Sante
GIUSTA, GIUSTINA ed ENEDINA, venerate in Sardegna.
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/53120
Sconosciute alle antiche fonti
agiografiche, furono introdotte dal Baronio nel Martirologio Romano al 14
maggio sull'autorità di scrittori sardi che riferivano soltanto tradizioni
locali. Secondo queste tradizioni le tre sante erano sepolte e venerate nella
cattedrale della città episcopale di Santa Giusta, già esistente nel secolo
XII, ma unita ad Oristano all'inizio del secolo XVI, e che avrebbe appunto
preso il nome dalla prima delle tre martiri. Indipendentemente dal Baronio,
anche il Ferrari le inserì nelle sue opere, affermando che di esse non esisteva
alcuna passio; invece nel 1616 un certo Martis, canonico della cattedrale di
Oristano, pubblicò una biografia delle martiri dicendo di averla scoperta in un
antico codice. Secondo questo scritto evidentemente fabbricato dal Martis,
Giusta sarebbe nata ad Eaden da madre pagana, di nome Cleodonia; educata nella
religione cristiana dal vescovo Ottazio, dovette sopportare la persecuzione
della madre che voleva farla apostatare, finché non fu messa a morte insieme
con Giustina ed Enedina, al tempo dell’imperatore Adriano.
Il loro culto è molto diffuso in Sardegna e alla sola Giusta sono dedicate ben undici chiese. Poiché di queste martiri non si hanno documenti locali antichi e degni di fede e gli stessi scrittori sardi le attribuiscono non solo ad Oristano, ma anche a Torres ed a Cagliari (qualcuno perfino pretende sapere che sarebbero morte sotto Diocleziano e sepolte nella cripta di San Restituta di quest'ultima città) sembra probabile l’opinione del Lanzoni, accettata pure dal Delehaye, secondo la quale si tratterebbe di due o tre martiri africane, venerate in Sardegna e con l’andar del tempo credute del posto. Giusta infatti è commemorata nel Martirologio Geronimiano il 15 luglio ed in altri giorni come martire di Cartagine ed è venerata in altre città della Corsica e dell’Italia meridionale; Giustina sarebbe uno sdoppiamento di Giusta, mentre Enedina sarebbe la martire di Abitina di cui parla san Cipriano ed il cui nome sarebbe stato corrotto dall’originale Heredina o Herectina.
Il loro culto è molto diffuso in Sardegna e alla sola Giusta sono dedicate ben undici chiese. Poiché di queste martiri non si hanno documenti locali antichi e degni di fede e gli stessi scrittori sardi le attribuiscono non solo ad Oristano, ma anche a Torres ed a Cagliari (qualcuno perfino pretende sapere che sarebbero morte sotto Diocleziano e sepolte nella cripta di San Restituta di quest'ultima città) sembra probabile l’opinione del Lanzoni, accettata pure dal Delehaye, secondo la quale si tratterebbe di due o tre martiri africane, venerate in Sardegna e con l’andar del tempo credute del posto. Giusta infatti è commemorata nel Martirologio Geronimiano il 15 luglio ed in altri giorni come martire di Cartagine ed è venerata in altre città della Corsica e dell’Italia meridionale; Giustina sarebbe uno sdoppiamento di Giusta, mentre Enedina sarebbe la martire di Abitina di cui parla san Cipriano ed il cui nome sarebbe stato corrotto dall’originale Heredina o Herectina.
Tratto da
https://www.marecalmo.org/2017/05/12/il-culto-di-santa-giusta-santa-giustina-e-santa-enedina-in-sardegna/
Sono passati poco più di tredici anni dal ritorno delle Sacre Reliquie delle Sante Giusta, Giustina e Enedina, nel paese di Santa Giusta.
Santa Giusta: origine del culto
Le vicende di Santa Giusta e delle martiri Giustina e Enedina sono avvolte, in parte, nella leggenda. La prima opera che ci descrive le vicissitudini delle tre martiri della città di Santa Giusta è quella di Antioco Martis scritta in lingua spagnola nel 1616. Lo stesso canonico, precisa che si tratta della traduzione di un precedente testo latino, probabilmente una passio, oggi scomparso.
Secondo
Martis, Giusta nacque a Eaden (futura Santa Giusta), città posta sulla
sponda orientale dello stagno di Santa Giusta. Era figlia di una ricca famiglia
aristocratica e si convertí al Cristianesimo all’età di 12 anni, istruita
dal vescovo della città, Octaten. La madre Cleodonia, fervente
pagana, la fece rinchiudere nella prigione sottostante la loro casa e la
sottomise a tremende torture. Durante la sua prigionia però accaddero diversi
miracoli che alla fine convinsero la madre a liberarla. Poco dopo Cleodonia
morì. Venute a conoscenza della conversione di Giusta, altre due nobildonne
della stessa città, Giustina ed Enedina, divennero cristiane.
