https://www.academia.edu/6923504/Scuola_medioevale
Santa
Afra di Brescia martire probabilmente sotto
Adriano nel II secolo
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90214
Una santa martire di cui si sa poco, a volte secondo alcuni
studiosi, viene identificata con s. Afra di Augusta, nonostante ciò è stata
molte volte raffigurata nelle opere di pittura, da artisti che operarono
nell’ambiente bresciano; sempre in abiti sontuosi e con i simboli del suo
martirio: la palma e la lama seghettata.
La ‘passio’ di autore ignoto, inserita negli atti dei santi Faustino e Giovita, non fornisce alcuna notizia precisa circa l’identità della santa; in qualche codice è riportata come moglie di Italico il nobile bresciano, che secondo la ‘passio’ avrebbe recato il simulacro di Saturno nell’anfiteatro, perché ai suoi piedi, i cristiani fossero sbranati dalle belve feroci.
La ‘passio’ dipende da un racconto molto conosciuto nell’VIII e IX secolo; Afra presente nell’anfiteatro di Brescia alle torture e supplizi dei martiri Faustino e Giovita, tracciando un segno di croce, avrebbe fermato la furia di cinque tori, che docilmente si accosciarono ai piedi dei santi.
Alla vista del prodigio, circa tremila degli spettatori presenti, si convertirono al cristianesimo; Afra venne denunciata all’imperatore Adriano (117-138) come cristiana, subendo il martirio insieme alla schiava Samaritana, dopo la decapitazione di Faustino e Giovita.
La chiesa, che alla fine del III secolo era dedicata ai santi Faustino e Giovita, costruita sul luogo del martirio, nell’806 fu dedicata a s. Afra, dopo che i corpi dei due martiri, vennero traslati in un’altra chiesa, cui in seguito si aggiunsero vari edifici ecclesiastici.
Tutti e tre sono patroni della città di Brescia, a volte s. Afra è raffigurata con il modello della città.
La ‘passio’ di autore ignoto, inserita negli atti dei santi Faustino e Giovita, non fornisce alcuna notizia precisa circa l’identità della santa; in qualche codice è riportata come moglie di Italico il nobile bresciano, che secondo la ‘passio’ avrebbe recato il simulacro di Saturno nell’anfiteatro, perché ai suoi piedi, i cristiani fossero sbranati dalle belve feroci.
La ‘passio’ dipende da un racconto molto conosciuto nell’VIII e IX secolo; Afra presente nell’anfiteatro di Brescia alle torture e supplizi dei martiri Faustino e Giovita, tracciando un segno di croce, avrebbe fermato la furia di cinque tori, che docilmente si accosciarono ai piedi dei santi.
Alla vista del prodigio, circa tremila degli spettatori presenti, si convertirono al cristianesimo; Afra venne denunciata all’imperatore Adriano (117-138) come cristiana, subendo il martirio insieme alla schiava Samaritana, dopo la decapitazione di Faustino e Giovita.
La chiesa, che alla fine del III secolo era dedicata ai santi Faustino e Giovita, costruita sul luogo del martirio, nell’806 fu dedicata a s. Afra, dopo che i corpi dei due martiri, vennero traslati in un’altra chiesa, cui in seguito si aggiunsero vari edifici ecclesiastici.
Tutti e tre sono patroni della città di Brescia, a volte s. Afra è raffigurata con il modello della città.
Tratto da
http://www.sestodailynews.net/focus/storia/3869/santa-afra-da-brescia
La Passio scritta da un autore ignoto ed inserita negli atti dei
Santi Giovita e Faustino, non ci fornisce nessuna indicazione riguardo alla sua
identità, ma viene descritta come moglie di Italico nobile bresciano che
avrebbe recato il simulacro di Saturno nell'anfiteatro in modo che i cristiani
fossero sbranati ai suoi piedi dalle belve feroci.
Un racconto molto conosciuto nell'VII e nel IX secolo colloca
Santa Afra nell'anfiteatro della città di Brescia durante le torture e i
supplizi subiti dai Santi Faustino e Giovita e narra di come la santa abbia
fermato la furia di cinque tori che si inchinarono al cospetto dei due Martiri
, tracciando un segno della croce: Tale prodigio portò diverse migliaia di
spettatoriad abbracciare la fede cristiana.
