Santo Evelio probabilmente nato a Pisa ed ufficiale romano martire a Roma sotto Nerone (verso il
66)
Tratto da
Il nome di s. Evelio o Evellio, compare
solo nella ‘Passio’ di s. Torpete o s. Torpé, ufficiale dell’esercito romano di
Nerone, nativo di Pisa e qui decapitato nel 68, per essersi rifiutato di
sacrificare alla dea Diana.
Evelio, che era consigliere dell’imperatore, fu presente al processo dell’ufficiale e vedendo il confessore della fede, uscire miracolosamente incolume dalle varie prove e tormenti cui era stato sottoposto, ne restò colpito e “credette in Cristo”.
Lasciò la corte di Nerone e fuggì a Roma, ma qui fu arrestato e poi decapitato un 27 aprile, molto probabilmente dell’anno 69; visto che s. Torpete è ricordato il 29 aprile o il 17 maggio, presumibile data del suo martirio nel 68, quindi Evelio, che si sa morì successivamente, fu martire un anno dopo.
Per primi, gli agiografi Rabano Mauro e Notkero ne introdussero il nome nei loro Martirologi alla data dell’11 maggio, forse indotti in errore da una errata lettura dell’antica ‘Vita’ di s. Torpete, che comunque è leggendaria.
Cesare Baronio (1538-1607), compilatore del ‘Martirologio Romano’, continuò ad elencarlo all’11 maggio.
Il nome Evelio, deriva dal latino Hevelius ed è un nome di origine etnica, che significa “proveniente o abitante di Havel”, nei pressi di Brandeburgo.
Evelio, che era consigliere dell’imperatore, fu presente al processo dell’ufficiale e vedendo il confessore della fede, uscire miracolosamente incolume dalle varie prove e tormenti cui era stato sottoposto, ne restò colpito e “credette in Cristo”.
Lasciò la corte di Nerone e fuggì a Roma, ma qui fu arrestato e poi decapitato un 27 aprile, molto probabilmente dell’anno 69; visto che s. Torpete è ricordato il 29 aprile o il 17 maggio, presumibile data del suo martirio nel 68, quindi Evelio, che si sa morì successivamente, fu martire un anno dopo.
Per primi, gli agiografi Rabano Mauro e Notkero ne introdussero il nome nei loro Martirologi alla data dell’11 maggio, forse indotti in errore da una errata lettura dell’antica ‘Vita’ di s. Torpete, che comunque è leggendaria.
Cesare Baronio (1538-1607), compilatore del ‘Martirologio Romano’, continuò ad elencarlo all’11 maggio.
Il nome Evelio, deriva dal latino Hevelius ed è un nome di origine etnica, che significa “proveniente o abitante di Havel”, nei pressi di Brandeburgo.
Santo
Anastasio di Camerino (per altri codici probabilmente nativo di Lerida in Catalogna) tribuno militare e martire con sua moglie
Teopista e i loro figli nella stessa Camerino (verso il
251)
TRATTO
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92180
In data odierna è commemorata una famiglia marchigiana, il cui culto è assai diffuso in tale zona, Sant’Anastasio era di Camerino, paese oggi in provincia di Macerata, e secondo gli Atti sulla sua vita era un corniculario, cioè ispettore di giustizia.
Convertitosi di fronte alla serenità e sicurezza con cui il giovane San Venanzio, suo compaesano, affrontò il martirio, si fece battezzare dal sacerdote Porfirio con tutti i suoi familiari: la moglie Teopista ed i figli Aradio, Evodio (Ebodi), Callisto, Felice, Eufemia e Primitiva.
Sull’esempio di Venanzio, anch’essi furono chiamati a scegliere se vedere salva la propria vita terrene o preferire quella del Cielo. Optando per la seconda scelta, il loro martirio si consumò nel 251 sulla via Lata, fuori dalla porta orientale di Camerino.
Il Martirologio Romano li commemorava in passato l’11 maggio, mentre la diocesi di Camerino ancora oggi li ricorda il giorno seguente.
Santo Antimo presbitero e martire della
Chiesa di Roma (tra il 303 e il 305) insieme con insieme ad altri otto martiri Massimo, Basso, Fabio ,
Sisinnio, Diocleziano, Fiorenzo, Faltonio Piniano e Anicia Lucina.