Ma le
vicissitudini di Giusta non erano ancora terminate. Un nobile di Eaden, Claudius,
volle sposarla e cercò di convincerla ricorrendo ad un mago, Cebrianus.
La giovane addolorata chiese aiuto a Dio e la città fu scossa da un violento
terremoto. Tra le acque che sommersero il centro abitato morirono
non solo Claudius e Cebrianus, ma anche tutti gli idolatri. Finalmente Giusta
fu chiamata in cielo mentre pregava. Il suo corpo fu sepolto il 14 maggio
sotto la sua casa, nel punto dove vi era il carcere in cui era
stata rinchiusa dalla madre. La descrizione del luogo dove sorgeva la casa, un
poggio nella parte orientale della città, permette di riconoscere l’attuale
posizione della Basilica romanica di Santa Giusta. Le compagne della
ragazza, Giustina e Enedina, morirono rispettivamente il 20 luglio
e il 26 di settembre e furono interrate vicino a Giusta.
É
interessante sottolineare come alcuni degli eventi narrati da Martis
li ritroviamo nella leggenda di Cipriano, vescovo di Antiochia,
la cui redazione è molto antica (prima del 379 d.C.) completata con
altre due parti nel corso del V secolo d.C. Infatti anche in questi
testi si parla di una fanciulla, Giusta, convertitasi al Cristianesimo
che, dopo diverse vicissitudini, divenne diaconissa con il nome di Giustina,
e fu messa a capo di un monastero.
È
soprattutto nel XVI secolo, però, che si moltiplicano i riferimenti al culto
delle tre sante, anche se molto discordanti sul luogo d’origine delle
martiri, il periodo in cui vissero e dove furono martirizzate. Alcune fonti
parlano di Turris Libisonis (Porto Torres), altre di Carales
(Cagliari); per alcuni furono martirizzate sotto l’imperatore Diocleziano
(IV d.C.), per altri addirittura all’epoca di Nerone (I d.C.).
Infine alcuni studiosi, tra cui recentemente Pier Giorgio Spanu, ipotizzano un’importazione
del culto dall’Africa in età vandalica.
Comunque sia, il culto di Santa Giusta nell’omonimo centro è attesta già prima del 1119, anno in cui il vescovo di Santa Giusta, Augustinus, presenziò alla consacrazione della chiesa di San Saturno a Cagliari. Invece, la prima menzione a Santa Enedina è del 1288 e proviene dalla pergamena di consacrazione dell’Altare Maggiore della Basilica.
Il culto di Santa Giusta in Sardegna
Alla giovane martire cristiana sono dedicate diverse chiese in tutta la Sardegna. Le principali sono distribuite in sei comuni, compreso quello di Santa Giusta. Si tratta delle comunità di Loiri Porto San Paolo, Calangianus, Chiaramonti, Gesico e Uta.Nei paesi di Loiri Porto San Paolo (OT) e Chiaramonti (SS) vi sono delle chiese campestri. In particolare a Chiaramonti ve ne sono due, una è Santa Giusta di Magola o di Orria Pitzinna e l’altra Santa Giusta di Runaghe Longu, di cui rimangono pochi resti. Nella parrocchia è conservata una reliquia formata da un pezzo d’osso lungo circa 15 centimetri, dichiarato “insigne” dall’arcivescovo di Sassari e restaurato nel 2008.
Negli altri centri, invece, troviamo
delle chiese parrocchiali dedicate a Santa Giusta. A Calangianus (OT) l’edificio religioso è
citato per la prima volta in un documento
storico del 1596, a proposito della pala d’altare
realizzata dal pittore Andrea Lusso
oggi conservata nella chiesa di Santa Croce.
A Gesico (CA) la chiesa fu
costruita tra il XV e il XVI secolo,
ma il portale della facciata è del XVII secolo.
La lunga costruzione dell’edificio è evidente nella combinazione di stili
diversi: dal pisano al rinascimentale, passando per il gotico-aragonese. Infine, la chiesa in stile gotico-aragonese di Uta (CA)
è datata agli inizi del XV secolo.
Infatti, sull’arco del presbiterio vi è lo stemma
della nobile famiglia spagnola dei Carroz, mentre un’altra data è
incisa sulla cappella di sinistra.
Santo Ampelio
Eremita in Liguria nel VI secolo
Tratto
dal quotidiano Avvenire
Ampelio è il protettore dei
fabbri-ferrai e della città di Bordighera, in Liguria. Visse probabilmente al
tempo degli imperatori Teodosio I (329-395) e di Onorio (395-423), prima nella
Tebaide e poi in Liguria. Ampelio era un fabbro che si ritirò a condurre vita
eremitica nella Tebaide " antica regione dell'Alto Egitto con capitale
Tebe "; qui il demonio prese a tentarlo sotto forma di una donna impudica.
