venerdì 25 maggio 2018

25 maggio Santi Italici ed Italo greci


Santo Urbano I papa e patriarca di Roma al tempo di Alessandro Severo (verso il 230)
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia, sant’Urbano I, papa, che, dopo il martirio di san Callisto, resse per otto anni fedelmente la Chiesa di Roma.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/89017
Romano, papa dal 222 al 230, fu seppellito o nel Cimitero di Callisto o in quello di Pretestato.
Secondo il Liber Pontificalis, sarebbe nato a Roma durante l'impero di Diocleziano, mentre la sua elezione sarebbe avvenuta sotto l'impero di Alessandro Severo.
Dopo i tumulti anticristiani ai quali non sopravvisse il suo predecessore, il suo pontificato fu relativamente tranquillo. La famiglia imperiale stessa, attraverso la volontà di Giulia Mamea, madre dell'imperatore, accolse assieme ai riti pagani anche quelli cristiani.
Urbano venne particolarmente ricordato per la sua tenacia nel rivendicare le proprietà appartenenti alla chiesa, in particolar modo una causa civile contro un'associazione di ostie quindi il "dio Bacco" a proposito della proprietà di un edificio adibito al culto cristiano.Revocò il decreto di papa Zeferino, che stabiliva l’uso di vasi vitrei nei sacrifizi, prescrivendo che da tutti e dovunque si usassero calici d’argento.
Una tarda “Passio” lo vuole martire e legato alla storia di S.Cecilia. E’ ricordato nel Martirologio Romano il 25 maggio: A Roma, sulla via Nomentana, il natale del beato Urbano primo, Papa e Martire, per la cui esortazione e dottrina molti (fra i quali Tiburzio e Valeriano) abbracciarono la fede di Cristo, e per essa subirono il martirio. Egli pure, nella persecuzione di Alessandro Severo, dopo aver molto sofferto per la Chiesa di Dio, da ultimo con la decapitazione ottenne la corona del martirio.
Nell’arte è raffigurato come un pontefice canuto con ampia tonsura e breve barba.




Santo Dionigi vescovo  di Milano morto in esilio in Cappadocia per aver confessato la retta fede contro l’eresia ariana (verso il 359)

tratto da 
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 25/05 Αγιος Διονυσιος Επισκοπος Μιλανου (; - 359)
Ο Άγιος Διονύσιος έζησε τον 4ο αιώνα μ.Χ. και ήταν Επίσκοπος του Μιλάνου της Ιταλίας. Κατά το 355 μ.Χ. εξορίσθηκε από τον φιλαρειανό αυτοκράτορα Κωνστάντιο (337-361 μ.Χ.) στην Καππαδοκία, λόγω της σθεναρής στάσεώς του έναντι των αιρετικών, και κοιμήθηκε εκεί το 359 μ.Χ.
 L’imperatore Ariano Costanzo, che nel concilio di Milano del 355, dove erano convenuti più di 300 vescovi, per pronunciarsi sulla disposizione di S. Attanasio, campione intrepido della fede ortodossa, e sull’eresia ariana, condanna all’esilio S. Dionigi con S. Eusebio di Vercelli, S. Lucifero di Cagliari e molti altri santi padri occidentali,che non si piegano all’arbitrio imperiale.

Martirologio Romano: A Milano, commemorazione di san Dionigi, vescovo, che per la sua retta fede fu relegato dall’imperatore ariano Costanzo in Armenia, dove concluse la sua vita insignito del giusto titolo di martire.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92380

Fu eletto nel 349 circa nono vescovo della città, succedendo ad Eustorgio I. Le informazioni relative a San Dionigi, alla sua vita ed alle sue opere sono alquanto scarse. Tra i pochi avvenimenti noti del suo episcopato figura la sua partecipazione nel 355 ad un concilio tenutosi nel palazzo dell’imperatore ariano Costanzo, che era stato convocato al fine di condannare Sant’Atanasio. Quasi all’unanimità i vescovi presenti, spinti da una forte paura, firmarono il decreto, ma Dionigi di Milano, Eusebio di Vercelli e Lucifero di Cagliari si rifiutarono e vennero dunque esiliati in Oriente. San Dionigi fu destinato in Cappadocia e la sede episcopale milanese fu rimpiazzata da Assenzio, definito pertanto “vescovo usurpatore”. Purtroppo nel 360 circa Dionigi morì ancora esiliato, poco prima che l’imperatore Giuliano ne autorizzasse il rientro in patria. I suoi resti mortali furono poi inviati da San Basilio Magno al nuovo vescovo di Milano, Sant’Ambrogio, spiegandogli in una lettera ancora oggi conservata come autenticarne le reliquie.Ben tre parrocchie nel territorio dell’arcidiocesi milanese sono ancora a lui dedicata, rispettivamente a Milano, a Premana (prov. Lc) e a Carcano, frazione di Albavilla