Afra venne denunciata all'imperatore Adriano che dopo la
decapitazione di Faustino e Giovita la fece torturare ed uccidere insieme alla
schiava Samaritana.
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/54570
Santi
martiri in Istria OELLO, SERVOLO, FELICE, SILVANO e DIOCLE(verso il 284)
Il Martirologio Romano riporta codesti
martiri il 24 maggio in Istria. Il latercolo proviene dai martirologi storici
di Floro e di Usuardo, che hanno accettato la lezione in Histria del cod.
Epternacensis del Geronimiano, la quale è cattiva lettura dell'originale in
Syria. Perciò i martiri vanno ascritti alla Siria, come risulta evidente per lo
stesso giorno (24 maggio) dal Martirologio Siriaco. Tuttavia nel 1698 lo
storico triestino Della Croce identificava senz'altro Zoello con l'omonimo
sacerdote aquileiese della passio del martire s. Crisogono, che avrebbe
profetizzato il martirio alle Ss. Agape, Chionia e Irene, passando in seguito
in Istria dove sarebbe morto. Ma già nel 1613 il Ferrari lo aveva distinto,
quale confessore, venerato ad Aquileia il 27 dicembre. Nel Kalendarium venetum
della fine del sec. XI è riportato il 24 maggio Servuli mart., senza
indicazione topografica. Soltanto il Galesini lo collocò nello stesso giorno a
Trieste, dove in pratica prima del 1150 al massimo si venerava un Servulus, che
tutt'al più potrebbe costituire una variante del Servilius del Geronimiano,
come già aveva supposto il Ferrari.
Le passiones latina e volgare redatte dopo il 1330 ne costruiscono la vita, prendendo l'avvio dall'inno liturgico del Breviario aquileiese del 1318-1330. Secondo questi testi il santo usci dodicenne dall'eremo collocato a Dorligo della Valle presso Trieste e dopo alcuni prodigi, si presentò innanzi al preside romano nel 283 subendo la decapitazione il 24 maggio. Soltanto nel De Natalibus esiste la variante della caldaia di olio bollente dove fu immerso, accolta dal Galesini che lo fa morire per strangolamento.
La più antica prova di culto è data dal mosaico absidale nella cattedrale di S. Giusto: il santo con scritta denominativa è in talare azzurra, con destra benedicente al petto e la crocetta bizantina di martire nella sinistra, lavoro di maestranze lagunari degli ultimi decenni del sec. XIII. Di poco posteriore è il rilievo entro un'arcatella cieca dell'abside.
Paolo Veneziano lo effigiò quasi sicuramente tra ii 1328 e il 1330 nel polittico di S. Cipriano ora al museo civico di Trieste, dove risulta per la prima volta con il drago ai piedi (evidente derivazione dell'inno liturgico citato).
Il modulo del mosaico riaffiora nei capilettere miniati della passio Scaramangà (1450 ca.); è acquarellato nella passio ms. del 1613.
Nella chiesa di S. Apollinare in Trieste Servolo è presente in un medaglione nella navata centrale, lavoro del Randi (1870 ca.), con l'episodio del drago, che è dato pure nella incisione dell'edizione veneziana della Vita del 1811. Del neoclassico Bosa è pure la sua statua nella facciata di S. Antonio Nuovo di Trieste; del pittore Vostri sono le storie della vita eseguite nel suo altare in S. Giusto nel 1935. A Venezia l'immagine del santo si trova sulla facciata di un palazzo nei mercati di Rialto.
Nell'apertura dell'arca dell'altare a lui dedicato in S. Giusto nel 1826, fu trovato uno scheletro (meno il braccio destro), considerato del santo, avvolto in un lenzuolo di seta, con monete di corredo devozionale datate tra il 1268 e il 1288. Successive ricognizioni si ebbero nel 1929 e 1934: in quest'anno i resti furono collocati in un'urna di cristallo nella cappella a lui dedicata in S. Giusto. Una reliquia è pure in reliquiario d'argento cinquecentesco nel tesoro della cattedrale; un'altra era a Venezia nel 1749.
In Trieste una chiesa era dedicata al santo sin dal sec. XIV, soppressa nel 1786 e poi riaperta fino al 1842, anno di demolizione, lasciando traccia in un toponimo viario attuale.
