San
Tarsicio (o Tarcisio) di Roma
Martire
Tratto dal quotidiano Avvenire
Subì il martirio da adolescente mentre
portava l'Eucaristia ai cristiani in carcere. Scoperto, strinse al petto il
Corpo di Gesù, per non farlo cadere in mani profane, ma venne ucciso. Il
Martirologio romano ne fissa la morte il 15 agosto del 257 d.C. Il corpo venne
sepolto insieme a papa Stefano sulla via Appia. Nel 767 papa Paolo I fece
traslare le spoglie nella basilica di san Silvestro in Capite insieme ad altri
martiri. San Tarcisio acquistò di nuovo fama nell'Ottocento, in seguito alla
pubblicazione del romanzo «Fabiola» del cardinale Wiseman, interessato alla
figura del coraggioso e giovane santo. In molte chiese di Roma è possibile
trovare quadri, statue, pale d'altare che lo raffigurano.
Martirologio Romano: A Roma nel
cimitero di Callisto sulla via Appia, commemorazione di san Tarcisio, martire:
per difendere la santissima Eucaristia di Cristo che una folla inferocita di
pagani tentava di profanare, preferì essere lapidato a morte piuttosto che
lasciare le sacre specie ai cani.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/66150
E’ il protomartire dell’Eucaristia,
accolito della Chiesa di Roma, fu martirizzato in giovane età mentre portava le
Sacre Specie ai cristiani in carcere per la comunione, scoperto, strinse al
petto l’Eucaristia, per non farla cadere in mani profane, ma non riuscendo a
strappargliela, fu ucciso dai carnefici esasperati e feroci come cani rabbiosi.
Queste notizie si rilevano dall’unica fonte storica esistente, cioè l’epigrafe posta da papa Damaso sul suo sepolcro, riprese successivamente da altri studiosi e inserite nel ‘Martirologio Romano’ fissando la sua morte al 15 agosto del 257 d.C.
Il suo corpo fu dapprima sepolto insieme a papa Stefano nel Cimiterio Callisti sulla via Appia; secondo altri autori esso fu trasferito nella cosiddetta Cella Tricora in un sarcofago insieme a papa Zefirino.
Nel 767 papa Paolo I lo portò nella basilica di s. Silvestro in Capite insieme ad altri corpi di martiri;Anche qui ebbe alcune traslazioni in cui l’ultima è del 1596 ove le reliquie furono poste sotto l’altare maggiore.
Il culto a s. Tarsicio riprese maggior vigore nell’800 in seguito alla pubblicazione del romanzo Fabiola di Wiseman (Londra, 1855) che rese attraente la figura del coraggioso adolescente.
A Roma nel 1939 gli venne dedicata una chiesa al IV miglio, opera dell’architetto Rossi.
Una sua statua, scolpita da A. Falguière, è conservata al Louvre di Parigi.
In molte chiese di Roma vi sono quadri, statue, pale d’altare che lo raffigurano, infine una bella statua si trova nella chiesa di s. Lorenzo in Faenza.
Queste notizie si rilevano dall’unica fonte storica esistente, cioè l’epigrafe posta da papa Damaso sul suo sepolcro, riprese successivamente da altri studiosi e inserite nel ‘Martirologio Romano’ fissando la sua morte al 15 agosto del 257 d.C.
Il suo corpo fu dapprima sepolto insieme a papa Stefano nel Cimiterio Callisti sulla via Appia; secondo altri autori esso fu trasferito nella cosiddetta Cella Tricora in un sarcofago insieme a papa Zefirino.
Nel 767 papa Paolo I lo portò nella basilica di s. Silvestro in Capite insieme ad altri corpi di martiri;Anche qui ebbe alcune traslazioni in cui l’ultima è del 1596 ove le reliquie furono poste sotto l’altare maggiore.
Il culto a s. Tarsicio riprese maggior vigore nell’800 in seguito alla pubblicazione del romanzo Fabiola di Wiseman (Londra, 1855) che rese attraente la figura del coraggioso adolescente.
A Roma nel 1939 gli venne dedicata una chiesa al IV miglio, opera dell’architetto Rossi.
Una sua statua, scolpita da A. Falguière, è conservata al Louvre di Parigi.
In molte chiese di Roma vi sono quadri, statue, pale d’altare che lo raffigurano, infine una bella statua si trova nella chiesa di s. Lorenzo in Faenza.