San Dionigi

 di Maria Grazia Tolfo

tratto da
http://www.storiadimilano.it/citta/Porta_Orientale/dionigi.htm

L'esilio del vescovo Dionigi

Nel gennaio del 355 si radunò a Milano nella basilica nova, appositamente costruita, un grande concilio indetto dall'imperatore Costanzo e da papa Liberio, al quale convennero più di trecento vescovi dall'Occidente. Ordine del giorno: condannare una volta per tutte la posizione del vescovo di Alessandria, Atanasio, il maggior avversario degli ariani. E Costanzo era un imperatore ariano...
A Milano era stato eletto nel 349 un vescovo di origine probabilmente greco-orientale, Dionisio, che secondo la testimonianza del vescovo Ambrogio era in rapporti di amicizia con Costanzo ancor prima di assumere l'alta carica. Forse per amicizia, forse per come si presentava l'accusa rivolta ad Atanasio - di sacrilegio, ossia di lesa maestà nei confronti dell'imperatore - Dionigi (come viene chiamato a Milano) sottoscrisse inizialmente la condanna.
Ma il destino era pronto a vibrare un poderoso colpo alla sua ruota facendo giungere, seppur in ritardo, l'intransigente e forse più accorto vescovo di Vercelli, Eusebio, che riuscì a far invalidare per vizio di forma la condanna, pretendendo poi che i vescovi, prima di esprimersi nuovamente, facessero una professione di fede nicena. Il concilio si spaccò: i vescovi ariani si dissero offesi e, per motivi di sicurezza, si trasferirono nel palazzo imperiale, dove ribadirono la condanna di Atanasio sottoscritta dall'imperatore.
Ai vescovi scissionisti non restava che aderire alla condanna o incorrere loro stessi in provvedimenti disciplinari. Di fronte al loro rifiuto, si provvide a designare le destinazioni dell'esilio: Eusebio venne tradotto a Scitopoli in Palestina; a Lucifero di Cagliari toccò Germanicia in Siria e al nostro Dionigi un paesetto della Cappadocia, dove morì intorno al 360.

Storia e leggende intorno alla cappella Sanctorum Veteris Testamenti 

Problemi circa l'ubicazione di S. Dionigi

Uno dei primi atti del vescovo Ambrogio, eletto nel 374 dopo la parentesi ariana, fu quello di recuperare la salma di Dionigi. La lettera del vescovo di Cesarea Basilio ad Ambrogio ci informa che il luogo dell'esilio e della sepoltura era alquanto distante da Cesarea di Cappadocia, visto che per andarvi bisognava intraprendere un viaggio difficoltoso. Basilio loda il suo prete Terasio per la generosità dimostrata nell'accompagnare in quel villaggio i preti mandati da Ambrogio per prelevare il corpo di Dionigi, sfidando le difficoltà dell'inverno del 375-376, così rigido che le strade rimasero chiuse fino a Pasqua (5 aprile).
A partire da questo punto le cose si complicano, innanzi tutto perché il passo di Basilio è stato ritenuto una tarda interpolazione. Ma anche ammettendo la veridicità delle affermazioni la chiarezza non è maggiore. Secondo una consolidata tradizione la salma, dopo un viaggio periglioso, sarebbe ritornata a Milano per essere deposta in una cappelletta che aveva anche il titolo di Sanctorum Veteris Testamenti o Santorum Omnium Prophetarum et Confessorum. Era forse solo una di quelle piccole cappelle cimiteriali presso le quali si potevano venerare reliquie che non avevano accesso all'interno del pomerio, nel nostro caso quelle dei santi Canziani di Aquileia, Canzio, Canziano e Canzanilla, qui deposte probabilmente dal vescovo Ambrogio dopo il concilio di Aquileia del 381. Se seguiamo la disamina dei documenti fatta dagli storici, non sembra però che il corpo del vescovo sia mai arrivato a Milano; forse ne giunsero solo frammenti di reliquie. Sappiamo che comunque esisteva il culto del vescovo Dionigi presso quella cappella perché nel 475 gli viene posto accanto il vescovo armeno Aurelio, di passaggio per Milano, e da quel momento la cappella ebbe titolo di S. Dionigi ed Aurelio.
E qui si apre un ulteriore problema, quello dell'ubicazione della cappella Sanctorum Veteris Testamenti poi di S. Dionigi.  L'Itinerario salisburghese, scritto alla metà del VI sec., elenca la tomba di S. Dionius fra le chiese del cimitero occidentale e quindi non a Porta Orientale, come vorrebbe la tradizione. Poco o nulla restava di questa primitiva costruzione già nei cosiddetti secoli bui, tanto che nell'830 si "regalò" a Nottingo, vescovo di Vercelli, il corpo di S. Aurelio, trattenendo a Milano il capo e pochi altri resti; poco prima dell'anno 882 l'arcivescovo Angilberto I  risolse di ricostruire la cappella, ma anche di questa costruzione non resta traccia. E' probabile però che la nuova chiesa, officiata dai preti decumani, si trovasse già a Porta Orientale, associata ad una cappella più antica.
Uno scavo un po' affrettato eseguito dal prof. Mirabella Roberti ai piedi della statua di Luciano Manara ai Giardini Pubblici aveva posto in luce strutture in conglomerato del IV-V sec., confermando quindi l'esistenza di una chiesa paleocristiana nella zona. Questa chiesa conservava anche la dedica al Salvatore, per cui non si potrebbe escludere che a questa chiesetta venisse accorpata più tardi quella del Sanctorum Veteri Testamenti. La chiesetta sorgeva però troppo lontano dalla città romana e dai cimiteri cittadini del IV secolo per essere considerata una cella memoriae; non dimentichiamo che erano soprattutto le donne a recarsi quotidianamente in preghiera sulle tombe dei defunti o presso le reliquie dei santi e quindi un tempietto così distante era di fatto irraggiungibile, soprattutto in tempi di invasioni. Mentre la Sanctorum Veteris Testamenti con la sua dotazione di reliquie poteva trovarsi nel maggiore cimitero di Milano, a Porta Vercellina, la cappella del Salvatore poteva essere un tempietto agreste per la protezione dei raccolti. 