Nel 1698 il Della Croce attesta una chiesa ipogea presso Trieste a tre navate con altare del santo e acque salutari che si disseccavano se profanate: resta solo l'altare. Ora Servolo è patrono della parrocchia di Buie (in territorio iugoslavo) con festa il 16 maggio; l'agiotoponimo dell'isola veneziana ricordato nell'819 forse allude al Servolo romano.
A Trieste la festa di Servolo è il 24 maggio; nel 1550 ca. il Podestà col Consiglio locale si recava in questo giorno in processione al suo altare per omaggio di cere. Avveniva poi la gara popolare di tiro con balestra in Piazza Maggiore. Al vincitore erano donate due balestre nuove.
Le passiones latina e volgare redatte dopo il 1330 ne costruiscono la vita, prendendo l'avvio dall'inno liturgico del Breviario aquileiese del 1318-1330. Secondo questi testi il santo usci dodicenne dall'eremo collocato a Dorligo della Valle presso Trieste e dopo alcuni prodigi, si presentò innanzi al preside romano nel 283 subendo la decapitazione il 24 maggio. Soltanto nel De Natalibus esiste la variante della caldaia di olio bollente dove fu immerso, accolta dal Galesini che lo fa morire per strangolamento.
La più antica prova di culto è data dal mosaico absidale nella cattedrale di S. Giusto: il santo con scritta denominativa è in talare azzurra, con destra benedicente al petto e la crocetta bizantina di martire nella sinistra, lavoro di maestranze lagunari degli ultimi decenni del sec. XIII. Di poco posteriore è il rilievo entro un'arcatella cieca dell'abside.
Paolo Veneziano lo effigiò quasi sicuramente tra ii 1328 e il 1330 nel polittico di S. Cipriano ora al museo civico di Trieste, dove risulta per la prima volta con il drago ai piedi (evidente derivazione dell'inno liturgico citato).
Il modulo del mosaico riaffiora nei capilettere miniati della passio Scaramangà (1450 ca.); è acquarellato nella passio ms. del 1613.
Nella chiesa di S. Apollinare in Trieste Servolo è presente in un medaglione nella navata centrale, lavoro del Randi (1870 ca.), con l'episodio del drago, che è dato pure nella incisione dell'edizione veneziana della Vita del 1811. Del neoclassico Bosa è pure la sua statua nella facciata di S. Antonio Nuovo di Trieste; del pittore Vostri sono le storie della vita eseguite nel suo altare in S. Giusto nel 1935. A Venezia l'immagine del santo si trova sulla facciata di un palazzo nei mercati di Rialto.
Nell'apertura dell'arca dell'altare a lui dedicato in S. Giusto nel 1826, fu trovato uno scheletro (meno il braccio destro), considerato del santo, avvolto in un lenzuolo di seta, con monete di corredo devozionale datate tra il 1268 e il 1288. Successive ricognizioni si ebbero nel 1929 e 1934: in quest'anno i resti furono collocati in un'urna di cristallo nella cappella a lui dedicata in S. Giusto. Una reliquia è pure in reliquiario d'argento cinquecentesco nel tesoro della cattedrale; un'altra era a Venezia nel 1749.
In Trieste una chiesa era dedicata al santo sin dal sec. XIV, soppressa nel 1786 e poi riaperta fino al 1842, anno di demolizione, lasciando traccia in un toponimo viario attuale.
Nel 1698 il Della Croce attesta una chiesa ipogea presso Trieste a tre navate con altare del santo e acque salutari che si disseccavano se profanate: resta solo l'altare. Ora Servolo è patrono della parrocchia di Buie (in territorio iugoslavo) con festa il 16 maggio; l'agiotoponimo dell'isola veneziana ricordato nell'819 forse allude al Servolo romano.
A Trieste la festa di Servolo è il 24 maggio; nel 1550 ca. il Podestà col Consiglio locale si recava in questo giorno in processione al suo altare per omaggio di cere. Avveniva poi la gara popolare di tiro con balestra in Piazza Maggiore. Al vincitore erano donate due balestre nuove.