Tratto da
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2010/documents/hf_ben-xvi_aud_20100804.html
Chi
era san Tarcisio? Non abbiamo molte notizie Siamo nei primi secoli della storia
della Chiesa, più precisamente nel terzo secolo; si narra che fosse un giovane
che frequentava le Catacombe di san Callisto qui a Roma ed era molto fedele ai
suoi impegni cristiani. Amava molto l’Eucaristia e, da vari elementi,
concludiamo che, presumibilmente, fosse un accolito, cioè un ministrante. Erano
anni in cui l’imperatore Valeriano perseguitava duramente i cristiani, che
erano costretti a riunirsi di nascosto nelle case private o, a volte, anche
nelle Catacombe, per ascoltare la Parola di Dio, pregare e celebrare la Santa
Messa. Anche la consuetudine di portare l’Eucaristia ai carcerati e agli
ammalati diventava sempre più pericolosa. Un giorno, quando il sacerdote domandò,
come faceva di solito, chi fosse disposto a portare l’Eucaristia agli altri
fratelli e sorelle che l’attendevano, si alzò il giovane Tarcisio e disse:
“Manda me”. Quel ragazzo sembrava troppo giovane per un servizio così
impegnativo! “La mia giovinezza – disse Tarcisio – sarà il miglior riparo per
l’Eucaristia”. Il sacerdote, convinto, gli affidò quel Pane prezioso
dicendogli: “Tarcisio, ricordati che un tesoro celeste è affidato alle tue
deboli cure. Evita le vie frequentate e non dimenticare che le cose sante non
devono essere gettate ai cani né le gemme ai porci. Custodirai con fedeltà e
sicurezza i Sacri Misteri?”. “Morirò – rispose deciso Tarcisio – piuttosto di
cederli”. Lungo il cammino incontrò per la strada alcuni amici, che
nell’avvicinarlo gli chiesero di unirsi a loro. Alla sua risposta negativa essi
– che erano pagani – si fecero sospettosi e insistenti e si accorsero che egli
stringeva qualcosa nel petto e che pareva difendere. Tentarono di
strapparglielo ma invano; la lotta si fece sempre più furiosa, soprattutto
quando vennero a sapere che Tarcisio era cristiano; lo presero a calci, gli
tirarono pietre, ma egli non cedette. Morente, venne portato al sacerdote da un
ufficiale pretoriano di nome Quadrato, diventato anch’egli, di nascosto,
cristiano. Vi giunse privo di vita, ma stretto al petto teneva ancora un
piccolo lino con l’Eucarestia. Venne sepolto da subito nelle Catacombe di san
Callisto. Il Papa Damaso fece un’iscrizione per la tomba di san Tarcisio,
secondo la quale il giovane morì nel 257. Il Martirologio Romano ne fissa la
data al 15 agosto e nello stesso Martirologio si riporta anche una bella
tradizione orale, secondo la quale sul corpo di san Tarcisio non venne trovato
il Santissimo Sacramento, né nelle mani, né tra le vesti. Si spiegò che la
particola consacrata, difesa con la vita dal piccolo martire, era diventata carne della
sua carne, formando così con lo stesso suo corpo, un’unica ostia immacolata
offerta a Dio.
Tratto da
http://www.preghiereagesuemaria.it/santiebeati/san%20tarcisio%20il%20giovane%20e%20primo%20martire%20dell%27eucaristia.htm
Nell'anno 260 in Roma si era scatenata una terribile
persecuzione contro i cristiani. Le carceri erano zeppe di condannati; quale
conforto pote-va esserci per quei fratelli che sapevano di dover andare incontro
a tormenti spaventosi e alla morte più crudele?
I sacerdoti tentavano con ogni mezzo di far giungere
loro il Pane eucaristico, ci-bo di vita, il Corpo di Gesù, perché li sostenesse
con la sua forza divina e la sua pre-senza.
L'Eucarestia, nascosta nelle case dei cristiani,
veniva portata ai condannati con ogni strategia, pur sapendo che si doveva
essere pronti ad affrontare qualunque pericolo per recare ai propri fratelli incarcerati
il Corpo Santissimo del Salvatore.