Il sarcofago di Valerio Petroniano

Fra le antichità conservate nella chiesa, ma della cui provenienza non si sa nulla, c'è un sarcofago pagano in marmo di Musso dell'inizio del IV secolo, scolpito a Milano. Grazie alla descrizione fatta da Ciriaco d'Ancona nel XV secolo conosciamo il titolare, Valerio Petroniano, il cui nome era scolpito al centro del sarcofago, recentemente abraso.
Nell'edicola ad arco di sinistra vi è un personaggio col pallium, forse suo padre C. Valerio Eutichiano; a destra un personaggio togato, identificato come Valerio Petroniano. Le testate raffigurano scene della vita del defunto, mentre studia i documenti di una causa e mentre la difende davanti a un personaggio importante, forse l'imperatore. Petroniano era decurione, ossia consigliere municipale, pontifex e sacerdos della iuventus milanese, causidicus,  quindi una persona di tutto rilievo nella scena politica milanese. La scritta ricordava che aveva sostenuto a Roma cinque legazioni gratuite per la città.

eggende

La prima leggenda che si sviluppò intorno a S. Dionigi riguarda la venuta a Milano di S. Barnaba nell'anno 46. L'apostolo, attraversata la città col vessillo cristiano nelle mani, avrebbe piantato la croce il 13 marzo vicino al bastione di Porta Venezia, in una pietra con un buco al centro e tredici tacche a raggio. La chiesetta sarebbe sorta per racchiudere questa pietra, detta del Tredesin de mars, ricordando l'avvenimento con un'infiorata e una lapide latina, che così recita: "In questa rotonda pietra fu eretto il vessillo del Salvatore da S. Barnaba a postolo, fondatore della chiesa milanese, com'è provato dall'autorità degli scrittori e dall'antica tradizione del popolo, qui accorrente il 13 marzo". La leggenda è databile intorno alla fine del X secolo.
Secondo un'altra leggenda, già diffusa nei martirologi del 1089, il vescovo armeno Aurelio nel V secolo aveva traslato il corpo di Dionigi dall'Armenia in Italia. Giunto a Cassano d'Adda il feretro si era fermato improvvisamente e non era stato possibile procedere oltre. Ambrogio fu avvertito di questo prodigio e, scoperchiata la bara, si commosse abbracciando il corpo del suo predecessore. Prodigiosamente Dionigi fu risvegliato dal sonno della morte e, levatosi, passeggiò a braccetto con Ambrogio discutendo di questioni teologiche. Poi chiese ad Ambrogio di essere sepolto a Cassano, dove sarebbe rimasto fino al tempo di Ariberto, che lo trasferì a Milano nella chiesa del Salvatore e dei Profeti.
Un'altra leggenda, sicuramente trecentesca, narra di un drago a S. Dionigi, ucciso da Uberto Visconti. Così la racconta, col suo solito compiacimento per il meraviglioso, il canonico Carlo Torre: "Questo è il luogo dove fu ucciso da Uberto Visconte il drago che coi suoi fiati apportava ai cittadini malefici danni, mentre distoltosi da profonda tana se ne andava in giro a procacciarsi il vitto. Generoso era Uberto, cavaliere di nascita, signore di Angera, che prende il nome da Anglo, del ceppo d'Enea troiano, che negli anni quattrocento dopo Cristo aveva a Milano il titolo di visconte, poiché allora i Romani in Lombardia davano l'incarico supremo a un meritevole eroe, che aveva il titolo di conte. Poiché troppo gravoso era il peso per una sola persona, la carica si divideva in due, e al compagno spettava il titolo di visconte. Uberto entrò nell'arengo e vinse il mostro". E' quasi superfluo aggiungere che il mostro sarebbe quello immortalato nello stendardo visconteo.     