Santo
Elpidio Vescovo di Atella in Campania tra Napoli e Capua(verso il VI secolo )
con suo fratello il Santo presbitero Cleone e il di lui figlio il chierico
Santo Elpicio
Elpidio
fu uno dei dodici vescovi o preti africani che, durante la persecuzione
vandalica del V sec. o durante quella ariana del IV, dopo vari tormenti furono
caricati su di una vecchia nave senza remi e senza vele perché morissero in
mare. Ma la nave non affondò e, spinta da correnti favorevoli, raggiunse la
Campania. Tale leggenda, come avevano già sospettato il Ruinart ed il Tillemont
e come dimostra ampiamente il Lanzoni, è recente (sec. XII) e non merita alcuna
fiducia: essa non fa che riprendere e rifare, ampliandoli, altri episodi del
genere, come quello del vescovo di Cartagine Quodvultdens giunto coi suoi
chierici a Napoli nel 439-440. Il Lanzoni vede in tutti i dodici nomi, vescovi
o santi locali. Prima, infatti, che in tale leggenda, il nome di Elpidio appare
in altre fonti ben più importanti.
La passio del martire atellano s. Canione dice che il vescovo Elpidio eresse una basilica sul suo sepolcro ed anzi ne riporta l'iscrizione dedicatoria col nome del costruttore. Un altro documento, la Vita S. Elpidii, lo celebra al 24 maggio, lo dice fratello di s. Cione, zio di s. Elpicio, non altrimenti noto, e vescovo di Atella ai tempi di papa Siricio (384-399) e di Arcadio (395-408): questi dati cronologici sono probabilmente quelli giusti. Gli Atti della traslazione di s. Atanasio di Napoli ci informano che in Atella nell'872 vi era una ecclesia S. Elpidii, mentre un istrumento notarile dell'820 testimonia che già in quell'epoca tutta la zona circostante era chiamata S. Elpidio (oggi S. Arpino). E, finalmente, il Calendario marmoreo di Napoli (cf. Mallardo, op. cit in bibl., p. 21) ne celebra la memoria al 15 gennaio con le parole: ET s. EEPIDII EPI[SCOPI]; e, malgrado che l'identità della data abbia fatto concludere al Delehaye che in questa nota si tratti dell'omonimo Elpidio, celebrato pure al 15 gennaio dal Sinassario Costantinopolitano, il Lanzoni ed il Mallardo accettano la tradizione di quegli studiosi che videro celebrato nel Calendario marmoreo il vescovo di Atella, perché l'Elpidio bizantino non consta fosse vescovo.
Distrutta la città con l'invasione longobarda, pare che alcuni cittadini atellani, portando con sé i corpi di Elpidio, Cione ed Elpicio, si rifugiassero a Salerno, dove le sacre reliquie vennero collocate sotto un altare dell'antica cattedrale. Il clero di Salerno da secoli ne celebra la festa liturgica al 24 maggio. Recentemente, nel 1958, l'arcivescovo Demetrio Moscato ha voluto compiere una ricognizione canonica delle reliquie dei santi che la storia salernitana confermava essere sepolti nella cripta del duomo, propriamente sotto l'altare denominato "dei santi confessori". Fra le altre reliquie furono rinvenute anche quelle dei tre santi Elpidio, Cione ed Elpicio, ivi collocate dall'arcivescovo Alfano I nel marzo 1081, come è chiaramente detto in un'iscrizione marmorea, collocata dal medesimo arcivescovo nella parte interna della lastra di copertura delle reliquie, che ora avranno nuova decorosa sistemazione..
La passio del martire atellano s. Canione dice che il vescovo Elpidio eresse una basilica sul suo sepolcro ed anzi ne riporta l'iscrizione dedicatoria col nome del costruttore. Un altro documento, la Vita S. Elpidii, lo celebra al 24 maggio, lo dice fratello di s. Cione, zio di s. Elpicio, non altrimenti noto, e vescovo di Atella ai tempi di papa Siricio (384-399) e di Arcadio (395-408): questi dati cronologici sono probabilmente quelli giusti. Gli Atti della traslazione di s. Atanasio di Napoli ci informano che in Atella nell'872 vi era una ecclesia S. Elpidii, mentre un istrumento notarile dell'820 testimonia che già in quell'epoca tutta la zona circostante era chiamata S. Elpidio (oggi S. Arpino). E, finalmente, il Calendario marmoreo di Napoli (cf. Mallardo, op. cit in bibl., p. 21) ne celebra la memoria al 15 gennaio con le parole: ET s. EEPIDII EPI[SCOPI]; e, malgrado che l'identità della data abbia fatto concludere al Delehaye che in questa nota si tratti dell'omonimo Elpidio, celebrato pure al 15 gennaio dal Sinassario Costantinopolitano, il Lanzoni ed il Mallardo accettano la tradizione di quegli studiosi che videro celebrato nel Calendario marmoreo il vescovo di Atella, perché l'Elpidio bizantino non consta fosse vescovo.
