Santa Petronilla Martire venerata a Roma che per alcune
tradizioni è ritenuta figlia dell’apostolo Pietro .Per alcune fonti .Martire sotto
Domiziano e dal 757 patrona del Regno
di Francia
Tratto da: https://www.johnsanidopoulos.com/2017/05/holy-virgin-martyr-petronilla-of-rome.html
Traduzione a cura di Joseph Giovanni Fumusa
Santa Petronilla viene identificata dalla tradizione come figlia di San
Pietro Apostolo, sebbene questa ipotesi potrebbe semplicemente derivare
da una somiglianza dei nomi. Si crede che possa essere stata convertita
dall’Apostolo (ed esserne quindi “figlia spirituale”), o che ne fosse
una seguace o serva. Si narra che San Pietro l’abbia guarita dalla
paralisi. Non si conoscono i dettagli della sua vita, ma si pensa che
sia stata una vergine martire di Roma.
La quasi totalità degli
elenchi risalenti ai secoli VI e VII riportanti le tombe dei martiri
romani maggiormente venerati, situano la tomba di Santa Petronilla sulla
Via Ardeatina, vicina ai Santi Nereo ed Achilleo. Ciò è stato
confermato pienamente dagli scavi nelle Catacombe di Domitilla. Una
topografia delle tombe dei martiri romani, Epitome libri de locis
sanctorum martyrum, colloca sulla Via Ardeatina una Basilica di Santa
Petronilla in cui sono sepolti, oltre a Petronilla, i Santi Nereo ed
Achilleo.
Questa basilica, ricavata nelle già citate Catacombe di
Domitilla, è stata scoperta e i materiali in essa rinvenuti hanno
rimosso qualsiasi dubbio sul fatto che le tombe dei tre Santi siano
state venerate proprio lì. Un affresco, nel quale Petronilla viene
rappresentata nell’atto di ricevere in Paradiso una defunta di nome
Veneranda, fu scoperto da De Rossi attorno al 1870 sulla lastra che
sigillava una tomba in una cripta sotterranea dietro l’abside della
Basilica. Accanto alla figura della Santa vi è il suo nome: Petronilla
Mart(yr). Che l’affresco sia stato realizzato poco dopo il 356 viene
comprovato da un’iscrizione situata nella tomba.
È dunque chiaro che
Petronilla sia stata venerata come martire a Roma nel IV secolo; la
testimonianza deve essere accettato come dato certamente storico, a
dispetto della tarda leggenda che la riconosce soltanto come vergine.
Un’altra testimonianza nota, ma sfortunatamente non più esistente, era
il sarcofago marmoreo contenente i suoi resti, traslati nella Basilica
di San Pietro sotto Papa Paolo I. Nel racconto che se ne fa nel Liber
Pontificalis, viene riportata l’iscrizione incisa sul sarcofago: Aureae
Petronillae Filiae Dulcissimae. Il sarcofago fu scoperto nella cappella a
lei dedicata sotto Papa Sisto IV, il quale si affrettò ad informare
Luigi XI di Francia. Tuttavia, si apprende da notizie risalenti al XVI
secolo circa il sarcofago, che la prima parola era Aur(eliae), quindi il
nome della martire era Aurelia Petronilla. Il secondo nome deriva da
Petro o Petronius e, poiché il nome del nonno del console cristiano Tito
Flavio Clemente era Tito Flavio Petrone (in latino, Petro, NdT), è
molto probabile che Petronilla era imparentata con i Flavi, cristiani,
che erano discendenti della famiglia senatoriale degli Aureli. Questa
teoria spiegherebbe anche il motivo per cui Petronilla fu seppellita
nelle catacombe della flaviana Domitilla. Come quest’ultima, Petronilla
potrebbe aver sofferto durante la persecuzione di Domiziano tra la fine
del III secolo e l’inizio del IV.
L’assenza del suo nome dal
calendario romano delle feste del IV secolo lascia supporre che
Petronilla sia morta alla fine del I secolo o durante il II, perché
durante quel periodo non si celebravano feste per i martiri. Dopo
l’erezione della basilica sui suoi resti e su quelli dei Santi Nereo e
Achilleo nel IV secolo, la sua venerazione ebbe una gran diffusione ed
il suo nome venne quindi ammesso successivamente nel martirologio.