Tratto da
Piniano decise dunque di restituire la libertà ai prigionieri e li nascose nelle sue ville in Sabina e nel Piceno. Al diacono Sisinnio, a Diocleziano e Fiorenzo, in particolare, fu affidato un terreno nei pressi di Osimo . Tre anni dopo, però, i tre furono lapidati per non aver voluto abiurare il cristianesimo.
Antimo, invece, fu ospitato in una villa al XXII miglio della Via Salaria Qui continuò a praticare attività di proselitismo convertendo al cristianesimo un sacerdote del dio Silvano e inducendolo a distruggerne un idolo. Per questo motivo fu denunciato al proconsole Prisco, che lo fece gettare nel Tevere con un sasso legato al collo, ma il sacerdote sopravvisse e fu decapitato. La sepoltura avvenne in un oratorio dei dintorni, presso il quale Antimo aveva l'abitudine di pregare.
Ad ereditare il ruolo di Antimo fu Massimo, che però fu decapitato pochi giorni dopo, il 19 o il 20 ottobre, e fu a sua volta sepolto in un oratorio, al XXX miglio della Via Salaria. Presso questo oratorio fu sorpreso a predicare Basso, che fu arrestato e ammesso alla prova dell'abiura: avendo rifiutato di effettuare sacrifici in onore di Bacco e Cerere , fu massacrato nel mercato di Forum Novum. Simile sorte toccò a Fabio, che fu torturato e decapitato sulla Via Salaria. Faltonio Piniano e Anicia Lucina, invece, morirono a Roma di morte naturale.
Non v'è certezza sulla data di questi avvenimenti, che tuttavia vengono collocati in un periodo compreso fra il V e il IX secolo: in particolare, non si sa se siano stati prodotti dall'unione di diversi testi agiografici o se invece si tratti di un corpo unico[1].
Sant'Antimo è ricordato nel Martirologio romano il giorno 11 maggio con la semplice indicazione che rimanda agli Acta Sancti Anthimi:
« A Roma al ventiduesimo miglio della
via Salaria, sant’Antimo, martire. » |
L'antica diocesi di Cures Sabiniè oggi una sede titolare della Chiesa cattolica con il titolo di Dioecesis Curensis seu Sancti Anthimi[2].
Sant'Antimo è inoltre il patrono dell'omonimo comune della città metropolitana di Napoli, cui è dedicato il maggiore luogo di culto della cittadina, il Santuario di Sant'Antimo Prete e Martire. Lo stemma comunale riporta l'effige del Santo[3] e molti abitanti del posto portano i nomi di battesimo di Antimo e, nella versione femminile, di Antimina, a testimonianza della profonda fede e devozione nel patrono.
Secondo Ildefonso Schuster Antimo è un santo locale, mentre per Delehaye sarebbe da identificarsi con sant'Antimo di Nicomedia ricordato però nel martirologio geronimiano il 27 aprile. Delehaye, riconoscendo che questa è una congettura, ritiene però che l'11 maggio sia la data dell'ingressus reliquiarum o del natalis basilicae del santo di Nicomedia a Cures. Questa tesi, tuttavia, non viene ritenuta provata da Francesco Lanzoni. Secondo quest'ultimo la lettura fornita da Delehaye potrebbe essere fondata per quel che riguarda Massimo, Fabio e Basso, visto che nel loro caso, pur essendo stati ricordati congiuntamente a sant'Antimo nel martirologio romano, non si conosce dove siano stati sepolti. In particolare, un san Massimo martire veniva venerato il 19 o il 20 ottobre, data di morte riportata dagli Acta, nell'antica Forconio; una festa analoga veniva il celebrata il 27 ottobre a Penne, l'11 a Teramo e il 30 a Cuma e nell'antica Comsa (l'odierna Conza): secondo Lanzoni, dunque, è possibile che Forum Novum si limitasse a venerare le reliquie di questo santo. Quanto a Fabio e Basso, infine, secondo Lanzoni, che osserva come esistono due martiri africani ricordati appunto con questo nome, molte chiese del Centro Sud dell'Italia veneravano reliquie di martiri africani.