Ma l'anacoreta, che continuava il suo lavoro, scacciò il demonio brandendo un
ferro rovente; da allora ottenne il dono di essere insensibile alle scottature.
Come sia giunto in Liguria è sconosciuto; stabilitosi nelle vicinanze di
Bordighera continuò nella sua vita di preghiera, operando numerosi miracoli;
morì il 5 ottobre attorno al 410. Le sue reliquie nel 1140 furono portate al
convento degli Olivetani di Sanremo. Nel 1258 furono traslate a Genova nel
convento di Santo Stefano
Tratto da
È il santo protettore dei fabbri-ferrai
e della città di Bordighera (Imperia) e visse probabilmente al tempo degli
imperatori Teodosio I (329-395) e di Onorio (395-423), prima nella Tebaide e
poi in Liguria.
S. Ampelio era un fabbro-ferraio che si ritirò a condurre vita eremitica nella Tebaide (antica regione dell’Alto Egitto con capitale Tebe; nei secoli II e III d.C. fu celebre centro di anacoretismo); qui il demonio prese a tentarlo sotto forma di una donna lasciva e impudica.
Ma il santo anacoreta, che continuava ad operare nel suo mestiere, scacciò il demonio brandendo un ferro rovente; ottenendo da Dio, per questo suo pronto reagire alla tentazione, da allora in poi, il dono di essere insensibile alle scottature.
Come poi il santo eremita, dalla Tebaide sia giunto in Liguria, ci è del tutto sconosciuto; stabilitosi nei pressi di Bordighera continuò nella sua vita penitente e di preghiera, operando numerosi miracoli; morì il 5 ottobre di un anno imprecisato, intorno al 410.
Le sue reliquie nel 1140 furono traslate, dalla chiesa in cui erano state riposte in un primo tempo, al convento degli Olivetani di Sanremo; per questo motivo i religiosi Olivetani, fondati dal beato Bernardo Tolomei, lo considerano un appartenente al loro Ordine; un monaco ne compose anche una ‘Vita’, inserita poi negli “Acta SS.”.
Nel 1258 per disposizione dell’arcivescovo Gualtieri, le reliquie furono traslate a Genova nel convento di S. Stefano.
S. Ampelio era un fabbro-ferraio che si ritirò a condurre vita eremitica nella Tebaide (antica regione dell’Alto Egitto con capitale Tebe; nei secoli II e III d.C. fu celebre centro di anacoretismo); qui il demonio prese a tentarlo sotto forma di una donna lasciva e impudica.
Ma il santo anacoreta, che continuava ad operare nel suo mestiere, scacciò il demonio brandendo un ferro rovente; ottenendo da Dio, per questo suo pronto reagire alla tentazione, da allora in poi, il dono di essere insensibile alle scottature.
Come poi il santo eremita, dalla Tebaide sia giunto in Liguria, ci è del tutto sconosciuto; stabilitosi nei pressi di Bordighera continuò nella sua vita penitente e di preghiera, operando numerosi miracoli; morì il 5 ottobre di un anno imprecisato, intorno al 410.
Le sue reliquie nel 1140 furono traslate, dalla chiesa in cui erano state riposte in un primo tempo, al convento degli Olivetani di Sanremo; per questo motivo i religiosi Olivetani, fondati dal beato Bernardo Tolomei, lo considerano un appartenente al loro Ordine; un monaco ne compose anche una ‘Vita’, inserita poi negli “Acta SS.”.
Nel 1258 per disposizione dell’arcivescovo Gualtieri, le reliquie furono traslate a Genova nel convento di S. Stefano.
Tratto
da
http://www.bordighera.net/bordighera-santampelio-eremita-e-anacoreta-n57493
Ampelio, eremita e anacoreta -
"Non foste voi che mi cercaste ma fui io che vi scelsi quali figli".
Nel '400 circa, nella Tebaide, gli anacoreti erano eremiti che non vivevano sempre e soltanto in solitudine.
Alcuni, vestiti di una tunica semplice e cosparsi di cenere, si dedicavano alla preghiera e alla meditazione, altri coperti da una rozza tunica con mantello e cappuccio o una pelle di capra detta "melote", per ripararsi dal freddo della notte, vagavano, accompagnati da un bastone dal quale non si separavano mai, cercando riparo in grotte o spelonche.
Ampelio era uno di questi, viveva pregando, studiando i testi sacri antichi, lavorando e procurandosi il proprio sostentamento.
Non erano questuanti, ma accettavano offerte ed erano amati e rispettati anche dai pagani.
Al termine di ogni luna, al suono di un corno, si ritrovavano per trascorrere una giornata insieme, consumando un pasto frugale, danzando e pregando per ricordare il passaggio del mar Rosso.
Storici del tempo affermano che nella ricorrenza dei riti della Santa Pasqua si ritrovano in 50mila.