Un giorno si offrì per tale in-carico un giovanetto,
di nome Tarcisio. "Nessuno farà caso a me - disse - nessuno penserà che io
porti il Santo Mistero". "E se ti prendono? Tarcisio, piccolo caro
giovanetto, saprai essere forte nelle torture se verrai scoperto?". Ci fu una
pausa di silenzio lunghissima. "No, no, non possiamo mettere a repentaglio
la tua vita, sei ancora troppo giovane!". "Nessuno se ne accorgerà -
incalzò Tarcisio - e se verrò scoperto, Gesù mi difenderà. Io sono solo un ragazzo,
è vero, ma Gesù è Dio. Vi prego... ".
L'implorazione di Tarcisio fu così decisa che i
cristiani presenti ne rimasero convinti. "E sia! - dissero - però sta' attento:
cammina per i luoghi solitari e non ti fermare per strada. Capito?".
"Sì, sì, grazie, Gesù sarà con me".
E gli fu affidato il Pane consacrato, avvolto in un
panno bianco. Tarcisio se lo nascose in seno sotto la sua rozza tunica di
ragazzo; era bellissimo, raggiante. "Ora va', piccolo 'Cristoforo', porta
Gesù ai nostri fratelli prigionieri. Noi ti accompagneremo pregando. Tu cammina
pregando, ma va' svelto, senza dare nell'occhio: Gesù è con te!".
Tarcisio, felice di quell'incari-co, strinse le mani
sul petto per timore che gli cadesse a terra il sacro deposito, e pregava
dicendo sommessamente: "Gesù, cammina con me! Gesù, ti amo da morire e ti
porto ai nostri fratelli che ti aspettano con tanto ardore. Gesù, sei qui sul
mio petto, che grazia! Che fortuna!".
Camminando per le vie nascoste di Roma, Tarcisio s'imbatté
proprio in un gruppo di ragazzi che lo riconobbe: "Ehi, Tarcisio, vieni a
giocare con noi!". "Non posso amici, devo prima fare una commissio-ne
urgente. Al ritorno gio-cherò volentieri con voi". "Una commissione
urgente? E che devi fare? Ci manca giusto uno per il nostro gioco
preferito". "Non posso, vi dico. Lasciatemi passare che ho fretta!".
"Che cosa tieni stretto sul petto, Tarcisio? Facci vedere! Che cosa
nascondi?". "No, non posso! Lasciatemi, vi prego!". "Non
pregare, ma facci vedere, apri le braccia, cretino!".
I ragazzi erano diventati im-provvisamente crudeli:
volevano, in ogni modo, aprire le mani che Tarcisio teneva strette sul petto.
"Se non ci mostri quello che tieni così stretto con le mani sul petto ti
tiriamo delle pietre fino a farti male! Mostra!". "No, non
posso!". I ragazzi gli furono addosso per aprirgli le mani, ma il giovane
sembrava diventato di pietra. "Apri! Altrimenti te la facciamo vedere
noi!". Un silenzio tremendo: quei ragazzi sembravano essere diventati
simili a tanti leoncelli rabbiosi, pronti ad aggredire. "Ah!!!". Una
pietra aguzza aveva colpito in fronte il piccolo eroe, e poi un'al-tra gli
aveva arrossato la bocca di sangue... un'altra anco-ra gli aveva insanguinato
una mano. Uno di loro, più tremendo degli altri, si avvicinò a Tarcisio e con
un sasso cominciò a colpirgli le mani.
"Apri, ti dico, testardo! Fammi vedere...".
Tarcisio sentiva che sotto i colpi stava perdendo i sensi per il dolore, ma non
mollò la presa prezio-sa, e sentendosi perduto gridò: "Gesù, Gesù, salvami!".
Quando cadde a terra tutto insanguinato, tutti gli furono addosso come un
branco di cani furiosi. Tarcisio, tuttavia, non aprì le mani, sebbene gli
facessero tanto male: "Gesù, Gesù, salvami!".