Tratto dal
quotidiano Avvenire
Anche per santa Petronilla, come per
molti santi dei primi secoli, nonostante abbia avuto un culto così diffuso,
abbiamo scarse notizie. Quello che è certo che era sepolta nel cimitero di
Domitilla nei pressi o nell'ambito della Basilica sotterranea delle catacombe:
le fonti archeologiche indicano la più antica testimonianza in un affresco del
IV secolo tuttora esistente in un cubicolo dietro l'abside della basilica
sotterranea, costruita da papa Siricio tra il 390 e il 395, che raffigura
Veneranda introdotta in paradiso, tenuta per mano da una fanciulla al cui
fianco è scritto «Petronella Mart(yr)». Secondo la «Passio» dei santi Nereo ed
Achilleo composta nel VI secolo Petronilla sarebbe stata figlia di san Pietro e
sarebbe morta naturalmente, quindi non martire come invece è segnalato
nell'affresco. Il corpo di Petronilla sarebbe rimasto nel cimitero di Domitilla
a Roma, fino al 757 quando papa Paolo I lo trasportò insieme al sarcofago che
lo conteneva, nella basilica vaticana.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/55450
Come per tanti santi della prima era
cristiana, anche in questo caso vi sono notizie discordanti sulla ‘Vita’.
Anche per s. Petronilla nonostante che abbia avuto un culto così diffuso,
abbiamo notizie dubbiose sulla sua esistenza. Quello che è certo che era
sepolta nel cimitero di Domitilla nei pressi o nell’ambito della Basilica
sotterranea delle catacombe, le fonti archeologiche indicano la più antica
testimonianza in un affresco del IV secolo tuttora esistente in un cubicolo
dietro l’abside della basilica sotterranea, costruita da papa Siricio tra il
390 e il 395, che raffigura Veneranda introdotta in un paradiso fiorito di
rose, tenuta per mano da una fanciulla col capo coperto e al cui fianco è
scritto “Petronella Mart(yr)”.
D’altra parte abbiamo le notizie tratte dalla ‘Passio’ dei santi Nereo ed
Achilleo composta nel V-VI sec. ma di poco valore storico, che afferma che
Petronilla sarebbe figlia di s. Pietro e sarebbe morta naturalmente dopo aver
ricevuto la Comunione dalle mani del presbitero Nicomede, quindi non martire
come invece è segnalato nell’affresco, comunque nel narrare la vita dei santi
Nereo ed Achilleo l’agiografo del V sec. dice che dopo morti furono sepolti nel
cimitero di Domitilla presso il sepolcro di Petronilla, questo concorda con le
fonti archeologiche.
L’attribuzione di figlia di s. Pietro che comunque nei secoli è rimasta tale,
deve essere scaturita dalla somiglianza dei nomi Pietro e Petronilla. Il suo
corpo sarebbe rimasto nel cimitero di Domitilla sulla via Ardeatina a Roma,
fino al 757 quando papa Paolo I adempiendo una promessa del suo predecessore
Stefano II lo trasportò insieme al sarcofago che lo conteneva, nella basilica
vaticana.
Carlo Magno nell’anno 800 visitò e venerò la cappella a lei dedicata con grande
partecipazione di soldati e popolo. Grande venerazione e devozione le ha da
sempre tributato la Francia che l’ha eletta sua principale patrona e
protettrice perché come Petronilla è considerata figlia di s. Pietro, così la
Francia è la figlia primogenita della Chiesa romana e quindi di Pietro.
E’ stata raffigurata ed onorata da artisti insigni in tutti i secoli; nella
Basilica Vaticana un mosaico è al disopra dell’altare di una cappella che le
competeva quale patrona di Francia nella più grande chiesa della cristianità.
Siena ebbe particolare devozione per lei, la quale è raffigurata in una
predella di Sano di Pietro, intenta a servire a tavola il padre e in un altro
quadro s. Pietro è intento a curarla dalla paralisi.
Il nome Petronilla deriva da Petronio che a sua volta deriva dal latino della
gens Petronia che significa “proveniente da una località pietrosa”, il
diminutivo è Nilla. – Festa il 31 maggio.
Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/p/petronilla.htm
Petronilla, santa, martire di Roma,
le spoglie sono all’altare della cappella a lei dedicata a S. Pietro in
Vaticano. La primitiva tomba si trovava nel Cimitero di Domitilla sulla via
Ardeatina, dove nel 390-395 le era stata costruita una basilica. Nel 757 Paolo
I, per adempiere alla promessa fatta dal suo predecessore e fratello Stefano II
al re dei Franchi Pipino, traslò il corpo e lo collocò nella rotonda che
sorgeva lungo il lato meridionale di S. Pietro. Grazie alla sua presenza,
questa cappella diventò una vera e propria chiesa imperiale francese. Nell’846
i saraceni fecero scempio della costruzione e per molto tempo il corpo si
credette perso o trafugato dai francesi. Nel 1470 le spoglie furono rinvenute
durante i lavori di restauro voluti da Luigi XI. Demolita la rotonda, il corpo
venne prima deposto in un altare nel sacrario e nel 1574 presso quello del
Crocifisso che in seguito fu demolito. In questa occasione la testa fu posta in
un reliquiario d’argento, opera di Antonio Gentile da Faenza, ed esposta alla
pubblica venerazione. Nel 1643 ad essa si aggiunse la reliquia di un femore. Un
braccio era posto in un reliquiario d’argento nella sagrestia di S. Lorenzo
f.l.m.
M.R.: 31 maggio - A Roma santa Petronilla Vergine, figlia del beato Pietro
Apostolo, la quale, disprezzando il matrimonio col nobile personaggio Flacco,
e, ottenuti tre giorni di tempo per deliberare, attendendo frattanto a digiuni
ed orazioni, nel terzo giorno, appena ricevuto il Sacramento di Cristo, esalò
lo spirito.
Santi
Canzio, Canziano e Canzianilla
Martiri con Proto loro precettore
martiri ad Aquieia sotto Diocleziano (tra il 290 e il 304)
Canzio,
Canziano e Canzianilla, che la la tradizione vuole fratelli, caddero sotto
Diocleziano agli inizi del IV secolo e vennero sepolti ‘ad aquas Gradatas’.
Nella stessa località, corrispondente all’odierno S. Canzian d’Isonzo, venne
scoperta recentemente la relativa basilica paleocristiana e la stessa tomba,
con notevoli resti ossei di tre individui. La venerazione dei martiri è
attestata dal racconto di S. Massimo di Torino (sec. V), da una celebre
cassetta-reliquiario in argento conservata a Grado della fine del sec. V e
dall’affermazione di Venanzio Fortunato (fine sec. VI) : " Aquileiensium
si forte accesseris urbem, Cantianos Domini nimium venereris amicos ". In
età altomedioevale esisteva in detta località un monastero in loro onore,
dedicato a S. Maria. Il culto dei martiri era già anticamente diffuso
nell’Italia settentrionale (Lombardia), in Francia e in Germania.
Martirologio
Romano: Ad Aquileia in Friuli, santi Canzio, Canziano e Canzianilla, martiri,
che, arrestati dal persecutore mentre si allontanavano su un carro dalla città,
furono infine condotti al supplizio.
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91149
Venanzio Fortunato (m. 600 ca.),
vescovo di Poitiers, ma trevigiano di origine, nel poema De vita S. Martini
dice : « Aut Aquileiensem si fortasse accesseris urbem Cantianos Domini nimium
venereris amicos » (IV, 658-59, in PL, LXXXVIII, col. 424).
Questi Canziani o Canzii sono i nostri tre martiri. Solo la fama che la Chiesa
d'Aquileia godeva nell'antichità cristiana può spiegare la diffusione che il
culto di questi tre suoi martiri ha avuto al di qua e al di là delle Alpi. I
loro nomi ricorrono più volte nei martirologi : in quello Romano il 31 magg.,
nel Geronimiano, oltre che al 30 (Additamenta) e al 31 magg., anche il 15, il
16 e il 17 giug., da soli oppure assieme ad altri santi, associati dalla
leggenda al loro martirio, come Proto (o Protico) e Crisogono (o Grisogono),
ovvero affiancati per errore di copisti, come Giovano, Muzio, Clemente, Ciria
(o Ciriaco) e altri. Eppure ben poco sappiamo di loro. La più antica passio
(histo-ria) è andata perduta; ne conosciamo l'esistenza perché vi attinse
alcune notizie un'omelia che, erroneamente attribuita a s. Ambrogio (PL, XVII,
coll. 728-29), pare sia di s. Massimo di Torino (ibid., LVII, coll. 701-702).
Questa omelia dice che i tre Canzii, fratelli di sangue, furono martirizzati
insieme poco lontano da Aquileia, mentre se ne allontanavano in cocchio.