Le spoglie di Diocleziano, Fiorenzo e Sisinnio, un tempo conservate nel monastero di San Fiorenzo di Osimo, furono traslate nel 1437 nel Duomo di San Leopardo in Osimo. Diocleziano e Fiorenzo, inoltre, sono citati nel martirologio geronimiano il 16 maggio. Di Faltonio Piniano, invece, non si hanno ulteriori notizie, mentre la moglie è spesso citata negli Atti dei martiri dei Santi Processo e Martiniano e di San Marcello papa Viene citata nel martirologio romano al 30 giugno
Note
1. ^ Secondo una tesi proposta dallo storico Hippolyte Delehaye
e ritenuta autorevole, tuttavia, le storie narrate negli Acta sono
elaborazioni fittizie e agiografiche che uniscono in una stessa narrazione
personaggi dotati invece di una vita e vicende autonome.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90554
ANTIMO, prete, MASSIMO,
BASSO, FABIO, martiri sulla VIA SALARIA in SABINA, SISINNIO, diacono,
DIOCLEZIANO e FIORENZO, martiri ad OSIMO nel PICENO, FALTONIO PINIANO e ANICIA
LUCINA, santi, confessori.
Questi martiri, venerati in luoghi diversi, sono collegati fra loro dagli Acta S. Anthimi. Faltonio Piniano, sposo di Anicia Lucina pronipote dell'imperatore Gallieno, era stato inviato dagli imperatori Diocleziano e Massimiano come proconsole nell'Asia. Scosso dalla fine miseranda del suo consigliere Cheremone, persecutore dei cristiani, era caduto egli stesso in gravissima malattia. La moglie, fallite tutte le cure, decise di rivolgersi ai cristiani ancora in prigione e chiedere loro la guarigione del marito. Vi erano tra gli altri il prete Antimo, il diacono Sisinnio e ancora Massimo, Basso, Fabio, Diocleziano (Dioclezio) e Fiorenzo. Antimo assicurò che il malato sarebbe guarito se avesse abbracciato il Cristianesimo, e così avvenne.
Piniano allora liberò quanti più cristiani poté, nascondendoli nelle proprietà che aveva nella Sabina e nel Piceno. Una sua terra presso Osimo fu data a Sisinnio, Diocleziano e Fiorenzo, i quali, tre anni dopo, non avendo voluto sacrificare agli idoli, furono lapidati a furor di popolo. Antimo, nascosto in una villa di Piniano lungo la via Salaria, al XXII miglio, avendo guarito e convertito un sacerdote del dio Silvano e fatto distruggere il simulacro di questa divinità, fu accusato al proconsole Prisco: gettato nel Tevere con una pietra al collo, ne uscì incolume. Fatto decapitare da Prisco, fu sepolto nell'oratorio dove era solito pregare. Massimo, erede dello zelo apostolico di lui, fu decollato poco dopo, il 19 o 20 ottobre, ed egli pure sepolto nel suo oratorio, al XXX miglio della Salaria. Basso, che vi intratteneva i fedeli per incoraggiarli alle nuove prove, fu arrestato, ma, rifiutandosi di sacrificare a Bacco e Cerere, fu massacrato dal popolo nel mercato di Forum Novum. Fabio, invece, fu consegnato al consolare, che, dopo averlo torturato, lo fece decapitare lungo la stessa via. Piniano e Anicia Lucina morirono di morte naturale a Roma.
I critici sono discordi intorno al tempo in cui furono composti questi Atti (certo non prima della fine del V sec. e non dopo il IX) e se risultino dalla fusione di più documenti agiografici preesistenti oppure siano opera di una sola mano. Sono invece tutti d'accordo con il Delehaye nel giudicarli fittizi e favolosi. Raggruppano, infatti, sub Diocletiano diversi personaggi, che invece ebbero vicende e culto del tutto indipendenti. Il prete s. Antimo compare nel Martirologio Geronimiano l'11 maggio con l'indicazione: “Romae... via Salaria miliario XXII natale sancti Antimi”, sviluppata nel Martirologio Romano con particolari desunti dagli Acta S. Anthimi. Il suo culto era particolarmente vivo a Cu res Sabinorum e anche altrove; diverse chiese s'intitolarono al suo nome. Egli compare in altre leggende come vescovo di Terni, di Spoleto e di Foligno. Nel sinodo romano del 501 il vescovo di Cures si sottoscrive episcopus ecclesiae S. Anthimi. S. Gregorio Magno nel 593 affidò Cures a Grazioso vescovo nomentano. A Montalcino in Toscana sorgeva il celebre monastero di S. Antimo, dove sarebbero state trasportate le spoglie del martire.