"Che avviene qui?". Una voce possente giunse
alle sue orecchie ferite e, pur quasi svenu-to dal terribile dolore, riconobbe
il soldato romano che si chiamava Quadrato, che cacciò via quei ragazzi
cattivi. Quadrato era proprio un gigante e mollò molti ceffoni a quei piccoli
delinquenti "Non essere duro con loro, Quadrato - mormorò Tarcisio - porto
il Pane eucaristico ai fratelli in carcere; ho Gesù qui sul petto, ma nessuno
l'ha toccato sai? L'ho tenuto stretto a me. Ah!, le mani non le ho aperte nemmeno
un istante, ma a te sì, per-ché tu sei cristiano come me... mi sento
morire...". Le braccia di Tarcisio, tinte di san-gue, si aprirono
dolcemente, e Quadrato, commosso, capì immediatamente il gesto del piccolo eroe
e prese il panno bianco con dentro i Santi Misteri. "Lo porterò io ai
pri-gionieri, Tarcisio, ma tu, come stai?". Tarcisio allora fece un
bellissimo sorriso e poi piegò la testa da un lato, con un sospiro:
"Gesù!". Il cuore del piccolo martire dell'Eucarestia si arrestò,
cedendo al dolore, ma non all'amore per il suo Gesù, che lo prese tra le
braccia e se lo portò in Cielo: era Lui adesso che stringeva il giovanetto sul
petto!
Sant' Arduino di Rimini Sacerdote ed eremita
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/92243
Arduino, aveva ricevuto
l’ordinazione presbiterale dal vescovo di Rimini Uberto, noto simoniaco, che
aveva acquistato la sua carica in cambio d’oro. Eppure, l’ordinazione da parte
di questo indegno prelato non impedì ad Arduino di vivere in modo esemplare e
di morire in odore di santità.
Arduino era nato a Rimini verso la metà del X secolo ed era stato discepolo del rettore della chiesa di San Gregorio, Venerio.
Spinti dal desiderio di raggiungere un maggiore grado di perfezione e di santità, maestro e discepolo si trasferirono nella piana ravennate, trovando rifugio nella solitaria chiesa di Sant’Apollinare in Classe, oggi famosa per la sua luminosa architettura ed ancor di più per i preziosi mosaici bizantini che custodisce.
Il ricordo di Arduino che si tramandò nel tempo lo dipinge quale zelante sacerdote, raro caso in quel tempo di celebrazione quotidiana dell’Eucaristia. Il suo mirabile esempio poté così rivelarsi edificante per il clero ed il popolo, nonostante tale comportamento sarebbe oggi normale per ogni sacerdote.
Era solito insegnare, ammonire e combattere la corruzione, senza paura di suscitare l’ira dei potenti. Devolveva regolarmente le elemosine ai più bisognosi, accontentandosi di sopravvivere con i pochi avanzi rimanenti. Essendo anch’egli un uomo, veniva spesso a trovarsi nella morsa delle tentazioni e, per vincerle, soleva rotolarsi nudo tra le ortiche.
Quando Venerio fu ormai anziano, Arduino gli consigliò di accettare la carica di abate di San Godendo e ne divenne così un utile e fedele aiutante.
Tale abbazia è sita oltre lo spartiacque appenninico, sulle pendici del monte Falterona, lungo la strada che collega la Valle dell’Arno a Forlì, attraversando il valico del Muraglione. Oggi è celebre per la bella chiesa romanica e per i ricordi di Dante relativi ai primi anni di esilio.
Ma già mille anni or sono l’abbazia di San Godendo era un importante centro di spiritualità benedettina, attivo in campo manuale, spirituale, intellettuale e sociale.
In questo contesto nel 1009 morì Sant’Arduino di Rimini, subito venerato come santo benedettino, anche se pare non vestì mai ufficialmente l’abito di tale ordine.
Arduino era nato a Rimini verso la metà del X secolo ed era stato discepolo del rettore della chiesa di San Gregorio, Venerio.
Spinti dal desiderio di raggiungere un maggiore grado di perfezione e di santità, maestro e discepolo si trasferirono nella piana ravennate, trovando rifugio nella solitaria chiesa di Sant’Apollinare in Classe, oggi famosa per la sua luminosa architettura ed ancor di più per i preziosi mosaici bizantini che custodisce.
Il ricordo di Arduino che si tramandò nel tempo lo dipinge quale zelante sacerdote, raro caso in quel tempo di celebrazione quotidiana dell’Eucaristia. Il suo mirabile esempio poté così rivelarsi edificante per il clero ed il popolo, nonostante tale comportamento sarebbe oggi normale per ogni sacerdote.
Era solito insegnare, ammonire e combattere la corruzione, senza paura di suscitare l’ira dei potenti. Devolveva regolarmente le elemosine ai più bisognosi, accontentandosi di sopravvivere con i pochi avanzi rimanenti. Essendo anch’egli un uomo, veniva spesso a trovarsi nella morsa delle tentazioni e, per vincerle, soleva rotolarsi nudo tra le ortiche.