Distrutta la città con l'invasione longobarda, pare che alcuni cittadini atellani, portando con sé i corpi di Elpidio, Cione ed Elpicio, si rifugiassero a Salerno, dove le sacre reliquie vennero collocate sotto un altare dell'antica cattedrale. Il clero di Salerno da secoli ne celebra la festa liturgica al 24 maggio. Recentemente, nel 1958, l'arcivescovo Demetrio Moscato ha voluto compiere una ricognizione canonica delle reliquie dei santi che la storia salernitana confermava essere sepolti nella cripta del duomo, propriamente sotto l'altare denominato "dei santi confessori". Fra le altre reliquie furono rinvenute anche quelle dei tre santi Elpidio, Cione ed Elpicio, ivi collocate dall'arcivescovo Alfano I nel marzo 1081, come è chiaramente detto in un'iscrizione marmorea, collocata dal medesimo arcivescovo nella parte interna della lastra di copertura delle reliquie, che ora avranno nuova decorosa sistemazione..
Tratto
da
Gli avvenimenti relativi alla vita
di S. Elpidio V. più noti si leggono nella vita S. Castrensis
(S. Castrese di Castel Volturno)
redatta quasi sicuramente a Capua in qualche cenobio benedettino prima della
metà del XII sec. poi manipolata e trascritta nel XVI sec.
Secondo il documento medievale, il
nostro Santo appartiene ad un gruppo di dodici vescovi, o preti, o addirittura
fratelli di origine nord-africana, incorso nella persecuzione dell’imperatore
Valente, mentre per la versione cinquecentesca è ritenuto vittima, insieme ai
compagni, della persecuzione dei Vandali di Genserico. Elpidio, il cui nome
proveniente dal greco significa “colui che spera in Dio”,
nacque in Africa nella Mauritania
Cesariense negli anni compresi tra il 395 e il 400, da ricchi e nobili
genitori. Abbandonati gli agi della vita familiare, desideroso unicamente di
consacrarsi a Dio, divenne sacerdote. Nel 429 i Vandali invasero l’Africa
settentrionale diffondendo idee scismatiche a danno della Chiesa Cattolica;
allora strenua fu l’opera di S. Elpidio, che esortò i suoi figli spirituali ad
affrontare coraggiosamente gli attacchi fisici e morali dei violenti
persecutori. La leggenda vuole che, catturato con gli altri vescovi, S. Elpidio
fu imbarcato con
essi su uno sconquassato veliero
affinchè in alto mare finissero in pasto agli squali.
Ma ecco che, mentre i Vandali
attendevano di vedere calare a picco nel mare quella precaria imbarcazione, un
angelo scese dal cielo e, con forza divina, placidamente guidò il prezioso
equipaggio attrverso il Mar Mediterraneo fino al porto di Castel Volturno in
Campania. Era il 10 Maggio dell’anno 440. Di qui Elpidio raggiunse Atella dove
fu Vescovo per 22 anni.
S. Elpidio venne in Casapulla
verosimilmente intorno alla metà del V sec., vi predicò il Vangelo di Cristo,
battezzò gli abitanti del luogo e vi costruì una chiesa consacrata
al vero Dio, facendo demolire il
tempio pagano di Apollo. Dell’antico tempio solo il muro della navata
settentrionale rimase in piedi e fu parte della chiesa.
S. Elpidio morì il 24 Maggio di un
anno compreso tra il 459 e il 464. Aveva 64 anni. Due giorni dopo il 26 Maggio
fu solennemente sepolto e gli Atellani, riconoscendo in Lui il rifondatore
della città e il Pater Patriae, lo acclamarono Santo venerandone la tomba e
propagandone il culto nei dintorni.