Avvenimenti legati a S. Dionigi

Il mausoleo della Pataria

Il primo dei capi patarini ad essere sepolto in S. Dionigi fu il campione Erlembaldo, ucciso il 28 giugno 1075 da Arnaldo da Rho. Nel maggio 1096 papa Urbano II riconobbe la santità di Erlembaldo e insieme al vescovo Arnolfo II di Porta Orientale traslò le sue spoglie in un degno sarcofago in S. Dionigi. Così recitava la lapide commemorativa, ricopiata da Galvano Fiamma:
Urbanus summus praesul dictusque secundus
Noster et Arnulphus pastor pius atque benignus
Huius membra viri tumulant translata beati.
Con questo gesto l'arcivescovo riconosceva le istanze patarine e si appropriava della eredità ideale dei capi della pataria per proporre ai milanesi un episcopato centro propulsore di ogni attività riformatrice, contro le pretese dei patarini intransigenti.
Nel 1099 il neoeletto arcivescovo Anselmo da Bovisio fece traslare dal monastero di S. Celso, dove era stato sepolto, l'altro campione della Pataria, Arialdo, assassinato anche lui il 28 giugno, ma del 1066, sull'isola del lago Maggiore. Le due salme così ricongiunte nella cripta costituirono, insieme alla presenza del sepolcro di Ariberto, una fortissima attrazione per il clero riformatore e i fedeli patarini, che avevano una notevole concentrazione nella zona nord-est di Milano.
L'arcivescovo compì con questa operazione un atto eminentemente politico, perché gli avversari più intransigenti della crociata che Anselmo stava organizzando, dietro pressione pontificia, erano proprio i patarini. L'opposizione nasceva dal fatto che per mettere insieme le ingenti somme della spedizione si attingeva alle rendite delle parrocchie, destinate (nel migliore dei casi) all'assistenza dei poveri.

L'eccidio dei ghibellini

All'inizio del 1266 Napo Torriani aveva nominato suo fratello Paganino podestà di Vercelli. Il giovane fu assalito il 29 gennaio da una banda di proscritti milanesi e trucidato. Per rappresaglia i guelfi catturarono 13 milanesi e 70 pavesi ghibellini e li tennero a disposizione per le onoranze funebri.
Il lunedì 1° febbraio la salma di Paganino fu composta nella chiesa di S. Martino al Corpo, fuori Porta Comasina; il giorno seguente il feretro venne spostato a S. Dionigi, dove ebbero luogo le esequie. Prima che Paganino venisse tumulato, i 13 sventurati ghibellini fecero omaggio forzato della loro testa. Il giorno dopo fu la volta di altri 13 ghibellini tenuti prigionieri nella torre di Porta Nuova ad essere decapitati al Broletto Nuovo. Il 4 febbraio l'eccidio ebbe il suo culmine con l'esecuzione, davanti a S. Dionigi, di altri 28 ghibellini rinchiusi nel castello di Trezzo.

La fine 

La lenta decadenza

Nel 1164 i decumani di S. Dionigi, che avevano convissuto fino a quel momento coi benedettini, si trasferirono a S. Bartolomeo a Porta Nuova. Tuttavia solo nel 1217 i benedettini furono veram ente soli a officiare la loro chiesa.
Intorno al 1410 subentrarono i benedettini riformati di S. Giustina, più noti come Cassinesi, che lasciarono il monastero intorno al 1433. Una carta del 13 ottobre 1478 cita il primo abate commendatario: Giov annantonio da Busseto.
el complesso di S. Dionigi ci restano solo le numerose descrizioni, tra cui una testimonianza in un processo del 1521, in base alla quale la chiesa risulta avere una pianta simile a S. Tecla, con cinque navate e l'abside centrale maggiore delle due laterali. Nel Cinquecento tutto il complesso era ormai decaduto e poco era valso l'onore derivato al luogo dall'essere Luigi XII salito a cavallo davanti alla chiesa nel 1509, dopo la vittoria di Agnadello. Il fatto era stato riportato sull'arco che immetteva nel sagrato e il Torre aveva potuto ricopiarne l'iscrizione.
Nel 1528 si ha un episodio di rapimento per riscatto di reliquie: i famigerati Lanzichenecchi devastano chiesa e monastero e sottraggono le sante reliquie nella cripta. Riscattati questi beni preziosi per la cura dell'anima, nel 1532  tutte le preziose reliquie vengono trasportate in Duomo.
Nel 1533 entrano i Serviti su richiesta del fiorentino cardinal Salviati, abate commendatario di S. Dionigi, e del governatore Antonio de Leyva, che vuole essere sepolto presso il monastero. Per questo nuovo ordine si progetta la nuova chiesa.