Quando Venerio fu ormai anziano, Arduino gli consigliò di accettare la carica di abate di San Godendo e ne divenne così un utile e fedele aiutante.
Tale abbazia è sita oltre lo spartiacque appenninico, sulle pendici del monte Falterona, lungo la strada che collega la Valle dell’Arno a Forlì, attraversando il valico del Muraglione. Oggi è celebre per la bella chiesa romanica e per i ricordi di Dante relativi ai primi anni di esilio.
Ma già mille anni or sono l’abbazia di San Godendo era un importante centro di spiritualità benedettina, attivo in campo manuale, spirituale, intellettuale e sociale.
In questo contesto nel 1009 morì Sant’Arduino di Rimini, subito venerato come santo benedettino, anche se pare non vestì mai ufficialmente l’abito di tale ordine.
Tratto da
http://www.chiamamicitta.it/7-giugno-2015-torna-alla-luce-arduino-da-rimini-santo-dimenticato-di-mille-anni-fa/
Il 6
e 7 giugno 2015 a Rimini si effettua la ricognizione delle “Reliquie contenute nella cassetta proveniente dal monastero-santuario
di S. Gaudenzo”. Sono presenti,
don Giuseppe Vaccarini (dalla cui opera “L’antico santorale riminese: Studio e analisi eucologica di alcuni
testi liturgici dell’XI-XVII Sec.” traiamo molte delle informazioni),
don Gioacchino Maria Vaccarini, i dottori Stefano De Carolis ed Elisa Rastelli,
Marcello Cartoceti, Learco Guerra e i membri della Commissione Ecumenica
Diocesana: Rosanna Menghi, Gabriele Maioli e Luca Ghini. Si tratta di un
secondo esame dopo quello, solo parziale, del 2012.
Alla fine risulta che la cassetta
contiene i resti di almeno 19 corpi,
di cui 15 adulti compreso uno scheletro completo di una donna di circa 50
anni; inoltre, un adolescente probabilmente di sesso femminile e tre
bambini di pochi anni. Ci sono anche ossa frammentarie che potrebbero
appartenere ad altre persone.
Chi sono? L’elenco a cui si giunge in base ai documenti è:
Oliva, Lanfranco, Corona, Arduino,
due corpi dei Quattro Coronati (Sinforiano, Claudio, Nicostrato e Castorio,
martiri in Pannonia sotto Diocleziano), tre corpi dei Santi Innocenti (i
bambini fatti uccidere da Erode), Valentino, Vittore, Abortina, Venerio,
Innocenza (co-patrona di Rimini), Nereo, Achilleo.
Dunque qui vi sarebbe l’unica
traccia rimasta di un Santo tanto
venerato mille anni fa quanto dimenticato oggi: Sant’Arduino da Rimini. Non se ne era saputo più niente da quando,
all’inizio dell’Ottocento, era stato
distrutto il santuario di San Gaudenzo, che sorgeva dove ora c’è il Palasport Flaminio. Le reliquie
provenivano da quel luogo, dove
venivano venerate in arche e monumenti; dopo le distruzioni erano state raccolte nella cassetta da don Don Bartolomeo Quagliati, parroco di S. Giovanni, nel 1812.
Le notizie su Sant’Arduino
giungono da una “Vita”
scritta nell’XI secolo e dalle citazioni di San Pier Damiani nelle sue prediche, dove è portato a
esempio di ogni virtù. Il grande moralizzatore della Chiesa del suo tempo – e
fondatore fra l’alttro, nel 1060,
dell’abbazia di San Gregorio al Conca presso Morciano –
vedeva nei riminesi Arduino e
Venerio, come nel suo modello e concittadino ravennate S.Romualdo fondatore dei Camaldolesi, i precursori della riforma che propugnava. E cioè, una vita monastica durissima, segnata da autoflagellazione,
recita quotidiana del salterio, quantità minime di cibo, lavoro manuale,
umiltà, carità. E una vita
ecclesiastica da cui fossero banditi il concubinaggio, la
compra-vendita delle cariche, il lusso. Sopra ogni cosa, la “santa semplicità”,
da preferirsi a ogni arroganza del
sapere.