La fama di Ampelio andava crescendo ed egli decise di ritirarsi in un monastero sul monte Colzin, dove la tradizione riferiva vi avesse fatto sosta Gesù Bambino profugo.
Qui Ampelio continuò il suo lavoro di fabbro insieme ad altri monaci tessitori e intrecciatori di foglie di palma.
Tutti i manufatti prodotti venivano messi a disposizione del monastero ed i superiori ne facevano dono alle persone più bisognose che numerose andavano da loro per ricevere qualche aiuto.
Il Palladio biografo e storico del tempo, volendo erudirsi sulla santità, accompagnato da alcuni amici si recò nella Tebaide. Fu presentato ad Ampelio che lo ricevette con grande amorevolezza e lo intrattenne, documentandolo sulle grandi opere di penitenza, pietà ed azioni straordinarie che compiva il monaco Giovanni.
Mai parlò delle grandi meraviglie da Lui compiute, delle quali tutta la Tebaide era a conoscenza.
Avuto il permesso dai superiori di lasciare il Monastero, come molti altri anacoreti, Ampelio giunse sulle coste liguri e sul nostro capo, che tutt'ora porta il suo nome, vivendo in "odore di santità".
Continuò il lavoro di fabbro donando ai poveri i suoi manufatti e ricevendo le visite di quanti avevano bisogno di conforto o guarigione.
Fece guarigioni sia nello spirito che nel corpo. Giungevano in quella grotta da SanRemo, da Ventimiglia, luoghi già al tempo relativamente popolati, e da ogni altro luogo dove vi fosse un insediamento umano o da dove qualche anima avesse avuto bisogno di un conforto.
Dopo la sua morte i monaci Benedettini iniziarono ad edificare sopra la spelonca dove era vissuto la prima chiesa, quella che tutt'ora identifichiamo come cripta e nella quale, si narra, che ancora a fine '800 fosse addirittura conservata l'incudine sulla quale il Santo forgiava il metallo.
Le vicissitudini della storia sono state molte complesse e dolorose: le sue reliquie sono state lontane dalla nostra città per lungo tempo, ma né le popolazioni limitrofe prima, né i bordigotti poi, da quando Bordighera è stata fondata nel 1470, hanno scordato il loro Santo.
La devozione è sempre stata viva, e la speranza e la tenacia perché le Sante Reliquie potessero tornare al loro luogo d'origine molto forti.
Tutto avvenne, con grande solennità, il 16 agosto 1947.
Il 14 di maggio di ogni anno, in onore di Sant'Ampelio viene celebrata la festa patronale a dimostrazione che ancora oggi Sant'Ampelio è nel cuore dei bordigotti...con la speranza che i bordigotti siano ancora nel cuore di Sant'Ampelio
Quest'anno la ricorrenza sarà ancora più solenne in quanto la chiesa a Lui dedicata è una Chiesa Giubilare.
Nel '400 circa, nella Tebaide, gli anacoreti erano eremiti che non vivevano sempre e soltanto in solitudine.
Alcuni, vestiti di una tunica semplice e cosparsi di cenere, si dedicavano alla preghiera e alla meditazione, altri coperti da una rozza tunica con mantello e cappuccio o una pelle di capra detta "melote", per ripararsi dal freddo della notte, vagavano, accompagnati da un bastone dal quale non si separavano mai, cercando riparo in grotte o spelonche.
Ampelio era uno di questi, viveva pregando, studiando i testi sacri antichi, lavorando e procurandosi il proprio sostentamento.
Non erano questuanti, ma accettavano offerte ed erano amati e rispettati anche dai pagani.
Al termine di ogni luna, al suono di un corno, si ritrovavano per trascorrere una giornata insieme, consumando un pasto frugale, danzando e pregando per ricordare il passaggio del mar Rosso.
Storici del tempo affermano che nella ricorrenza dei riti della Santa Pasqua si ritrovano in 50mila.
La fama di Ampelio andava crescendo ed egli decise di ritirarsi in un monastero sul monte Colzin, dove la tradizione riferiva vi avesse fatto sosta Gesù Bambino profugo.
Qui Ampelio continuò il suo lavoro di fabbro insieme ad altri monaci tessitori e intrecciatori di foglie di palma.
Tutti i manufatti prodotti venivano messi a disposizione del monastero ed i superiori ne facevano dono alle persone più bisognose che numerose andavano da loro per ricevere qualche aiuto.
Il Palladio biografo e storico del tempo, volendo erudirsi sulla santità, accompagnato da alcuni amici si recò nella Tebaide. Fu presentato ad Ampelio che lo ricevette con grande amorevolezza e lo intrattenne, documentandolo sulle grandi opere di penitenza, pietà ed azioni straordinarie che compiva il monaco Giovanni.