Dalla chiesa cinquecentesca alla fine

Nel 1535 si delibera l'abbattimento dell'antica chiesa, per consentire la costruzione dei Bastioni. Pellegrino Tibaldi ne costruisce una nuova a tre navate con otto cappelle laterali e una lapide ne attribuisce la volontà di ricostruzione al governatore Antonio de Leyva. Nel 1549, ultimati i lavori, si procede all'abbattimento della chiesa di Ariberto e di parte del suo monastero, lasciando solo il campanile. Il nuovo complesso è ricostruito più a sud.
Di questa nuova chiesa ci restano i disegni eseguiti intorno al 1573 dall'Anonimo Fabriczy. Nel Settecento nell'atrio antistante la chiesa c'era una cappella con una vasca d'acqua che curava gli occhi.
Nel 1770 si iniziò a sopprimere il convento e nel 1783 anche la chiesa venne sacrificata per far posto ai Giardini. I Serviti portarono a S. Maria del Paradiso, dove si trasferirono, le reliquie  superstiti, tra le quali la pietra del Tredesin de mars. Il sarcofago di Ariberto venne trasferito in Duomo, dove tuttora si trova. La croce di Ariberto, popolarmente abbinata al Carroccio, passò alla chiesa di S. Calimero; nel 1848 fu ottenuta dal Governo provvisorio che ne fece il simbolo della libertà civica, per essere deposta nel 1849 nella chiesa di S. Maria del Paradiso e, infine, passare nel 1872 in Duomo sopra l'urna di Ariberto.

Le Carcanine

L'hospitium dei poveri voluto da Ariberto fu adibito secoli dopo a ricevere i bambini abbandonati oltre gli otto anni, provenienti da S. Celso, per l'avviamento al lavoro. A causa della decadenza nell'amministrazione dei beni in cui incorse questo al pari degli altri enti assistenziali e ospedalieri, il ricovero di S. Dionigi fu concentrato nell'Ospedale Maggiore.
Sulle rovine di parte del monastero Giovanni Pietro Carcano costruì il monastero delle Carcanine, dette Turchine dall'abito, con chiesa intitolata a S. Maria dei Sette Dolori.
Il monastero fu soppresso nel 1782 e fu convertito nel Salone dei Giardini pubblici, poi abbattuto per costruire il Museo di Storia Naturale. (Vedi la pagina sui Giardini pubblici.)

Bibliografia

Testimonianze e leggende intorno alla cappella Sanctorum Veteris Testamenti

Brandeburg H., La scultura a Milano nel IV e V secolo, in Millennio ambrosiano, I, fig. 94, p. 83
Calderini A., La tradizione letteraria più antica sulle basiliche milanesi, in Rend. Ist. Lomb. Scienze e Lettere (Classe Lettere), LXXV, 1941-2
Calderini A., Le basiliche dell'età ambrosiana a Milano in “Ambrosiana”, Milano 1942, pp. 137-164
Cattaneo E., S. Dionigi: basilica paleocristiana? in Ricerche storiche sulla chiesa ambrosiana, IV, Milano 1974 (Archivio ambrosiano 22)
Cattaneo E., La religione a Milano nell'età di S. Ambrogio, Milano 1974 (Archivio ambrosiano 25)
Giulini G., Memorie, I, pp. 31, 89, 297; III, pp. 247, 337, 431
Kinney D., Le chiese paleocristiane di Milano, in Millennio ambrosiano, I, p. 65
Mirabella Roberti M., Milano romana, Milano 1984, pp. 130-131, figg. 132, 194
Paredi A., S. Ambrogio e la sua età, Milano 1960, p. 187
Paredi A., L'esilio in Oriente del vescovo milanese Dionisio, in Atti del Congresso La Lombardia e l'Oriente, Milano 1963, 229-244
Romussi C., Milano attraverso i suoi monumenti, Milano 1972, p. 42
Storia di Milano, I, pp. 324-326, 258, 387, 594, 610, 652
Torre C., Il ritratto di Milano, Milano 1714, pp. 258-263
Traversi G., Architettura paleocristiana milanese, Milano 1964, tavv. 34 e 35
Traversi G., Una nota su S. Dionigi, basilica ambrosiana sconosciuta in “Arte Lombarda”, VIII, 1963, pp. 99-102

La fine del complesso religioso

Bagnoli R., Le strade di Milano, IV, p. 1363
Fiorio M.T., Le chiese di Milano, Milano 1985, pp. 146-7
Latuada S., Descrizione di Milano, Milano 1737, V, pp. 318-31
Mezzanotte-Bascapé, Milano nell'arte e nella storia, Milano 1968, pp. 507-508
Storia di Milano, III, pp. 108 n. 1, 196 n. 3; IX 596, 647