Forse la stessa historia servì da canovaccio alla Passio SS. Cantii, Cantiani
et Cantianillae, conservataci in varie redazioni sotto forma di lettera
indirizzata da s. Ambrogio ai vescovi d'Italia. Racconta che i tre fratelli,
romani della nobile famiglia Anicia e quindi parenti dell'imperatore Carino,
quando scoppiò a Roma la persecuzione di Diocleziano, emanciparono, dopo averli
fatti istruire e battezzare, i loro settantatré schiavi, distribuirono ai
poveri i beni che possedevano in città e assieme a Proto, loro pedagogo,
partirono per Aquileia, ove pure possedevano molti beni, allo scopo
d'incontrarsi con Grisogono. Ma la persecuzione vi infuriava non meno che a
Roma per opera del preside Dulcizio e del comes Sisinnio. Grisogono era stato
martirizzato ad Aquas Gradatas (uno scalo sull'Isonzo, ora S. Cancian d'Isonzo,
a quindici chilometri ca. da Aquileia) un mese prima dell'arrivo dei Canzii.
Questi allora si diedero a visitare i cristiani in prigione e a predicare
coraggiosamente Gesù Cristo, operando molti miracoli. Citati innanzi al
preside, rifiutarono di comparire, forti della loro parentela con l'imperatore
Carino. La loro condanna a morte dovette essere confermata dagli imperatori
Diocleziano e Massimiano. Presentendola, i tre fratelli, sempre insieme con
Proto, s'erano recati ad Aquas Gradatas sulla tomba del martire Grisogono.
Raggiunti da Sisinnio, non avendo voluto rendere omaggio agli dei, furono
decapitati. Il prete Zeno (o Zoilo), lo stesso che aveva dato sepoltura a s.
Grisogono, si affrettò a seppellirli in una cassa di marmo (in locello
marmoreo) presso il sepolcro di lui. Così la passio che i Bollandisti
dichiarano senz'altro fittizia (Martyr. Rom., p. 217) e che, secondo il
Lanzoni, risale nella sua prima redazione alla metà del sec. V. L'autore e i
successivi redattori hanno rimpolpato il poco che si sapeva del martirio dei
Canzii con elementi tolti dalle passiones romane dei santi Proto e Giacinto,
pedagoghi di s. Eugenia (cf. BHL, II, p. 1015, nn. 6975-77) e di s. Crisogono,
pedagogo di s. Anastasia (cf. BHL, I, p. 270, n. 1795).
Il Chronicon gradense racconta che verso la metà del sec. VI un prete di nome
Geminiano asportò da Aquileia, assieme a quelle di altri martiri, anche le
spoglie dei Canzii e le portò a Grado, ove il patriarca Paolo le fece tumulare
nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, fissandone la festa il 31 magg.,
anniversario della morte (cf. G. Monticolo, Cronache veneziane antichissime, I,
Venezia 1890, pp. 37, 41). Il racconto contiene un nucleo di verità. Difatti,
Paolo (o Paolino) d'Aquileia, il primo a chiamarsi patriarca, in seguito
all'invasione longobarda, nel 568 si rifugiò a Grado portando con sé i preziosi
reliquiari dei corpi santi per sottrarli a rapine sacrileghe. È probabile che
nel 579, quando fu dedicato il duomo di Grado, siano stati deposti sotto
l'altare principale.
Nel 1871 vi fu dissotterrata una piccola urna marmorea, contenente due cassette
d'argento, in una delle quali, di forma ellittica, l'iscrizione dice
chiaramente esservi contenute reliquie dei tre Canzii, assieme a quelle di s.
Quirino di Pannonia e di s. Latino, forse il vescovo di Brescia; si tratta di
piccole reliquie. Questo potrebbe spiegare come altre chiese vantino o si siano
vantate di possedere le salme dei Canzii o, probabilmente, solo reliquie: il
duomo di Milano, S. Crisogono di Seriate nella diocesi di Bergamo, S. Maria in
Organis a Verona, la cattedrale di Hildesheim nella Sassonia e, specialmente, la
chiesa del monastero di S. Maria d'Estampes nella diocesi di Sens, in Francia.
Ve le avrebbe fatte deporre il re Roberto II il Santo (999-1031), che le aveva
ottenute da Milano. Ogni anno venivano portate solennemente in processione il
martedì di Pasqua, anniversario della loro deposizione ad Estampes e il 31
magg., anniversario del martirio. All'intercessione dei tre martiri aquileiesi
vennero attribuiti molti miracoli. Nel 1249, le reliquie furono poste in una
cassettina d'argento e nel 1620 furono riposte in un'altra più bella. Una parte
passò alla chiesa metropolitana di Sens, anzi in questa diocesi i tre Canzii
non avevano solo festa, ma anche Ufficio proprio.