Mai parlò delle grandi meraviglie da Lui compiute, delle quali tutta la Tebaide era a conoscenza.
Avuto il permesso dai superiori di lasciare il Monastero, come molti altri anacoreti, Ampelio giunse sulle coste liguri e sul nostro capo, che tutt'ora porta il suo nome, vivendo in "odore di santità".
Continuò il lavoro di fabbro donando ai poveri i suoi manufatti e ricevendo le visite di quanti avevano bisogno di conforto o guarigione.
Fece guarigioni sia nello spirito che nel corpo. Giungevano in quella grotta da SanRemo, da Ventimiglia, luoghi già al tempo relativamente popolati, e da ogni altro luogo dove vi fosse un insediamento umano o da dove qualche anima avesse avuto bisogno di un conforto.
Dopo la sua morte i monaci Benedettini iniziarono ad edificare sopra la spelonca dove era vissuto la prima chiesa, quella che tutt'ora identifichiamo come cripta e nella quale, si narra, che ancora a fine '800 fosse addirittura conservata l'incudine sulla quale il Santo forgiava il metallo.
Le vicissitudini della storia sono state molte complesse e dolorose: le sue reliquie sono state lontane dalla nostra città per lungo tempo, ma né le popolazioni limitrofe prima, né i bordigotti poi, da quando Bordighera è stata fondata nel 1470, hanno scordato il loro Santo.
La devozione è sempre stata viva, e la speranza e la tenacia perché le Sante Reliquie potessero tornare al loro luogo d'origine molto forti.
Tutto avvenne, con grande solennità, il 16 agosto 1947.
Il 14 di maggio di ogni anno, in onore di Sant'Ampelio viene celebrata la festa patronale a dimostrazione che ancora oggi Sant'Ampelio è nel cuore dei bordigotti...con la speranza che i bordigotti siano ancora nel cuore di Sant'Ampelio
Quest'anno la ricorrenza sarà ancora più solenne in quanto la chiesa a Lui dedicata è una Chiesa Giubilare.
Santo
Bevignate di Perugia eremita verso il 500
Tratto
da http://turismo.comune.perugia.it/pagine/storia-san-bevignate-agiografia-e-iconografia
Le eccezionali dimensioni della chiesa
di San Bevignate (m 39,5×17,5×27), motivate "dall'intenzione di farne il
santuario memoriale dell'eremita Bevignate" (A. Cadei), introducono un
aspetto poco noto nella vita dell'ordine e nell'architettura di committenza
templare, rappresentato dalla promozione di culti particolari.
In realtà Bevignate - prescelto come ‘santo' eponimo della chiesa fin dal 1256 e soggetto, insieme a un non meglio identificato vescovo benedicente, di un affresco ben visibile sul lato destro della parete di fondo dell'abside - divenne tale solo agli inizi del Seicento, probabilmente anche in seguito all'iniziativa del vescovo Comitoli (1548-1624), che ne rilanciò il culto e che nel 1609 dispose la traslazione delle sue reliquie nella cattedrale di San Lorenzo.
Le notizie tramandate, che lo vogliono eremita e abitatore della zona su cui alla metà del Duecento sorse la chiesa a lui intitolata, risalgono per lo più all'erudito folignate Ludovico Jacobilli (1598-1664), compilatore di una raccolta di agiografie di santi umbri, mentre sul versante documentario più vaghi sono i riscontri. Dalle Riformanze perugine risulta infatti che il 22 aprile 1453 il Consiglio dei priori e dei camerari delle Arti del Comune, riunitosi alla presenza del governatore pontificio e del podestà, era chiamato a pronunciarsi in merito alla festa di ‘san' Bevignate. In particolare, nel preambolo della delibera si sottolineava non solo la necessità di «onorare con ogni studio, lavoro e diligenza quei santi che salvaguardano la pace e la felicità della città», ma si ribadiva anche con forza che tra costoro «uno straordinario è san Bevignate - la cui chiesa è nei sobborghi di Porta Sole - il quale, come si vede dalla sua leggenda, nacque e visse nel contado e terminò la sua vita piamente nella medesima città. E, benché non sia iscritto nel catalogo dei santi, tuttavia per la santità della vita e la frequenza dei miracoli operati dalla divina bontà per i suoi meriti, molti ed evidentissimi, in vita e in morte, non c'è dubbio ch'egli sia tra i santi nella gloria del Paradiso».