Arduino nasce a
Rimini probabilmente verso la metà del X secolo. Riceve l’ordinazione
presbiterale dal vescovo Uberto I (di cui si ha notizia nel 996), noto simoniaco, che aveva acquistato con
l’oro la sua carica. “Eppure,
l’ordinazione da parte di questo indegno prelato non impedì ad Arduino di
vivere in modo esemplare e di morire in odore di santità”.
Pier Damiani, grande oppositore della simonia, poteva dunque trarre dal Riminese argomenti in favore di una sua tesi: l’efficacia dei sacramenti non dipende dai meriti di chi li amministra, bensì deriva dagli infiniti meriti del Cristo.
Pier Damiani, grande oppositore della simonia, poteva dunque trarre dal Riminese argomenti in favore di una sua tesi: l’efficacia dei sacramenti non dipende dai meriti di chi li amministra, bensì deriva dagli infiniti meriti del Cristo.
Arduino
diventa discepolo di Venerio, rettore della chiesa di San Gregorio (nel borgo San Giovanni,
risalente al V-VI secolo). Entrambi si ritirano in un piccolo oratorio ceduto
loro da un privato e dedicato a S. Apollinare. Conducono vita di penitenza
e di preghiera, ma Arduino non
esita anche a rimproverare aspramente davanti a tutti Rodolfo, conte di
Rimini,
colpevole di molestie ai poveri e di molti altri misfatti, tra i quali forse anche
l’usurpazione di beni ecclesiastici. Inoltre devolve regolarmente le elemosine
ai più bisognosi, accontentandosi di sopravvivere con i pochi avanzi rimanenti.
“E venendosi spesso a
trovare nella morsa delle tentazioni e, per vincerle, soleva rotolarsi
nudo tra le ortiche“.
Sempre su consiglio di Venerio,
Arduino accetta dal vescovo Giovanni (citato
nel 998), successore di Uberto,
la carica di abate di S. Gaudenzo.
Resterà nel santuario benedettino fino
alla morte, avvenuta probabilmente il 15 agosto del 1009 quando vescovo
di Rimini era Uberto II; e proprio nel giorno di Ferragosto si celebra la memoria di S. Arduino da
Rimini.
La sua tomba diviene subito oggetto
di venerazione e richiamo di pellegrinaggio da tutta la Romagna,
come testimonia lo stesso San Pier
Damiani ricordando una folla proveniente dalla diocesi di
Forlimpopoli per pregare sulle reliquie
di Arduino.
Nel territorio riminese esistevano almeno due chiese dedicate a S. Arduino:
una presso Mondaino, dipendente
dalla pieve di S. Laudizio (Saludecio),
ed era “S. Arduino in Val de Solecta“: l’altra era sulla strada da Rimini a Coriano.
Altri due
luoghi di culto a lui dedicati esistono ancora, entrambi in
località impervie e bellissime del Montefeltro.
Uno è la chiesa del castello di Cicognaia, che sorveglia dal suo picco
la valle del Marecchia
alla confluenza del Presale.
Viene ritenuta risalente al VII secolo, sorta su di un tempio pagano.
Ristrutturata nel XVI secolo, conserva ancora l’abside preromanica.
Nella cripta si vedono capitelli d’influenza ravennate. Sono
rimasti anche frammenti di pavimentazione romanica, affreschi del XIV
secolo e un tabernacolo medievale in pietra.
L’altro
è nel territorio di Pietrarubbia, isolato e semi
abbandonato su di un ripido crinale, purtroppo minacciato dalle frane.
Pure questa chiesa faceva parte di un castello, denominato anch’esso S. Arduino. Nel 1978, durante
lavori di ripulitura della cripta, furono trovati circa 65 scheletri ancora chiusi in sacchi di canapa
e di lino, con vesti cinquecentesche. Alcune parti della pelle erano ancora
conservate a seguito di un non raro processo di mummificazione anaerobica. Si trattava di
laici sepolti nella chiesa nel 1587. Nella parte vicina all’abside pochi
decenni fa furono trovati altri scheletri disposti su scranni; dai paramenti che li
avvolgevano si pensò che fossero stati gli antichi Rettori della
Parrocchia. Sempre nella cripta, inserita in un muro divisorio,
fu riconosciuto un rocchio di colonna di marmo d’epoca romana. Nel 1875 era stato
individuato un affresco datato 1467 (nell’immagine di
apertura) che nel 1954 fu staccato e collocato nel Museo diocesano di Pennabilli, dove tuttora si conserva.
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