Tratto da
http://www.mondocrea.it/itfriuli-117/
Secondo
la passio, Canzio, Canziano e Canzianilla erano tre fratelli romani,
imparentati con la nobile e potente stirpe degli Anici. Essi, vissuti tra la
fine del III e l’inizio del VI secolo, furono educati alla fede cristiana dal
loro pedagogo Proto (cf. scheda Proto).
Allorché
nella capitale s’intensificò la persecuzione anticristiana, i Canziani, non
potendo più contare sull’ appoggio dell’imperatore Carino, loro parente, perché
venuto a morte,
deciserio di abbandonare la città. Per questo motivo liberarono tutti i loro
schiavi dopo averli battezzati, vedettero i cospicui beni che possedevano,
distribuirono il ricavato ai
poveri, quindi lasciarono Roma insieme a Proto e si diressero verso Aquileia,
dove possedevano terre e case e dove potevano contare sull’amicizia di
Crisogono (cf. schenda Crisogono).
Appena
giunti nella metropoli altoadriatica furono informati dell’arresto dell’amico;
recatisi nelle carceri seppero dai prigionieri cristiani che egli aveva ormai
subito il martirio
in un luogo chiamato Aquae Gradatae, a circa dodici miglia da Aquileia, oltre
il fiume Isonzo.
Durante la notte ebbero la visione di Cristo che li esortava a recarsi sul
posto, ed essi allora si rimisero in viaggio a bordo di un carro trainato da
mule, accompagnati dal fedele Proto.
Giunti alle Aquae Gradatae s’inginocchiarono sulla tomba di Crisogono per
pregare; poco dopo furono raggiunti dalle guardie inviate dai magistrati
aquileiesi Dulcidio e Sisinnio, a seguito delle leggi anticristiane emanate
dall’imperatore Diocleziano.
Invitati
ad abiurare la fede pena la morte, essi rifiutarono e perciò furono giustiziati
sul posto mediante la decapitazione: era il 31 maggio dell’ anno 303. Il prete
Zoilo provvide
alla loro sepoltura non lontano dalla tomba di Crisogono, inumandoli tutti e
tre insieme in fossa rivestita di lastre marmoree; anche Proto fu sepolto nei
pressi.
Negli anni immediatamente successivi al 313, data dell’emanazione del famoso
Editto di Costantino e Licinio, la comunità cristiana di Aquileia eresse sulla
tomba dei Canziani una memoria, che nel V secolo fu sostituita da una basilica;
questa fu poi rimosaicata nel VI secolo. In quel tempo il poeta Venanzio
Fortunato così invitava i pellegrini che andavano
a venerare le sepolture dei martiri sparse in tutto l’impero: Aut Aquileiensem
si fortasse accesseris urbem Cantianos Domini nimium venereris amicos (>).
Da un
diploma dell’imprenditore Ludovico il Pio, datato 17 febbraio 819, si
apprendere che alle Aquae Gradatae, che ormai veniva indicato come > (vicus
sanctorum Cantianorum), esisteva un monastero benedettino maschile intitolato a
Santa Maria, eretto in onore dei tre fratelli martiri (monasterium sanctae
Mariae quod est situm
in territorio Foroiuliensi constructum in honorem sanctorum Cantianorum).
Certamente
i monaci avevano il compito di mantenere in ordine la basilica dedicata ai
Canziani e le memorie di Proto e Crisogono, inoltre provvedevano alle necesità
dei numerosi
pellegrini che colà giungevano.
Probabilmente durante le terribili invasioni degli ungari, che ripetutamente
devastarono le terre friulane dalla fine del IX alla metà del X secolo,
basilica, memorie e monastero andarono distrutti.
Allorché
la vita nel vico riprese a scorrere normalmente, non si sa quando, gli abitanti
non sapevano più con precisione dove fosse ubicata la venerata tomba, ma non
dimenticarono
mai di tributare un sincero culto ai tre martiri.
Negli anni Sessanta, l’Istituto di archeologia cristiana dell’Università di
Trieste, diretto dal professor Mario Mirabella Roberti, decise di effettuare
alcune campagnie di scavo a
San Canzian d’Isonzo, nei pressi della parocchiale, della cappella di San Proto
e della chiesetta di Santo Spirito. Il risultato delle indagini furono
eccezionali e premiarono oltre
ogni aspettativa l’impegno e le speranze dei ricercatori, che si erano dedicati
all’impresa benché altri illustri studiosi reputassero la storia dei Canziani
frutto di pura fantasia e perciò immeritevole del minimo credito. Gli
archeologi non solo riportarono in luce notevoli testimonianze sule antiche
origini romane dell’odierno paese, ma ridonarono dignità storica alle figure
dei Canziani, fino allora confinate nella leggenda, offrendo così alla chiesa
di Aquileia uno straordinario dono: le uniche relique certe di martiri aquile
iesi.