Da sempre i Casapullesi celebrano
il loro Patrono il 26 Maggio, intendendo far memoria della sua sepoltura, a
differenza dei Santarpinesi che ne ricordano il 24 Maggio il dies natalis, cioè
il giorno della morte.
L’ 8 Maggio 1604 la Sacra
Congregazione dei Riti in Roma approvò la pubblica decisione, presa dagli
abitanti di Casapulla, di eleggere S. Elpidio Protettore del territorio del
proprio comune
Tratto
da
http://santelpidiovescovo.strikingly.com/
Nasce in Africa a cavallo fra il 388 ed il 395 d.C. da famiglia illustre. Il nome Elpidio deriva dal greco "elpis" che significa "speranza", per cui Elpidio significa "colui che spera in Dio". Fu consacrato vescovo a circa 30 anni. Intorno al 432 diviene vescovo di Atella e vi rimane per circa 22 anni. La data della sua morte è da collocarsi fra il 452 ed il 457. Con vari miracoli ha dimostrato al popolo santarpinese il suo potente patrocinio. Il più famoso è raffigurato in alto dell'altare maggiore. In un pomeriggio soffocante del Luglio 1809, un paralitico di Sant’Arpino, Carmine Tanzillo, proveniente da Frattaminore, faceva ritorno al paese. Lungo la strada di campagna che stava percorrendo, tirandosi con le mani perché camminava seduto, vide all'improvviso dei buoi che venivano in senso opposto. Si mise a gridare per la paura di essere travolto e invocò il Santo Protettore verso il quale aveva grande fede. S. Elpidio apparve facendosi largo tra le piantagioni di canapa e allungando la mano pronunziò le parole del Maestro divino "Surge et ambula" (Alzati e cammina). Il vecchietto buttò via gli zoccoli che teneva alle mani, si alzò in piedi e corse in paese annunziando la miracolosa apparizione di S. Elpidio e l'istantanea guarigione. Il corpo del Santo è stato conservato nella chiesa di Atella nel posto ove sorge il palazzo Ducale fino al '787. In quell'anno a seguito delle incursioni dei Longobardi, per paura che le reliquie del Santo fossero rubate, furono trasportate nella città fortificata di Salerno, ove sono oggi custodite nella cripta del Duomo.
Nasce in Africa a cavallo fra il 388 ed il 395 d.C. da famiglia illustre. Il nome Elpidio deriva dal greco "elpis" che significa "speranza", per cui Elpidio significa "colui che spera in Dio". Fu consacrato vescovo a circa 30 anni. Intorno al 432 diviene vescovo di Atella e vi rimane per circa 22 anni. La data della sua morte è da collocarsi fra il 452 ed il 457. Con vari miracoli ha dimostrato al popolo santarpinese il suo potente patrocinio. Il più famoso è raffigurato in alto dell'altare maggiore. In un pomeriggio soffocante del Luglio 1809, un paralitico di Sant’Arpino, Carmine Tanzillo, proveniente da Frattaminore, faceva ritorno al paese. Lungo la strada di campagna che stava percorrendo, tirandosi con le mani perché camminava seduto, vide all'improvviso dei buoi che venivano in senso opposto. Si mise a gridare per la paura di essere travolto e invocò il Santo Protettore verso il quale aveva grande fede. S. Elpidio apparve facendosi largo tra le piantagioni di canapa e allungando la mano pronunziò le parole del Maestro divino "Surge et ambula" (Alzati e cammina). Il vecchietto buttò via gli zoccoli che teneva alle mani, si alzò in piedi e corse in paese annunziando la miracolosa apparizione di S. Elpidio e l'istantanea guarigione. Il corpo del Santo è stato conservato nella chiesa di Atella nel posto ove sorge il palazzo Ducale fino al '787. In quell'anno a seguito delle incursioni dei Longobardi, per paura che le reliquie del Santo fossero rubate, furono trasportate nella città fortificata di Salerno, ove sono oggi custodite nella cripta del Duomo.
Consultare
e Leggere
EPISCOPATO E VESCOVI DI ATELLA
PASQUALE SAVIANO
http://www.iststudiatell.org/rsc/annate_10/vescovi_atellani.pdf
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