Mentre lo Schuster non dubita che Antimo sia un santo locale, il Delehaye invece lo identifica col vescovo omonimo di Nicomedia, commemorato nel Geronimiano il 27 aprile. Alla data dell'11 maggio lo stesso testo ricorderebbe l'ingressus reliquiarum o il natalis basilicae del martire orientale nella cittadina di Cures. Il Lanzoni, pur ammettendo la possibilità della cosa, non la trova sufficientemente provata e lo stesso Delehaye onestamente riconosce che la sua è solo una congettura, non suffragata da validi argomenti . Invece, il Lanzoni troverebbe più fondata tale supposizione a proposito di Massimo, Fabio e Basso, martiri di Forum Novum o Vescovio di Torri, pure ricordati nel Martirologio Romano l'11 maggio. Si ignora completamente il luogo della loro sepoltura. Secondo gli Acta S. Anthimi il dies natalis di s. Massimo cadeva il 19 o 20 ottobre. Ora proprio il 19 o 20 ottobre un s. Massimo martire era venerato nell'antica Forconio, la cui sede vescovile nel 1256 fu trasferita a L'Aquila, il 27 ottobre a Penne nell'Abruzzo, l'11 a Teramo e il 30 a Cuma nella Campania e a Comsa nel Sannio. Non è impossibile che a Forum Novum si venerassero soltanto delle reliquie di s. Massimo. Due famosi martiri africani si chiamavano appunto Basso e Fabio, come i compagni di s. Massimo. Ora si sa che molte chiese d'Italia, specialmente quelle del centro-meridione, amavano arricchirsi delle reliquie dei martiri africani. L'11 maggio il Martirologio Romano commemora anche i martiri osimani Sisinnio, Diocleziano e Fiorenzo, due dei quali, Diocleziano e Fiorenzo, compaiono nel Martirologio Geronimiano il 16 maggio. Non si sa se il nome di Sisinnio manchi per errore dei copisti o sia presente negli Acta S. Anthimi per influsso di quelli di s. Marcello papa. Comunque le reliquie di tutti e tre, conservate nell'antico monastero di S. Fiorenzo, nel 1437 furono trasportate nella cattedrale di Osimo. Di Faltonio Piniano non sappiamo niente di più di quel che dicono gli Acta S. Anthimi. Lucina, sua sposa, è la ricca matrona, il cui nome ricorre in molti Atti di martiri, da quelli dei ss. Processo e Martiniano a quelli di s. Marcello papa, ed è ricordata nel Martirologio Romano il 30 giugno.
Questi martiri, venerati in luoghi diversi, sono collegati fra loro dagli Acta S. Anthimi. Faltonio Piniano, sposo di Anicia Lucina pronipote dell'imperatore Gallieno, era stato inviato dagli imperatori Diocleziano e Massimiano come proconsole nell'Asia. Scosso dalla fine miseranda del suo consigliere Cheremone, persecutore dei cristiani, era caduto egli stesso in gravissima malattia. La moglie, fallite tutte le cure, decise di rivolgersi ai cristiani ancora in prigione e chiedere loro la guarigione del marito. Vi erano tra gli altri il prete Antimo, il diacono Sisinnio e ancora Massimo, Basso, Fabio, Diocleziano (Dioclezio) e Fiorenzo. Antimo assicurò che il malato sarebbe guarito se avesse abbracciato il Cristianesimo, e così avvenne.
Piniano allora liberò quanti più cristiani poté, nascondendoli nelle proprietà che aveva nella Sabina e nel Piceno. Una sua terra presso Osimo fu data a Sisinnio, Diocleziano e Fiorenzo, i quali, tre anni dopo, non avendo voluto sacrificare agli idoli, furono lapidati a furor di popolo. Antimo, nascosto in una villa di Piniano lungo la via Salaria, al XXII miglio, avendo guarito e convertito un sacerdote del dio Silvano e fatto distruggere il simulacro di questa divinità, fu accusato al proconsole Prisco: gettato nel Tevere con una pietra al collo, ne uscì incolume. Fatto decapitare da Prisco, fu sepolto nell'oratorio dove era solito pregare. Massimo, erede dello zelo apostolico di lui, fu decollato poco dopo, il 19 o 20 ottobre, ed egli pure sepolto nel suo oratorio, al XXX miglio della Salaria. Basso, che vi intratteneva i fedeli per incoraggiarli alle nuove prove, fu arrestato, ma, rifiutandosi di sacrificare a Bacco e Cerere, fu massacrato dal popolo nel mercato di Forum Novum. Fabio, invece, fu consegnato al consolare, che, dopo averlo torturato, lo fece decapitare lungo la stessa via. Piniano e Anicia Lucina morirono di morte naturale a Roma.