La vicenda del bisecolare culto perugino di san Bevignate culminava dunque nel 1453 con quella che fu, a tutti gli effetti, una «canonizzazione laica» a furor di popolo, promossa dalle autorità cittadine per rimediare in qualche modo alla imbarazzante mancanza della proclamazione pontificia, necessaria per regolamentare in modo adeguato i festeggiamenti in onore del titolare della grande chiesa extraurbana. Canonizzazione che, a suo tempo era stata più volte sollecitata dallo stesso Comune e dai Templari, come risulta sempre dalle Riformanze. Degno di nota è il fatto che, nel fissare il grado di solennità con cui il 14 maggio i perugini avrebbero dovuto celebrare la festa di ‘san' Bevignate, i vertici politici e religiosi della città fanno prima di tutto il punto sulla tradizione agiografica e sulla consistenza storica del personaggio. E, pur consapevoli del fatto che fino a quel momento adscriptus non sit in cathalogo sanctorum, utilizzano come punti di forza non soltanto la Legenda in cui si tramandavano i fatti più importanti della sua vita, ma rievocano alcuni provvedimenti del Comune che mostravano una profonda affezione nei suoi confronti. Primo fra tutti, l'edificazione della chiesa a lui intitolata, sorta nel luogo in cui sarebbe vissuto in solitudine - in suo reclusorio, recita l'iscrizione, leggibile solo in parte, del cartiglio - utilizzando verosimilmente come riparo proprio quei resti di preesistenza romana in seguito incorporati, a mo' di fondamenta, del nuovo edificio.
Ecco allora che, pur nella oggettiva scarsità dei riferimenti, se si segue il suggerimento di Chiara Frugoni di "rimettere in un'altra prospettiva i dati forniti da alcuni documenti e dagli affreschi", si giunge a conclusioni estremamente interessanti, dettate in primo luogo dal fatto che all'interno di una chiesa di committenza templare il supposto eremita viene raffigurato vestito proprio come i milites professi appartenenti all'Ordine. La studiosa ipotizza infatti che Bevignate, "qualunque sia stato il suo sfondo di vita", una volta entrato in contatto con i milites Templi - immessi nel possesso di quell'area per volontà di papa Gregorio IX - sarebbe stato accolto nell'Ordine e parrebbe del tutto naturale che "i Templari, costruendo la loro chiesa, avrebbero voluto avere uno dei loro nel registro dei santi". Risulterebbe altrimenti di difficile spiegazione il fatto che la nuova chiesa dei Templari sia stata dedicata a uno sconosciuto eremita locale che, non ancora proclamato santo, veniva tuttavia rappresentato nella parete di fondo dell'abside vestito di bianco proprio come quei fratres ben visibili in controfacciata all'interno di una fortezza d'Outremer.
Come pure pare da ricondursi allo stesso disegno la creazione ab origine, proprio sotto l'abside, di un piccolo spazio destinato ad accogliere le spoglie di Bevignate e che, reso accessibile tramite un camminamento interno, avrebbe alimentato il culto di quello che si sperava potesse divenire a breve un santo templare. A fronte di tutto ciò, ben si spiegherebbero dunque la tenacia con cui i milites Templi hanno inseguito la canonizzazione di Bevignate e, soprattutto, l'attenzione del potente templare Bonvicino tanto per questa chiesa - detta, già prima della costruzione, ecclesia Sancti Benvegnati - quanto per il suo titolare, di cui egli richiede fin dal 1260 la consacrazione ufficiale, come risulta dalla legazione inviata nel giugno di quell'anno ad Anagni con l'auspicio che Alessandro IV aprisse in breve tempo un'inchiesta super vita et meritis beati Benvignatis.
A posteriori, sappiamo che il riconoscimento ufficiale del culto da parte della Congregazione dei Riti risale al 1605 e non è da escludere che "la tragica fine dei Templari, voluta da Filippo il Bello e troppo debolmente contrastata da Clemente V, potrebbe avere ben travolto anche il povero Bevignate" (C. Frugoni).
(Sonia Merli)
In realtà Bevignate - prescelto come ‘santo' eponimo della chiesa fin dal 1256 e soggetto, insieme a un non meglio identificato vescovo benedicente, di un affresco ben visibile sul lato destro della parete di fondo dell'abside - divenne tale solo agli inizi del Seicento, probabilmente anche in seguito all'iniziativa del vescovo Comitoli (1548-1624), che ne rilanciò il culto e che nel 1609 dispose la traslazione delle sue reliquie nella cattedrale di San Lorenzo.
Le notizie tramandate, che lo vogliono eremita e abitatore della zona su cui alla metà del Duecento sorse la chiesa a lui intitolata, risalgono per lo più all'erudito folignate Ludovico Jacobilli (1598-1664), compilatore di una raccolta di agiografie di santi umbri, mentre sul versante documentario più vaghi sono i riscontri. Dalle Riformanze perugine risulta infatti che il 22 aprile 1453 il Consiglio dei priori e dei camerari delle Arti del Comune, riunitosi alla presenza del governatore pontificio e del podestà, era chiamato a pronunciarsi in merito alla festa di ‘san' Bevignate. In particolare, nel preambolo della delibera si sottolineava non solo la necessità di «onorare con ogni studio, lavoro e diligenza quei santi che salvaguardano la pace e la felicità della città», ma si ribadiva anche con forza che tra costoro «uno straordinario è san Bevignate - la cui chiesa è nei sobborghi di Porta Sole - il quale, come si vede dalla sua leggenda, nacque e visse nel contado e terminò la sua vita piamente nella medesima città. E, benché non sia iscritto nel catalogo dei santi, tuttavia per la santità della vita e la frequenza dei miracoli operati dalla divina bontà per i suoi meriti, molti ed evidentissimi, in vita e in morte, non c'è dubbio ch'egli sia tra i santi nella gloria del Paradiso».