Santo Senzio di Bieda nel territorio di Viterbo  nel V secolo

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90701
Di Lui si sa poco. Era un eremita, vissuto nel V secolo. E’ il secondo patrono e protettore di Blera (in provincia di Viterbo) dopo San Vivenzio. Un percorso naturalistico nei pressi di Blera, molto interessante anche dal punto di vista storico-archeologico, passa anche davanti all’eremo del Santo. Camminando lungo il sentiero infatti, dopo il ponte del diavolo (II secolo a.C.) si riprende l’antica via Clodia e si sale alla fontana di San Sensia e alla grotta omonima che, secondo la tradizione, il Santo eremita abitò nel V secolo d.C. Blera, che fu al centro dell’attività evangelizzatrice di San Sensia, è una cittadina molto legata alla cristianità; fu infatti la prima diocesi della Tuscia Romana, con 16 vescovi tra il 457 al 1093, primo dei quali San Vivenzio, principale patrono e protettore della cittadina. Blera diede i natali anche a due Pontefici: Sabiniano I (604-606) e Pasquale II (1099-1118). A San Sensia era dedicata l’attuale chiesa di San Nicola in Blera. Un’immagine del Santo si trova all’interno della chiesa Collegiata di Blera. Nella prima cappella della navata destra infatti, dedicata al SS. Sacramento, troviamo un grande stendardo in tela raffigurante un ostensorio sotto il quale pregano San Sensia e San Vivenzio e la Madonna Assunta in Cielo.





 zanobi




Santo Zenobio vescovo di Firenze (verso il  417)

tratto da
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Αγιος Ζηνοβιος Επισκοπος Φλωρεντιας
Ο Άγιος Ζηνόβιος καταγόταν από την Ελλάδα. Ήταν σοφιστής και δίδασκε ρητορική στην Φλωρεντία. Ασπάσθηκε τη Χριστιανική πίστη, παρά την σθεναρή αντίδραση των γονέων του, και εξελέγη Επίσκοπος της Φλωρεντίας της Ιταλίας. Σύντομα και οι γονείς του βαπτίσθηκαν Χριστιανοί και έγιναν μέλη της Εκκλησίας του Χριστού. Συνδέθηκε με πνευματική φιλία με τον Άγιο Αμβρόσιο, Επίσκοπο Μεδιολάνων και τον Επίσκοπο της Ρώμης Δάμασο (366 - 384 μ.Χ.), ο οποίος τον απέστειλε στην Κωνσταντινούπολη λόγω του Αρειανισμού και των ταραχών που προκαλούσαν στην Εκκλησία οι αιρετικοί. Αξιώθηκε από τον Τριαδικό Θεό του χαρίσματος της θαυματουργίας και κοιμήθηκε με ειρήνη το 390 μ.Χ. επί του αυτοκράτορα της Δύσεως Ονωρίου.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91448
L’unica notizia storica e sicura che ci è pervenuta di s. Zenobio è quella riferita dal biografo di s. Ambrogio, Paolino, il quale scrivendo verso il 422 dice che a Firenze: “è ora vescovo il sant’uomo Zenobio”.
Egli nacque nel capoluogo toscano verso la metà del secolo IV e l’arcivescovo di Amalfi, Lorenzo († 1049) che scrisse la prima biografia mentre era in esilio a Firenze, racconta che Zanobi (Zenobio) ebbe una educazione cristiana impartitagli dal vescovo Teodoro, poi si sarebbe trasferito a Roma dove avrebbe ricevuto dal papa Damaso († 384) l’incarico di una missione presso la corte imperiale di Costantinopoli.
Ritornato a Firenze riprese il suo ministero, forse non ancora episcopale, ma certamente di rilievo, se nel 394, come narra il su citato Paolino ebbe l’occasione di conoscere e conversare con s. Ambrogio di Milano, di passaggio per Firenze.
Divenuto vescovo della città, esercitò con abnegazione l’attività episcopale, evangelizzando completamente Firenze ed i dintorni; si meritò la definizione da parte di Paolino di “vir sanctus”, avendolo conosciuto personalmente, è riconosciuto in antichi documenti successivi, come “Apostolo di Firenze”; lottò contro l’arianesimo, eresia che si diffondeva in quei tempi, secondo cui il Verbo incarnato in Gesù, non è della stessa sostanza del Padre, ma rappresenta la prima delle sue creature e condannata da vari Concili del IV sec.
Morì verso il 417 e sepolto prima in S. Lorenzo che secondo alcuni, aveva fatto costruire lui stesso, poi traslato nel sec. IX in Santa Reparata (oggi S. Maria in Fiore), le reliquie sono custodite in un’urna scolpita da Lorenzo Ghiberti.
Patrono assieme a s. Antonino della città di Firenze, la sua celebrazione religiosa è al 25 maggio. Egli è raffigurato nell’arte fiorentina, sempre in abiti e insegne vescovili, in cui compare costantemente il giglio simbolo di Firenze, inoltre raramente è da solo, ma sta sempre in compagnia di altri santi per lo più in preghiera davanti alla Vergine.