I critici sono discordi intorno al tempo in cui furono composti questi Atti (certo non prima della fine del V sec. e non dopo il IX) e se risultino dalla fusione di più documenti agiografici preesistenti oppure siano opera di una sola mano. Sono invece tutti d'accordo con il Delehaye nel giudicarli fittizi e favolosi. Raggruppano, infatti, sub Diocletiano diversi personaggi, che invece ebbero vicende e culto del tutto indipendenti. Il prete s. Antimo compare nel Martirologio Geronimiano l'11 maggio con l'indicazione: “Romae... via Salaria miliario XXII natale sancti Antimi”, sviluppata nel Martirologio Romano con particolari desunti dagli Acta S. Anthimi. Il suo culto era particolarmente vivo a Cu res Sabinorum e anche altrove; diverse chiese s'intitolarono al suo nome. Egli compare in altre leggende come vescovo di Terni, di Spoleto e di Foligno. Nel sinodo romano del 501 il vescovo di Cures si sottoscrive episcopus ecclesiae S. Anthimi. S. Gregorio Magno nel 593 affidò Cures a Grazioso vescovo nomentano. A Montalcino in Toscana sorgeva il celebre monastero di S. Antimo, dove sarebbero state trasportate le spoglie del martire.
Mentre lo Schuster non dubita che Antimo sia un santo locale, il Delehaye invece lo identifica col vescovo omonimo di Nicomedia, commemorato nel Geronimiano il 27 aprile. Alla data dell'11 maggio lo stesso testo ricorderebbe l'ingressus reliquiarum o il natalis basilicae del martire orientale nella cittadina di Cures. Il Lanzoni, pur ammettendo la possibilità della cosa, non la trova sufficientemente provata e lo stesso Delehaye onestamente riconosce che la sua è solo una congettura, non suffragata da validi argomenti . Invece, il Lanzoni troverebbe più fondata tale supposizione a proposito di Massimo, Fabio e Basso, martiri di Forum Novum o Vescovio di Torri, pure ricordati nel Martirologio Romano l'11 maggio. Si ignora completamente il luogo della loro sepoltura. Secondo gli Acta S. Anthimi il dies natalis di s. Massimo cadeva il 19 o 20 ottobre. Ora proprio il 19 o 20 ottobre un s. Massimo martire era venerato nell'antica Forconio, la cui sede vescovile nel 1256 fu trasferita a L'Aquila, il 27 ottobre a Penne nell'Abruzzo, l'11 a Teramo e il 30 a Cuma nella Campania e a Comsa nel Sannio. Non è impossibile che a Forum Novum si venerassero soltanto delle reliquie di s. Massimo. Due famosi martiri africani si chiamavano appunto Basso e Fabio, come i compagni di s. Massimo. Ora si sa che molte chiese d'Italia, specialmente quelle del centro-meridione, amavano arricchirsi delle reliquie dei martiri africani. L'11 maggio il Martirologio Romano commemora anche i martiri osimani Sisinnio, Diocleziano e Fiorenzo, due dei quali, Diocleziano e Fiorenzo, compaiono nel Martirologio Geronimiano il 16 maggio. Non si sa se il nome di Sisinnio manchi per errore dei copisti o sia presente negli Acta S. Anthimi per influsso di quelli di s. Marcello papa. Comunque le reliquie di tutti e tre, conservate nell'antico monastero di S. Fiorenzo, nel 1437 furono trasportate nella cattedrale di Osimo. Di Faltonio Piniano non sappiamo niente di più di quel che dicono gli Acta S. Anthimi. Lucina, sua sposa, è la ricca matrona, il cui nome ricorre in molti Atti di martiri, da quelli dei ss. Processo e Martiniano a quelli di s. Marcello papa, ed è ricordata nel Martirologio Romano il 30 giugno.