La vicenda del bisecolare culto perugino di san Bevignate culminava dunque nel 1453 con quella che fu, a tutti gli effetti, una «canonizzazione laica» a furor di popolo, promossa dalle autorità cittadine per rimediare in qualche modo alla imbarazzante mancanza della proclamazione pontificia, necessaria per regolamentare in modo adeguato i festeggiamenti in onore del titolare della grande chiesa extraurbana. Canonizzazione che, a suo tempo era stata più volte sollecitata dallo stesso Comune e dai Templari, come risulta sempre dalle Riformanze. Degno di nota è il fatto che, nel fissare il grado di solennità con cui il 14 maggio i perugini avrebbero dovuto celebrare la festa di ‘san' Bevignate, i vertici politici e religiosi della città fanno prima di tutto il punto sulla tradizione agiografica e sulla consistenza storica del personaggio. E, pur consapevoli del fatto che fino a quel momento adscriptus non sit in cathalogo sanctorum, utilizzano come punti di forza non soltanto la Legenda in cui si tramandavano i fatti più importanti della sua vita, ma rievocano alcuni provvedimenti del Comune che mostravano una profonda affezione nei suoi confronti. Primo fra tutti, l'edificazione della chiesa a lui intitolata, sorta nel luogo in cui sarebbe vissuto in solitudine - in suo reclusorio, recita l'iscrizione, leggibile solo in parte, del cartiglio - utilizzando verosimilmente come riparo proprio quei resti di preesistenza romana in seguito incorporati, a mo' di fondamenta, del nuovo edificio.
Ecco allora che, pur nella oggettiva scarsità dei riferimenti, se si segue il suggerimento di Chiara Frugoni di "rimettere in un'altra prospettiva i dati forniti da alcuni documenti e dagli affreschi", si giunge a conclusioni estremamente interessanti, dettate in primo luogo dal fatto che all'interno di una chiesa di committenza templare il supposto eremita viene raffigurato vestito proprio come i milites professi appartenenti all'Ordine. La studiosa ipotizza infatti che Bevignate, "qualunque sia stato il suo sfondo di vita", una volta entrato in contatto con i milites Templi - immessi nel possesso di quell'area per volontà di papa Gregorio IX - sarebbe stato accolto nell'Ordine e parrebbe del tutto naturale che "i Templari, costruendo la loro chiesa, avrebbero voluto avere uno dei loro nel registro dei santi". Risulterebbe altrimenti di difficile spiegazione il fatto che la nuova chiesa dei Templari sia stata dedicata a uno sconosciuto eremita locale che, non ancora proclamato santo, veniva tuttavia rappresentato nella parete di fondo dell'abside vestito di bianco proprio come quei fratres ben visibili in controfacciata all'interno di una fortezza d'Outremer.
Come pure pare da ricondursi allo stesso disegno la creazione ab origine, proprio sotto l'abside, di un piccolo spazio destinato ad accogliere le spoglie di Bevignate e che, reso accessibile tramite un camminamento interno, avrebbe alimentato il culto di quello che si sperava potesse divenire a breve un santo templare. A fronte di tutto ciò, ben si spiegherebbero dunque la tenacia con cui i milites Templi hanno inseguito la canonizzazione di Bevignate e, soprattutto, l'attenzione del potente templare Bonvicino tanto per questa chiesa - detta, già prima della costruzione, ecclesia Sancti Benvegnati - quanto per il suo titolare, di cui egli richiede fin dal 1260 la consacrazione ufficiale, come risulta dalla legazione inviata nel giugno di quell'anno ad Anagni con l'auspicio che Alessandro IV aprisse in breve tempo un'inchiesta super vita et meritis beati Benvignatis.
A posteriori, sappiamo che il riconoscimento ufficiale del culto da parte della Congregazione dei Riti risale al 1605 e non è da escludere che "la tragica fine dei Templari, voluta da Filippo il Bello e troppo debolmente contrastata da Clemente V, potrebbe avere ben travolto anche il povero Bevignate" (C. Frugoni).
(Sonia Merli)
Consultare
San Bevignate di
Perugia –Storia ed iconografia
Santo Pomponio
Vescovo di Napoli
Martirologio Romano: A Napoli, san
Pomponio, vescovo, che costruì all’interno della città una chiesa dedicata al
Nome di Maria Madre di Dio e durante l’occupazione dei Goti difese dall’eresia
ariana il popolo a lui affidato.
