mercoledì 22 gennaio 2014

22 gennaio santi feste e memorie


DEL 22 GENNAIO
Saint apôtre TIMOTHEE (vers 96). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome I des Ménées.)
Timoteo viene dall’ebraismo e Tito dal mondo pagano. Lavorano con san Paolo, che li pilota ma non li oscura. E dà loro "la gloria di un perenne ricordo": così dice Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica, del IV secolo; e sarà ancora così nel XXI: tutta la Chiesa li onora insieme. Paolo “arruola†Timoteo a Listra (Asia Minore) nel suo secondo viaggio missionario. Ma lo conosceva da prima con sua madre e sua nonna, ebree, che si fanno cristiane con lui. Timoteo resta poi sempre con Paolo, salvo quando lui lo manda in missione nelle chiese che ha fondato, per correggere errori e mettere pace. Come fa a Tessalonica, con la sua aria di ragazzo fragile. Ma "nessuno disprezzi la tua giovane età", gli scrive Paolo nella prima delle due lettere personali. E ai cristiani di Corinto lo presenta così: "Vi ho mandato Timoteo, mio figlio diletto e fedele nel Signore: vi richiamerà alla memoria le vie che vi ho insegnato".
Dopo la prima carcerazione di Paolo a Roma, Timoteo prende la guida dei disorientati cristiani di Efeso, ai quali l’Apostolo aveva già scritto dalla prigione: "Scompaia da voi ogni maldicenza, ira, clamore, asprezza". Non sono compiti facili: Paolo lo butta tra ogni sorta di problemi, errori, conflitti, aggravati da avventurieri, falsi profeti, pii confusionari. Lo manda a lottare; ma si dà pena anche della sua salute: "Smetti di bere soltanto acqua, ma fa’ uso di un po’ di vino, a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni".
Paolo scrive la seconda lettera a Timoteo stando di nuovo in carcere, in attesa della morte: "Cerca di venire presso di me". Molti infatti lo hanno abbandonato; il fedele Tito si trova in Dalmazia; il freddo lo fa soffrire, e lui raccomanda a Timoteo: "Portami il mantello che ho lasciato a Troade".
Dopo il martirio di Paolo, Timoteo continua a guidare la chiesa di Efeso fino alla morte, che una tradizione colloca nell’anno 97. L’ultima notizia di lui ce l’ha data Paolo alla vigilia del martirio. "Tito è in Dalmazia". Poi, più nulla.


Saint OULPH, martyr à Arcis-sur-Aube (II ou IIIème siècle).

icona  tradizione western rite francofono

Saint VINCENT de Saragosse, diacre et martyr avec sa mère sainte AQUILINE et son père dont le nom est connu de Dieu seul (304). (Office à saint Vincent composé en français par le père Denis Guillaume et publié au tome I du Supplément aux Ménées.)
Un diacono così, ora che il diaconato è tornato “di moda†nella Chiesa, ogni vescovo se lo sognerebbe. Perché, si sa, non tutti i vescovi sono degli oratori nati e quello di Saragozza, Valerio, è per giunta balbuziente. Trovare in Vincenzo un diacono ben equipaggiato culturalmente, dotato nella parola, generoso e coraggioso è per lui un vero colpo di fortuna. Oggi San Vincenzo è il martire più popolare della Spagna, ma doveva già esserlo 1700 anni fa se ben tre città, Valencia, Saragozza e Huesca, si contendono l’onere di avergli dato i natali. In questa disputa noi non vogliamo entrare, limitandoci ai dati essenziali che ci vengono forniti dagli Atti del suo martirio, che avviene durante la persecuzione di Diocleziano. Nel clima di terrore che si instaura e che vede la distruzione degli edifici e degli arredi sacri, la destituzione dei cristiani che ricoprono cariche pubbliche, l’obbligo per tutti di sacrificare agli dei, il vescovo Valerio e il diacono Vincenzo continuano imperterriti nell’annuncio del Vangelo: formano un connubio indissolubile, nel quale il primo con la sua presenza e con l’autorità che gli deriva dal ministero episcopale si fa garante di quello che il secondo annuncia con forza, convinzione e facilità di parola. Così il governatore di Valencia, Daciano, li fa arrestare entrambi, ma quando se li trova davanti capisce che il vero nemico da combattere è il diacono Vincenzo. Manda così il vescovo in esilio e concentra tutte le sue arti persecutorie su Vincenzo, che oltre ad essere un gran oratore è anche un uomo che non si piega facilmente. Lo dice in faccia al governatore: “Vi stancherete prima voi a tormentarci che noi a soffrireâ€, e questo manda in bestia il persecutore, che vede così anche messa in crisi la sua autorità e il suo prestigio. Perché Vincenzo è una di quelle persone che si piegano ma non si spezzano: prima lo fa fustigare e torturare; poi lo condanna alla pena del cavalletto, da cui esce con le ossa slogate; infine lo fa arpionare con uncini di ferro. Così tumefatto e slogato lo fa gettare in una cella buia, interamente cosparsa di cocci taglienti, ma la testimonianza di Vincenzo continua ad essere limpida e ferma: “Tu mi fai proprio un servizio da amico, perché ho sempre desiderato suggellare con il sangue la mia fede in Cristo. Vi è un altro in me che soffre, ma che tu non potrai mai piegare. Questo che ti affatichi a distruggere con le torture è un debole vaso di argilla che deve ad ogni modo spezzarsi. Non riuscirai mai a lacerare quello che resta dentro e che domani sarà il tuo giudiceâ€. Lo sentono addirittura, anche così piagato, cantare dalla cella e Daciano si rende conto che quella è una voce da far zittire in fretta, visto che qualcuno si è già convertito vedendolo così forte nella fede. Muore il 22 gennaio dell’anno 304 ed anche per sbarazzarsi del cadavere Daciano deve sudare: gettato in pasto alle bestie selvatiche, il suo corpo viene alacramente difeso da un corvo; gettato nel fiume, legato in un sacco insieme ad un grosso macigno, il suo corpo galleggia e torna a riva, dove finalmente i cristiani lo raccolgono per dargli onorata sepoltura. Da una delle omelie che Sant’Agostino ogni anno, il 22 gennaio, dedicava al martire Vincenzo ricaviamo questo pensiero: “il diacono Vincenzo….. aveva coraggio nel parlare, aveva forza nel soffrire. Nessuno presuma di se stesso quando parla. Nessuno confidi nelle sue forze quando sopporta una tentazione, perché, per parlare bene, la sapienza viene da Dio e, per sopportare i mali, da lui viene la fortezzaâ€.