Tratto
da
http://www.enrosadira.it/santi/a/antimo.htm
Le
notizie sulla vita e sul martirio di S.Antimo sono contenute negli Acta
S.Anthimi. Cheremone, consigliere in Asia del proconsole Piniano muore
tragicamente invaso dai demoni, dopo aver sterminato i cristiani. Il timore di
subire la stessa sorte invade Piniano, che si ammala gravemente. Faltonio
Piniano, sposo di Anicia Lucina pronipote dell'imperatore Gallieno, fu inviato
dagli imperatori Diocleziano e Massimiano come proconsole nell'Asia. Lucina
chiese ad Antimo (che si trovava in carcere con Sisinnio, Dioclezio, Fiorenzo,
Massimo, Basso e Fabio), di curare il marito. Antimo, previa catechesi, convinse
il proconsole Piniano a convertirsi al cristianesimo. La preghiera dei
cristiani ottenne la guarigione di Piniano, che chiese il battesimo. Piniano
convertitosi liberò i cristiani prigionieri in Asia e li nascose nelle
proprietà che aveva nella Sabina e nel Piceno. Nei pressi della città di Osimo
(e quindi nel Piceno) trovarono il martirio i Santi Sisinnio, Dioclezio e
Fiorenzo. Antimo era nascosto in Sabina, in una villa di Piniano lungo la via
Salaria al XXII miglio. Un sacerdote del dio Silvano, invaso dal demonio,
uccise con la spada numerose persone convenute per sacrificare alla divinità
pagana. La folla chiese l'intervento di Antimo; questi scacciò via il demonio e
fatto tornare in se il sacerdote del dio Silvano ne ottenne la conversione.
L'esempio del sacerdote fu seguito da molte persone. La reazione dei convertiti
fu quella di abbattere gli alberi del bosco sacro a Silvano e di distruggerne
gli altari. La popolazione pagana si rivolse al governatore perché Antimo venga
imprigionato e offra sacrifici al dio Silvano. Antimo rifiutò, venne quindi
gettato nel Tevere con un sasso legato al collo. Attraverso un intervento
soprannaturale, l'azione di un angelo, Antimo venne tratto in salvo. I pagani
che lo rividero vivo, intento a pregare e a benedire, presi da stupore e da
timore si convertirono. Una nuova presenza del governatore Prisco nella zona
offrì, a chi era rimasto pagano, la possibilità di una seconda denuncia. Antimo
fu nuovamente imprigionato e dopo tre giorni di patimenti venne decapitato. La
sepoltura di Antimo divenne meta di pellegrinaggi perché vi si concedevano
grazie. Antimo fu sepolto nei pressi di Cures, nell'odierna località di
Montemaggiore (frazione di Montelibretti). Sul luogo di sepoltura di Antimo è
esistita per molti secoli una chiesa. Ancora nel 1584 si presentava ampia,
nobile, solenne, ma abbandonata, senza porta e con una casa a fianco del tutto
rovinosa. La chiesa diruta ha continuato a sussistere per tutto il 1800 anche
se ormai sfondata da tutte le parti e abbandonata al suo destino. Nel 1904 fu
dato ordine di spianare completamente le rovine della chiesa, di interrare
l'accesso alla catacomba e di coltivare il campo in maniera che non rimanesse
nessun segno della chiesa e del cimitero di Sant'Antimo. Il corpo di Sant'Antimo
al tempo di Carlo Magno fu traslato in Toscana, vicino a Chiusi. Fu papa
Adriano I che concesse a Carlo Magno la licenza di trasferire il corpo di
Sant'Antimo in località "Castelnuovo dell'Abbate" (Montalcino) dove
si stava edificando una magnifica abbazia ancora oggi esistente. Il
martirologio romano così dice per S.Antimo: Romae Via Salaria natalis Beati
Anthimi presbyteri, qui post Virtutum et praedicationis insignia in
persecutione Diocletiani in Tyberim precipitatus, et ab angelo ex inde ereptus,
oratorio proprio restitutus est, deinde capite punitus victor migravit ad
Coelos". I Santi Massimo, Basso e Fabio invece subirono il martirio a
Forum Novum (l'odierna Vescovio). Anche Faltonio Piniano e Anicia Lucina sono
Santi, per la precisione Santi confessori.
[
Testo di Andrea Del Vescovo ]
Sul
martirio di san Antimo prete avvenuto nel 303 si ha la seguente narrazione: era
stato incendiato il boschetto sacro a Silvano. Il Proconsole fece arrestare
Antimo e in segno di riparazione voleva spingerlo a sacrificare agli dei. Al
suo rifiuto inizarono le percosse e i supplizi. Nonostante ciò Antimo
resistette e quindi per ordine dello stesso proconsole fu gettato nel Tevere
con una pietra legata al collo. Un angelo, miracolosamente, lo liberò e lo
sciolse dal sasso, facendolo uscire dalle acque del fiume sano e salvo. Antimo
ritornò allora alla sua celletta, dove era solito ritirarsi a pregare. Molti
soldati, che assistettero al miracolo, si convertirono al cristianesimo. Antimo
fu allora nuovamente accusato e nuovamente trascinato davanti al proconsole e
fu crudelmente e lungamente torturato, ma ancora una volta non riuscirono ad
indurlo a sacrificare agli dei, fu perciò decapitato. Alcuni uomini pii, che
erano stati convertiti dal santo, presero il suo corpo e lo seppellirono presso
la via Salaria, nel luogo dove Antimo era solito raccogliersi a pregare. Sul
luogo sorse in seguito una basilica, dove, per le preghiere e i meriti del
martire, Dio concesse moltissime grazie ai devoti frequentatori.