Infatti,
sotto il mosaico della basilica, nel presbiterio, precisamente nel punto in cui
doveva essere collocato l’altare, fu scoperta la tomba dei Canziani,
esattamente com’ era descritta nella passio, cioé una fossa rivestita di lastre
di marmo (in locello marmoreo). Essa conteneva i resti scheletrici di tre
giovani individui, due maschi e una femmina, legati da vincoli parentelari,
come dimostrò l’esame morfometrico eseguito dal professor Cleto Corrain
dell’Istituto di antropologia dell’Università di Padova.
Ogni
anno a San Canzian d’Isonzo, da tempo immemorabile, la prima domenica di giugno
si svolge la processione dei santi martiri; le loro relique vengono
trasportate, su un carro infiorato e parato di rosso, dalla chiesa parrocchiale
fino al luogo chiamato significativamente Grodate; là è preparato un altare con
i tre busti raffigurati i santi e un lettore legge ai fedeli la loro passio.
Il culto dei santi Carinziani si diffuse presto ben oltre i confini friulani:
tutt’oggi si perpetua a Milano, Ravenna,Verona,Seriate (in Provincia di
Bergamo), Estampes, Sens, Hildesheim e in molti altri centri dell’Istria, della
Slovenia e dell’Austria.
Oggi
le preziose relique sono custodite nell’altare moderno della parrocchiale di
San Canzian d’Isonzo, dentro tre cassette dotate di fenestrella confessionis.
Le lastre del fondo della tomba sono esposte sulla parete sinistra, mentre i
resti musivi della basilica paleocristiana, insieme con altri importanti
reperti, sono visibili nell’atiguo antiquarium.
Nel
settecentesco altare maggiore è posto il trittico raffigurante i tre martiri:
al centro Canziano, considerato tradizionalmente il maggiore; a destra Canzio e
a sinistra Canzianilla. I due fratelli sono rappresentati sempre in vesti
militari, poiché la tradizione li vuole legionari romane.
Frammenti di relique dei santi Canziani sono conservati nella basilica di
Aquileia e nel Duomo di Grado. Qui, nel Tesoro é visibile la famosa cappella
argentea elittica con i medaglioni contenenti i ritratti ideali dei tre
fratelli; é considerata unh capolavoro di oreficeria paleocristiana del V
secolo.
GABRIELLA
BRUMAT DELLASORTE
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., Ad Aquans Gradatas. Segni romani e paleocristiani a San Canzian
d’Isonzo, Ronchi dei Legionari 1991.
DANIELE I., Canzio, Canziano e Canzianilla, in Bibliotheca Sanctorum, vol. III,
coll. 758-760, Roma 1963.
TBERIO C., Il culto dei santi fratelli martiri Canziano, Canzio e Canzianilla,
Udine 1989.
Consultare anche
Santo Lupicino
vescovo di Verona(verso il V secolo)
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/94426
La storicità di questo vescovo di
Verona è attestata oltre che dai cataloghi della tradizione veronese, da quello
riportato nell'autorevolissimo Velo di Classe (v. Agabio) del sec. VIII, che,
data la sua antichità, è da ritenersi derivante dai dittici, integro e genuino
(Lanzoni). Il rituale della Chiesa veronese, denominato Carpsum, dei primi
decenni del sec. XI, nel calendario d'inizio attesta il culto di Lupicino: « XI
Kal. iunii Assumptio sancti Lupicini episcopi ». Da notare la data — 22 magg. —
osservata nella Chiesa veronese fino alla riforma del Proprio diocesano del 1961
e il termine arcaico di assumptio che denota un culto più antico del sec. XI,
culto indicato anche dal fatto che il Carpsum, secondo studi recenti, in
diverse parti del contenuto, risale al sec. IX. Nella cronotassi riferita dal
Velo, Lupicino occupa il posto dopo Siagrio che sappiamo vivente al tempo di s.
Ambrogio (m. 397).
Lupicino, pertanto, reggeva la Chiesa veronese agli inizi del sec. V; le sue
reliquie sono venerate nella cripta della basilica di S. Zeno Maggiore insieme
con quelle di s. Lucilio.