Saint TROBAT et TROIS CENT CINQUANTE-NEUF autres, martyrs en Espagne sous Dioclétien (vers 304).

Sainte IRENE de Rome, veuve du martyr saint Castule.
Saints VINCENT, ORONCE et VICTOR, martyrs à Girone en Catalogne (vers 312).

Saint VINCENT, deuxième évêque de Digne (vers 380).

Sainte BLESILLE, veuve et pénitente à Rome (383).
Saint SOLENNE, évêque de Chartres (vers 509).

Saint VALIER, évêque de Viviers dans l'actuelle Ardèche (vers 510).

Saint VICTOR, évêque de Grenoble, confesseur de l'Orthodoxie face à l'arianisme (vers 530).


Saint moine martyr ANASTASE le Perse, zoroastrien converti, martyr par la main des Zoroastriens (628). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome I des Ménées.)
Monaco persiano morto nel 628. Magundat che da suo padre Han era stato istruito nella magia, faceva parte dell’esercito persiano, incuriosito dal fatto che i cristiani venerassero la croce che era uno strumento di morte e di supplizio, ne volle conoscere i rudimenti della religione, quindi recatosi a Gerapoli nella chiesa dedicata ai martiri apprese il loro eroismo. Ammirato, si recò poi a Gerusalemme ove ricevette il Battesimo assumendo il nome di Anastasio ("il risorto") per indicare l’avvenuta conversione.
Fu monaco per sette anni poi andò a Cesarea di Palestina allora soggetta ai persiani e là catturato, fu sottoposto a tormenti crudeli affinché abiurasse il Cristianesimo.
Avendo fatto parte dell’esercito si chiese al re Cosroe una decisione nei suoi riguardi. Il re comprensivo rispose che se abiurava anche davanti ad una sola persona potevano lasciarlo libero, ma Anastasio rifiutò. Allora fu preso insieme a due altri compagni di cella e portato a Bethsaloen in Assiria (detta poi Sergiopoli) dove si trovava il re e là fu sottoposto ad altri terribili tormenti assistendo anche allo strozzamento dei due compagni e di altri sessantasei cristiani, alla fine fu strangolato e decapitato.
Le sue reliquie furono traslate a Roma durante l’impero di Eraclio intorno al 640. Il suo capo era venerato nel monastero detto delle "Acquae Salviae" intitolato poi ai santi Vincenzo ed Anastasio alle Tre Fontane.
Una sua reliquia si venera, sempre a Roma, presso la Scala Santa. L’effige del suo volto recata a Roma alle Tre Fontane è stata una grande sorgente di virtù miracolose fra l’altro confermate dal II Concilio Niceno.
Ancora oggi è molto venerato con la diffusione di medaglie di vari formati da portare addosso e a cui si dà molta importanza per preservare dai mali.
La sua festa si celebra il 22 gennaio.