Consultare anche
ed anche
Santo Nepoziano
nato ad Aquileia e presbitero ad Altino (verso il 396)
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/96824
Nepoziano
nacque nella seconda metà del secolo quarto, circa l’anno 360 nella città di Aquileia.
Essendogli morto il padre mentre era ancora fanciullo, S. Eliodoro, suo zio per
parte di madre, che si trovava in Oriente, in compagnia di S.Girolamo, tornò in
patria, per assistere sua sorella rimasta vedova e per prendersi cura del
giovanetto Nepoziano, il quale corrispose in modo splendido alle pie premure e
sollecitudini dello zio, facendo forti e consolanti progressi tanto nello
studio come nella pietà.
Giunto ad un’età adeguata, fu messo nella corte dell’imperatore, dove però pure in mezzo alle delizie ed al lusso, egli conservò la sua purezza e lo spirito di pietà e di mortificazione. Per preservarsi dalle seduzioni della vita mondana di corte, digiunava spesso, portava sotto le vesti preziose e sotto i candidi lini il cilicio e nutriva la sua anima con la preghiera, con la lettura e lo studio della Sacra Scrittura, esercitava anche le opere della misericordia, soccorrendo e giovando a tutti nell’ambito delle sue possibilità.
Alla fine, annoiato dal tumulto della corte e chiamato dal Signore ad una vita sempre più perfetta, fece ritorno presso lo zio Eliodoro, il quale nel frattempo era stato sollevato alla cattedra vescovile di Atino, città della Marca Trevigiana che venne poi distrutta dagli Unni. Libero di sé, incominciò Nepoziano a distribuire tutti i suoi beni ai poveri ed intraprese una vita solitaria, mortificata e penitente. Il suo desiderio era di ritirarsi in qualche monastero dell’Egitto o della Siria, o almeno in qualche solitudine delle vicine isole della Dalmazia, ma ne fu trattenuto dall’amore e dal rispetto verso suo zio, che egli venerava come consacrato ed amava quel padre, il quale del resto era per lui un modello delle più grandi virtù. Non passò molto tempo che Eliodoro, scorgendo nel nipote tutte le qualità che devono costiutire l’anima di un sacerdote, lo aggregò al suo clero di Altino e, dopo averlo fatto passare per tutti i passaggi degli ordini minori, nonostante la sua riluttanza, dovuta alla profonda sua umiltà, lo ordinò sacerdote. Si vide allora Nepoziano, tanto fedele discepolo di suo zio Eliodoro, quasi non meno di S.Timoteo verso S.Paolo. Considerando il Sacerdozio, non tanto come un onore, ma come un onere, si adoperò nell’aiutare i poveri, a visitare gli infermi, ad accogliere gli ospiti, a guadagnare il cuore di tutti colla umiltà e mansuetudine, rallegrandosi, come vuol l’Apostolo, con chi era lieto e piangendo con chi era mesto e facendo di tutto per guadagnare tutti a Cristo.
S.Nepoziano faceva di giorno in giorno tali progressi nella virtù e nella santità che tutti ne erano meravigliati ed edificati: i fedeli di Altino si auguravano di averlo per loro pastore, quando il Signore avesse chiamato al Cielo il già vecchio e Santo Vescovo Eliodoro suo zio.
Ma il Signore volle anticipare a Nepoziano la ricompensa eterna a cui egli aspirava e chiamarlo alla celeste patria in età ancora giovanile. Infatti, trascorsi appena pochi anni dalla sua consacrazione sacerdotale, fu sorpreso da una gravissima malattia che lo portò alla tomba.