Tratto da
http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-zenobio_%28Enciclopedia-Italiana%29/

ZENOBIO, santo. - Vescovo, nato a Firenze verso la metà del sec. IV, morto probabilmente nel 417. Educato nel paganesimo, venne istruito e battezzato dal vescovo Teodoro. Abbracciò la vita clericale e fu nominato arcidiacono. S. Ambrogio, che poté apprezzarne le virtù, lo raccomandò a papa Damaso. Questi lo chiamò a Roma e gli affidò varie missioni tra le quali una a Costantinopoli. Dopo la morte di Damaso tornò a Firenze dove seppe acquistarsi tal fama di santità, che, resasi vacante quella sede, ne fu eletto vescovo. Le antiche leggende intorno al suo episcopato (che però furono interpolate in tempi posteriori) proclamano unanimamente la sua vita esemplare, il suo zelo e i suoi doni soprannaturali. S. Antonino, suo successore, che ne scrisse la vita, dice che Zenobio morì novantenne. In quanto all'anno della morte indica il 424 "sotto il pontificato d'Innocenzo I"; ma poiché questo pontefice morì nel 417, la data della morte di Zenobio rimane sempre incerta. Tuttavia viene fissata comunemente al 417, e la tradizione vuole che fosse il 25 maggio; infatti in tale giorno si suole ogni anno infiorare la torre da lui abitata presso il Ponte Vecchio. Il suo corpo fu sepolto nella basilica di S. Lorenzo, poi trasferito alla chiesa del Salvatore, divenuta il duomo attuale. Si conserva in un'urna d'argento, lavoro del Ghiberti (1440 circa).


Tratto da http://www.associazionesanzanobi.it/storia-antica.php?id=7

  • Zanobi o Zenobio, nasce verso il 364 d.C. nella Firenze del tardo periodo imperiale romano. La famiglia è di probabile origine greco-siriaca
  • Viene battezzato all'età di 18 anni dal vescovo Romolo, in alcuni documenti chiamato anche Teodoro.
  • Sant?Ambrogio conosce il giovane Zanobi durante il suo passaggio da Firenze nel 382 e ne apprezza le virtù decidendo di introdurlo da papa Damaso a Roma.
  • Alcune cronache lo vorrebbero legato pontificio a Costantinopoli ma tale affermazione rimane leggendaria.
  • Con la morte del vescovo fiorentino Romolo, si creano contrasti tra le varie fazioni della comunità cristiana, ortodossa e ariana.
  • Sant'Ambrogio visita nuovamente Firenze nel 393, incontrando nuovamente Zanobi durante la consacrazione della chiesa di San Lorenzo.
  • Zanobi decide di seguire Sant'Ambrogio a Milano e completare la sua formazione cristiana. (aggiungere la nota a piè di pagina)
  • Il futuro vescovo fiorentino viene consacrato sacerdote all'età di 32 anni.
  • Nel 396/397 dopo il suo ritorno a Firenze viene eletto vescovo della Comunità Cristiana.
  • Tra le opere di evangelizzazione della città e della campagna si ricorda l'erezione di quattro croci presso le porte cittadine e fonda alcune chiese fuori le mura, come quella dedicata ai SS martiri Gervasio e Protasio, Sant'Ambrogio e San Romolo, il vescovo suo predecessore.
  • Radagiso, comandante delle orde gotiche che si avvicinano alla città viene sconfitto in battaglia vicino a Firenze nel 406 e il Vescovo Zanobi convince gli abitanti che questo è dovuto alla particolare protezione divina sulla città.
  • In quel periodo inizia la forte evangelizzazione delle campagne, ancora fortemente pagane. Nel 405 si vede la fondazione della chiesa di Casignano, sulle colline di Scandicci, forse trasformando un tempio pagano.
  • L'opera di propagazione del culto cristiano prosegue con l'erezione di chiese lungo le strade di comunicazione degli Appennini e con la fondazione di tre basiliche che nei secoli successivi presero il nome di Santa Felicita, San Pier Maggiore e San Paolo. Fu questo il momento in cui venne completata la 'perimetrazione' sacra di Firenze. (aggiungere la nota a piè di pagina)
  • Muore il 25 maggio del 424 e viene sepolto nell'antica cattedrale di Firenze, San Lorenzo.
  • Gli succede alla carica vescovile il suo diacono Eugenio e si inizia la costruzione di Santa Reparata nel luogo dove si trovava il palazzo del senatore Decente che aveva ospitato Sant'Ambrogio.
  • Traslazione dei resti di San Zanobi nella nuova cattedrale di Santa Reparata il 26 gennaio del 876 o 871. In questa occasione il feretro sfiora un olmo nel punto dove ora si erge la colonna di San Zanobi, accanto al Battistero e questo germoglia miracolosamente.
  • Il 25 maggio del 1065 o 1072 si festeggia per la prima volta la festa di San Zanobi a Firenze.
  • Nel 1310 il vescovo Antonio d'Orso Biliotti stabilisce che la festa di San Zanobi sia festeggiata in tutta la diocesi fiorentina con doppio rito.
  • Il 16 gennaio del 1331 il vescovo Giovanni Silvestri riesuma i resti del santo ed espone la reliquia del cranio in un busto reliquiario per esporle alla venerazione dei fedeli.
  • Il 26 aprile del 1439 i resti del santo vengono trasferiti dalla vecchia cripta in una nuova collocazione in un?urna posta sotto la cappella centrale della cattedrale.