Saint BLIDRAN, évêque de Vienne en Dauphiné, confesseur (719).

Saints hiéromartyrs MANUEL, GEORGES, PIERRE, LEON,et leurs compagnons GABRIEL, SIONIOS, JEAN, LEON, PARODE et TROIS CENT SEPTANTE-SEPT autres, martyrs par la main des Bulgares païens (814).

Saint martyr ANASTASE le diacre de la Laure des Grottes de Kiev, martyr (XIIème siècle).

Saint JOSEPH le Sanctifié, dit Samakos (Crète 1511).

 

Saint MACAIRE le Thaumaturge, higoumène du monastère de Jabin (Russie 1623). Saint Macarius of Zhabyn, Wonderworker of Belev, was born in the year 1539. In his early years he was tonsured with the name Onuphrius, and in the year 1585 he founded Zhabyn's Monastery of the Entry of the Most Holy Theotokos into the Temple near the River Oka, not far from the city of Belev. In 1615 the monastery was completely destroyed by Polish soldiers under the command of Lisovski. Returning to the charred remains, the monk began to restore the monastery. He again gathered the brethren, and in place of the wooden church a stone church was built in honor of the Entry of the Most Holy Theotokos into the Temple (November 21), with a bell-tower at the gates.

The saint spent his life in austere monastic struggles, suffering cold, heat, hunger and thirst, as the monastery accounts relate. He often went deep into the forest, where he prayed to God in solitude. Once, when he was following a path in the forest, he heard a faint moaning. He looked around and saw a weary Polish man reclining against a tree trunk, with his sabre beside him. He had strayed from his regiment and had become lost in the forest. In a barely audible voice this enemy, who might have been one of the destroyers of the monastery, asked for a drink of water. Love and sympathy surged up within the monk. With a prayer to the Lord, he plunged his staff into the ground. At once, a fresh spring of water gushed forth, and he gave the dying man a drink.

When both the external and internal life of the monastery had been restored, St Onuphrius withdrew from the general monastic life, and having entrusted the guidance of the brethren to one of his disciples, he took the schema with the name Macarius. For the place of his solitude, he choose a spot along the upper tributary of the River Zhabynka. About one verst separated the mouth of the tributary and the banks of the River Oka.

The ascetical struggles of St Macarius were concealed not only from the world, but also from his beloved brethren. He died in 1623 at the age of eighty-four, at the hour when the roosters start to crow. He was buried opposite the gates of the monastery on January 22, the commemoration of St Timothy, where a church was later built and named for him.

The Iconographic Originals has preserved a description of St Macarius in his last years: he had gray hair with a small beard, and over his monastic riassa he wore the schema. Veneration of St Macarius was established at the end of the seventeenth century, or the beginning of the eighteenth. According to Tradition, his relics remained uncovered, but by 1721 they were interred in a crypt.

In the eighteenth century the monastery became deserted. The memory of his deeds and miracles was so completely forgotten, that when the incorrupt relics of the monastery's founder were uncovered during the construction of the church of St Nicholas in 1816, a general panikhida was served over them. The restoration of the liturgical commemoration of St Macarius of Belev is credited to Igumen Jonah, who was born on January 22 (the Feast of St Macarius), and who began his own monastic journey at the Optina monastery not far from the Zhabyn monastery.

In 1875 Igumen Jonah became head of the Zhabyn monastery. His request to re-establish the Feast of St Macarius was strengthened by the petition of the people of Belev, who through the centuries had preserved their faith in the saint. On January 22, 1888, the annual commemoration of St Macarius of Zhabyn was resumed.

In 1889, a church dedicated to St Macarius was built at his tomb. Igumen Jonah, who lived at the monastery and actually participated in the construction, decided that in addition to the building project, the holy relics of St Macarius would also be uncovered. When everything was on the point of readiness, St Macarius appeared to the participants and sternly warned them that they should not proceed with their intention, or they would be punished. The memory of this appearance was reverently preserved among the monks of the monastery.

St Macarius of Zhabynsk is also commemorated on September 22.



Saint JOASAPH (Bolotov), évêque d'Alaska (1799).

L'icône de la Mère de Dieu "ELEISTRIA" (Coron, Messénie, 1897).

Saints JEAN, NICOLAS, JACQUES, PIERRE, JEAN, JEAN, JEAN et EUTHYME, prêtres, martyrs par la main des Communistes (Russie 1938).

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