano. Questa ultima affermazione è accettata dal bollandista Cuypers.
Le testimonianze permettono di affermare che a Guniforto è stato attribuito un culto ab immemorabili Una chiesa in suo onore era a Milano sul luogo del martirio: "habet tamen Guniforto Mediolani extra portam Ticinensem aedem sacram suo nomini dicatam" (P. P. Bosca, Martirologio Milanese, Milano 1695). A Pavia il suo corpo fu collocato dapprima "in ecclesia Sancte Marie que est apud sanctum Romanum maiorem". Di qui, nel corso di varie traslazioni, fu portato nella chiesa del monastero nuovo, poi nella parrocchia di S. Maria Gualtieri e infine nel 1790 nella basilica dei SS. Gervasio e Protasio. Nei tempi passati furono tributati a Guniforto onori liturgici quasi straordinari. Era invocato come protettore contro la peste; i Visconti destinarono alla chiesa di S. Guniforto vari proventi, tra cui quelli del dazio della pesa comunale di Pavia. Alla vigilia della sua festa, si celebrava una veglia di preghiera, che durava tutta la notte; gli universitari giuristi, solennizzavano la festa con una processione, con stendardo e corpo musicale; una congregazione di Disciplinati, con vita spirituale molto intensa, aveva il suo centro nella chiesa di S. Guniforto.
La festa che gli agiografi hanno sempre assegnato al 22 agosto è attualmente celebrata nella diocesi di Pavia, il 26 dello stesso mese.

Tratto da
http://www.liutprand.it/articoliPavia.asp?id=604
Segue la istoria di San Guniforto, il quale per divina disposizione capitò in questa nostra Città di Pavia tutto carico di saette, per adornarla con le sue sacre reliquie. Fu questo Guniforto (Winifort, Winiford) di nazione dell’Isola di Scozia, nato di nobilissimo sangue, ma assai più nobile per virtù e per cristiana fede. Era bello di corpo e di gigantesca statura.
Perseguitandosi crudelmente i cristiani nella sua patria, egli grandemente desiderava di morire per amor del Signor Gesù Cristo. Ma conoscendo che ivi il suo desiderio non poteva aver effetto, ostando la potenza, e l’autorità della sua nobile famiglia, nella quale i persecutori non avevano ardire di por le mani, però con un suo fratello chiamato Guniboldo (Winibald) e due sue sorelle passò in Germania, dove parimenti i Cristiani con vari tormenti erano uccisi.
Ivi, per dar compimento al loro ardente desiderio, con gran fervore andavano pubblicamente predicando la Cristiana Fede, onde furono presi e crudelmente tormentati. Ma per voler divino essi fratelli furono lasciati, e le sorelle, e per sangue e per bellezza molto riguardevoli, ma per la fede e per il dono della verginità e per lo zelo del divino amore assai più belle, vinta la debolezza femminile, aggiuntavi l’esortazione dei fratelli, costantemente ricevettero la gloriosa palma del martirio.
Partitisi poi i due fratelli Guniforto e Guniboldo, e passate l’Alpi, giunsero in Italia alla città di Como, dove ancora aspramente s’incrudeliva contro coloro che confessavano il nome di Cristo, e quivi ad alta voce cominciarono a predicare la Cristiana fede, esortando molti a sopportare costantemente quei martirii per amor di Gesù. Ivi fu solamente preso Guniboldo, e fatto morire, lasciando andare Guniforto senza veruna offesa, pensando quelli che, per aver veduto morire il fratello così crudelmente, egli per tema dovesse abbandonare la fede di Cristo, e così partendosi andò alla volta di Milano, amaramente piangendo la sua sorte di non aver potuto fare con la morte compagnia al fratello e alle sorelle, e che essi prima di lui fossero andati a goder la eterna felicità nella celeste patria, e esso infelice rimasto nella feccia di questo misero secolo, così rammaricandosi entrò in Milano, dove medesimamente i cristiani patendo asprissimi supplizi erano fatti morire.
Allora il valoroso soldato di Cristo, nel cui sacro petto nostro Signore aveva infuso il lume della verità, per essere vero cultore del suo divino nome, cominciò ad alta voce con tali efficaci argomenti a predicare al popolo la pura verità della cristiana fede, che gli infedeli non gli potevano far resistenza, e nondimeno non si volevano però convertire, anzi più contro di lui s’incrudelivano.
Finalmente, il generoso cavaliere Guniforto fu dagli Ariani strascinato fuori di Milano, e con tante saette bersagliato, che nel mezzo della via come morto lo lasciarono, tutto sanguinoso, e con tante saette fitte nel corpo, che pareva un riccio.
Ma per la divina provvidenza lo spirito vitale fu confermato in lui, acciò ch’egli potesse venire al suo destinato sepolcro alla città cristiana. Ritornati dunque in lui gli spiriti, i quali per un pezzo erano iti vagando, alzato il Sant’uomo il capo vide i manigoldi essere partiti, onde levatosi in piedi al meglio che poté se ne venne a Pavia. Non volendo Iddio che il corpo di questo suo servo restasse a Milano, et essendo qui giunto avendo ancora molte saette nel corpo, che non se le aveva potuto cavare, fu con molta carità ricevuto in casa da una devota e cristiana matrona, la quale con molta pietà n’ebbe quella cura che si doveva. Ma il terzo giorno rese l’anima al suo Creatore.
La gran santità di quel glorioso martire si manifestò con tre stupendi miracoli, con gran meraviglia di tutto il popolo. Primamente intorno al suo corpo apparvero molti Angioli con grandissimo splendore, oltre a ciò tutte le campane cominciarono da loro stesse a sonare senza che fossero tocche, palesando con quel loro suono la morte di quel Santo martire, e poi molti ciechi, zoppi, lebbrosi, indemoniati e molestati da altre infermità, andati a questo venerando corpo, restarono incontanente liberi, e così da poi il Signore Iddio a sua intercessione fece molti altri miracoli, e fu questo corpo con molto onore seppellito in quella chiesa che ora ha il titolo dal suo nome, vicino a quella di san Romano, in Pavia, la cui festa si celebra alli 22 di Agosto.
(S. BREVENTANO, Istoria di Pavia, 1570).
 
Santo Timoteo martire della Chiesa di Roma verso il 303-Confuso con l’omonimo e più noto discepolo di S. Paolo, di Timoteo martire a Roma sulla via Ostiense si hanno pochi riscontri storici. Un racconto tratto dagli “Atti di Silvestro Papa” lo descrive come un fervente annunciatore del Vangelo, fatto arrestare e uccidere dal prefetto Tarquinio nel 303.  
Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/t/timoteo.htm
Timoteo, santo, martire di Roma, le spoglie sono sotto l’altare papale di S. Paolo f.l.m. La tomba del santo martirizzato nel 303 era visitata dai pellegrini del VII secolo e sorgeva, probabilmente, a ridosso dell’area della basilica di epoca costantiniana, il De Rossi la identificava alla confluenza fra la via delle Sette Chiese e l’Ostiense. Nel XVI secolo il corpo del martire si venerava in un altare isolato, al centro dell’abside della chiesa, che sovrastava la cripta nella quale si custodivano i resti dei Ss. Celso, Giuliano e Basilissa.


Martirologio.Romano : 22 agosto - A Roma, sulla via Ostiense, il natale di san Timoteo Martire, il quale, preso da Tarquinio, Prefetto della città , e straziato con lunga prigionia, e, per non aver voluto sacrificare agli idoli, tre volte flagellato e afflitto con gravissimi supplizi, da ultimo fu decollato.




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