“Ardendo, scrive S.Girolamo, per la febbre e consumandosi dall’eccessivo calore l’umido radicale con languido respiro l’infermo consolava l’addolorato suo zio Eliodoro e manteneva la faccia allegra e, piangendo tutti quelli che gli stavano attorno, egli solo sorrideva: gittò le coperte, stese le braccia, vide ciò che agli occhi altrui era celato e alzandosi come per incontrare chi veniva a visitarlo, facendo conoscere ch’egli non moriva, ma partiva e che accoglieva nuovi amici non lasciando i primieri”.
Nepoziano morì il giorno 11 maggio 387 compianto da tutta la città e da tutta l’Italia.
Giunto ad un’età adeguata, fu messo nella corte dell’imperatore, dove però pure in mezzo alle delizie ed al lusso, egli conservò la sua purezza e lo spirito di pietà e di mortificazione. Per preservarsi dalle seduzioni della vita mondana di corte, digiunava spesso, portava sotto le vesti preziose e sotto i candidi lini il cilicio e nutriva la sua anima con la preghiera, con la lettura e lo studio della Sacra Scrittura, esercitava anche le opere della misericordia, soccorrendo e giovando a tutti nell’ambito delle sue possibilità.
Alla fine, annoiato dal tumulto della corte e chiamato dal Signore ad una vita sempre più perfetta, fece ritorno presso lo zio Eliodoro, il quale nel frattempo era stato sollevato alla cattedra vescovile di Atino, città della Marca Trevigiana che venne poi distrutta dagli Unni. Libero di sé, incominciò Nepoziano a distribuire tutti i suoi beni ai poveri ed intraprese una vita solitaria, mortificata e penitente. Il suo desiderio era di ritirarsi in qualche monastero dell’Egitto o della Siria, o almeno in qualche solitudine delle vicine isole della Dalmazia, ma ne fu trattenuto dall’amore e dal rispetto verso suo zio, che egli venerava come consacrato ed amava quel padre, il quale del resto era per lui un modello delle più grandi virtù. Non passò molto tempo che Eliodoro, scorgendo nel nipote tutte le qualità che devono costiutire l’anima di un sacerdote, lo aggregò al suo clero di Altino e, dopo averlo fatto passare per tutti i passaggi degli ordini minori, nonostante la sua riluttanza, dovuta alla profonda sua umiltà, lo ordinò sacerdote. Si vide allora Nepoziano, tanto fedele discepolo di suo zio Eliodoro, quasi non meno di S.Timoteo verso S.Paolo. Considerando il Sacerdozio, non tanto come un onore, ma come un onere, si adoperò nell’aiutare i poveri, a visitare gli infermi, ad accogliere gli ospiti, a guadagnare il cuore di tutti colla umiltà e mansuetudine, rallegrandosi, come vuol l’Apostolo, con chi era lieto e piangendo con chi era mesto e facendo di tutto per guadagnare tutti a Cristo.
S.Nepoziano faceva di giorno in giorno tali progressi nella virtù e nella santità che tutti ne erano meravigliati ed edificati: i fedeli di Altino si auguravano di averlo per loro pastore, quando il Signore avesse chiamato al Cielo il già vecchio e Santo Vescovo Eliodoro suo zio.
Ma il Signore volle anticipare a Nepoziano la ricompensa eterna a cui egli aspirava e chiamarlo alla celeste patria in età ancora giovanile. Infatti, trascorsi appena pochi anni dalla sua consacrazione sacerdotale, fu sorpreso da una gravissima malattia che lo portò alla tomba.
“Ardendo, scrive S.Girolamo, per la febbre e consumandosi dall’eccessivo calore l’umido radicale con languido respiro l’infermo consolava l’addolorato suo zio Eliodoro e manteneva la faccia allegra e, piangendo tutti quelli che gli stavano attorno, egli solo sorrideva: gittò le coperte, stese le braccia, vide ciò che agli occhi altrui era celato e alzandosi come per incontrare chi veniva a visitarlo, facendo conoscere ch’egli non moriva, ma partiva e che accoglieva nuovi amici non lasciando i primieri”.
Nepoziano morì il giorno 11 maggio 387 compianto da tutta la città e da tutta l’Italia.
Leggere
La Lettera di
San Girolamo a Nepoziano sul vivere dei preti
https://books.google.it/books?id=nDlRAAAAcAAJ&pg=PA4&lpg=PA4&dq=santo+nepoziano&source=bl&ots=tvU1rubWQx&sig=Ein4g9BrKgDaHOp6PQWvIB3E0gQ&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiOpPy_4PHaAhVPSsAKHSC-Aeo4ChDoAQgnMAA#v=onepage&q=santo%20nepoziano&f=false
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