Tratto da
http://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/140263-la-leggenda-della-pietrasanta-le-janare-diavolo-maiale-terrorizza-centro-napoli/
È stata la prima struttura partenopea
ad essere dedicata alla Madonna La chiesa Santa
Maria Maggiore alla Pietrasanta è situata nel centro storico di
Napoli lì dove un tempo era stato costruito un tempio dedicato a Diana, dea
della Luna e della caccia, protettrice delle donne. Le sue seguaci erano
conosciute nel capoluogo campano con il nome di janare,
da dianare, cioè sacerdotesse
di Diana. Il complesso fu costruito per volere del vescovo Pomponio nel 533 d.
C. Una leggenda narra che il religioso decise di far edificare la chiesa dopo
che la Vergine gli comparve in sogno per chiedergli la realizzazione di un
santuario a Lei dedicato.
La Madonna gli suggerì di farlo
costruire nel luogo in cui la presenza del diavolo era più forte poiché cercava
di insinuarsi nelle vite dei fedeli, spaventando i residenti con un grugnito
infernale e prendendo le sembianze di un animale all’apparenza domestico: un
maiale.
Per sconfiggere il male, durante i secoli a venire, i vescovi continuarono a
sgozzare, affacciati alla finestra della basilica, un’enorme scrofa. La pratica
fu poi abbandonata perché ritenuta vergognosa. La Vergine inoltre suggerì al
vescovo di costruire la chiesa solo dopo aver trovato una pietra di marmo
celata sotto al terreno da un panno di colore celeste. Questa pietra aveva il
potere di concedere l’indulgenza a coloro che la baciavano. La tradizione vuole
che sotto di essa sia stato sepolto papa Evaristo, celebrato il 27 ottobre
dalla Chiesa. Ma a distanza di anni la pietra non è mai stata trovata. Eppure
queste parole bastarono a Pomponio per far erigere, nel giro di pochi anni, la
basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta.
Fonti:
Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma,
Newton Compton, 2014
Stella
Casiello, “Verso una storia del restauro: dall’età classica al primo
Ottocento”, Firenze, Alinea, 2008
Laure
Raffaëlli-Fournel, Cécile Gall, “Napoli e Pompei”, Milano, Touring Club, 2003
Leggere anche
Santo Pasquale I
Papa e Patriarca di Roma che confessa la retta fede di fronte e contro l’eresia
iconoclasta (verso l’anno 824)
Tratto dal
quotidiano Avvenire
Pasquale I, abate della basilica di
Santo Stefano fu consacrato il 25 gennaio 817. Fu Papa dal 817 al 11 febbraio
824. Fu consacrato il 25 gennaio 817, vale a dire: nemmeno un giorno dalla
morte del suo predecessore. Durante il suo pontificato promosse le prime
missioni verso i Paesi scandinavi. Fece ricostruire la Chiesa di Santa Cecilia.
A Pasquale I si debbono i primi interventi sociali, oltre che a due
giustiziati. Fu dichiarato santo perché la leggenda vuole che durante una Messa
sia caduto in "trance" ed abbia rivelato il punto esatto della
sepoltura di santa Cecilia e di suo marito Valeirano, martirizzati durante
l'Impero romano. I corpi furono estratti dal cimitero di San Callisto. Pasquale
morì il giorno 11 febbraio del 824, il popolo romano, nonostante il suo
interessamento sociale impedì la sepoltura a San Pietro e si ritiene che le sue
spoglie riposino nella basilica romana di Santa Prassede.
Martirologio Romano: Sempre a Roma, deposizione di san
Pasquale I, papa, il quale tolse dalle catacombe molti corpi di santi martiri,
che volle trasferire nel desiderio di farli venerare, collocandoli con ogni
onore in diverse chiese di Roma.
Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/p/pasquale1.htm
Papa
Pasquale I, resse la cattedra di San Pietro dal 817 all'824, anno della sua
morte. La data e il luogo di nascita non sono certi, ma quasi sicuramente era
romano. Durante il suo papato promosse l'evangelizzazione nell'Europa del Nord
e ne curò l'organizzazione ecclesiastica. A Roma consacrò l'imperatore Lotario
e scomunicò l'imperatore bizantino Leone V l'Armeno per aver ripreso la
politica iconoclastica abbandonata dai suoi immediati predecessori.
Pasquale
I,
papa, santo, Romano, 25 gennaio 817 - 11 febbraio 824. Probabilmente è sepolto
sotto l’altare dei Ss. Processo e Martiniano a S. Pietro in Vaticano. La tomba
andò perduta. Secondo molti studiosi sarebbe
sepolto a S. Prassede.
Consultare anche
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