Santo Bonifacio IV papa e patriarca di Roma che dedicò il Pantheon alla Madre di Dio con il titolo Santa Maria dei Martiri (verso il 615)
(Papa dal 25/08/608 al 8/05/615)
Originario della regione dei Marsi, fu eletto dopo nove mesi di sede vacante. Ottenne dall'imperatore il Pantheon, che consacrò alla Vergine e a tutti i suoi santi martiri.
Martirologio Romano: A Roma presso san Pietro, san Bonifacio IV, papa, che trasformò in chiesa il tempio del Pantheon ottenuto dall’imperatore Foca e lo dedicò a Dio in onore della Beata Maria e di tutti i martiri; fu pieno di meriti anche a riguardo della vita monastica.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/89067
Aveva ricevuto in dono da Foca, imperatore d’Oriente, un gioiello dell’architettura romana, fatto costruire 600 anni prima da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto e capo della flotta imperiale: il tempio della dea Cibele, più noto come Pantheon (tempio di tutti gli dèi, secondo un’interpretazione corrente). Bonifacio lo rimise in ordine salvandolo dalla rovina (Roma, all’epoca,era una distesa di ruderi),ne fece un tempiocristiano e il 1° novembre di un anno imprecisato lo dedicò solennemente alla Madonna e a tutti i santi martiri, che da allora vennero festeggiati annualmente alla stessa data; prima nella sola Roma, poi via via in tutta la Chiesa, onorando con essi i santi non martiri e anche quelli non canonizzati,«il cui nome  è noto a Dio».
Bonifacio IV, abruzzese di origine, figlio di un medico, si è fatto monaco benedettino,e dall’anno 590 al 604 è stato uno dei più vicini collaboratori di papa Gregorio Magno: una sorta di “ministro del Tesoro”, al tempo in cui quel grande Pontefice doveva soccorrere Roma,una città affamata per le inondazioni o le siccità (disastrose per i raccolti),decimata dalle continue epidemie.
È stato chiamato a guidare la Chiesa in modo inaspettato e in una situazione difficile: il suo predecessore BonifacioIII è morto dopo soli nove mesi di pontificato,e la Sede è rimasta vacante per altri dieci mesi. Salito poi in cattedra a fine agosto del 608, si trova a fronteggiare le emergenze che ha già conosciuto ai tempi di Gregorio Magno. Dall’Inghilterra poi, come Gregorio, riceve notizie di gravi dissensi tra cristiani sulla data della Pasqua e sulla liturgia. Poi ci sono contrasti tra i monaci e i vescovi. Nell’anno 610 viene a parlargli di questi problemi il vescovo di Londra, Mellito. Lui lo invita a partecipare al concilio che vi si tiene in quell’anno, e gli consegna poi i documenti conciliari che lo aiuteranno ad affrontare i problemi sorti tra episcòpi e monasteri.
L’Italia è ora un condominio spartito tra Longobardi e Impero d’Oriente, al quale appartiene anche Roma. Ma i sovrani abbandonano praticamente a sé stessi i sudditi italiani (gli Italiotes, comeli chiamano) perché l’Impero passa di crisi in crisi. L’imperatore Foca ha ucciso il suo predecessore Maurizio, e sarà ucciso dal successore Eraclio. E poi l’impero viene attaccato in Dalmazia dagli Àvari e dagli Slavi, che lo costringono a “comprare” la pace. Ma il pericolo mortale arriva dalla Persia, quando l’esercito del re Cosroe sferra un attacco generale, occupando Siria e Libano,dilagando in Palestina e impadronendosi anche di Gerusalemme.
Nel saccheggio della Città Santa, viene portata via anche la reliquia della Santa Croce. Tutti i giorni arriva una cattiva notizia per Bonifacio IV, il Papa che continua a vivere tra preghiera e penitenza come un monaco, e che muore nel momento di maggior pericolo per la cristianità orientale.

Consultare anche
http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-bonifacio-iv_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/

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