Un raro e prezioso esempio di oreficeria Bizantina oltre che un simbolo sacro per eccellenza torna a risplendere dopo un delicato restauro.
Non un pezzo qualsiasi, ma la Crux Vaticana donata alla Sede Apostolica dall'imperatore d'Oriente Giustino II.
Arrivata a Roma da Costantinopoli fra il 565 e il 578 d. C. e considerata l'emblema del Tesoro di San Pietro, la croce tempestata di perle e gemme riportate all'antico splendore.
Esposta e ammirata nelle grandi celebrazioni liturgiche del Natale e della Pasqua la Croce è passata attraverso i secoli segnata oltre che dal tempo anche dalla storia e dagli uomini.
La Croce è anche un simbolo forte di fede. Oltre alle perle e le gemme e alla raffinata fattura orafa, contiene inglobandola una capsula circolare con la santa reliquia di un frammento ligneo della croce di Cristo.
Un testo in latino inciso con i caratteri tipici della scrittura utilizzata alla fine della tarda antichità nella parte orientale dell'impero recita così: Ligno quo Christus humanum subdidit hostem dat Romae Iustinus opem et socia decorem che suona come "Con questo legno, attraverso il quale Cristo soggiogò il nemico degli uomini, dona Giustino a Roma l'opera e la sua compagna gli ornamenti". Un chiaro messaggio che testimonia l'intento votivo dell'Imperatore Giustino: donare un prezioso manufatto come esemplare testimonianza di fede alla città di Roma e della sua "consorella-socia", l'Imperatrice Sofia, donare allo stesso scopo i propri ornamenti.
Santi
Pellegrino diacono ,Ercolino e Flaviano
martiri ad Ancona sotto Diocleziano
Tratto
da
http://www.lavocecattolica.it/lavoce.an.it/indice.loreto/storia%20chiesa%20ancona.htm
1.7 LA VITA RELIGIOSA DI ANCONA AL TEMPO
DELLE ERESIE E I SANTI PELLEGRINO E FLAVIANOLa vita religiosa di Ancona dovette essere abbastanza vivace e non scevra di scontri. Dopo il Concilio di Nicea, che aveva condannato l'arianesimo, in Oriente inizia l'eresia di Nestorio ed in Africa il donatismo ed il pelagianismo. Ancona non dovette trovarsi fuori da tali controversie, religiose in quanto presenti in città, quale porto, rappresentanti e fautori non sempre sereni sostenitori delle proprie idee.
Ed è proprio all'inizio del sec. VI, il 21 maggio 500, che Pellegrino e Flaviano pro Christi nomine passi sunt, come recita l'iscrizione incisa sul coperchio del sarcofago che conteneva i loro resti. Essi sono i martiri che si conoscono dopo S. Primiano; ciò fa supporre che, sino ad allora la vita della Chiesa Anconitana si fosse svolta con la massima tranquillità e con molta tolleranza anche durante il periodo delle persecuzioni organizzate dagli Imperatori a partire da Nerone sino a Costantino. A favore di ciò è la testimonianza delle basiliche che sorgono subito dopo il 313, sia come numero, sia come ampiezza. Purtroppo non si hanno precise testimonianze dirette e quanto si conosce di allora è stato soltanto raccolto e trasmesso da redattori che hanno compilato i loro racconti attingendo sì dalla tradizione, ma aggiungendovi nomi di persone ed indicando anni senza nessun criterio di rispetto per l'epoca alla quale si riferiscono i fatti narrati.
Di questo criterio sono un esempio gli Atti di questi due Santi. Il testo dovette essere compilato nel primo quarto del sec. XIII, quando si trovò il loro sarcofago demolendo la chiesa del Salvatore per ricostruirla: era dietro una lastra di pietra, ora frantumata dagli eventi bellici del 1943-1944, lavorata sicuramente nel sec. VI. Il ritrovamento avvenne tra il 1213 ed il 1224. Sul coperchio del sarcofago, piccolo perché soltanto usato come contenitore di resti ossei, oggi si leggono 'queste parole: [+ Peregrini et Flavia]ni S(anctorum) Mar(tyrum) / [ c (orpara) qui X]II K(a)L(endas) JUN(ias) AN(no) / [ a Christo n]ATO D PASSI SU(n)T / [cum s(anctorum)] INOCE(n)TIU(m) RE(liquiis) / [hu]C TRANSLAta +; le parti mancanti si leggevano agevolmente sino al 1943 e ne esistono diverse trascrizioni; così pure dell'iscrizione sulla lastra, incisa a caratteri gotici, che ricordava come: Su(btus) lapide isto cor[pora sanctorum inve]nta fuerunt s[ub anno Domini MCCXXIIII temporibus / Honorii papae et domini Federici imperatoris e]t domini G(erardi) [anconitani] episcopi [d]ie II [intra]nte mense ma[ dio] indictione [XII] / + [A D D in ecclesia i]sta requiescunt [ cor] pora sanctorum martyrum P[eteg]ri[ni Ercutani atque]Frabian[i], trascritta senza le abbreviazioni e come si leggeva prima della frantumazione.
Gli Atti ricordano che Pellegrino e Flaviano predicarono in Ancona, distrussero il tempio di Giove ed al suo posto eressero quello del Salvatore, conseguendo, per queste iniziative, la condanna a morte al tempo di Diocleziano. E' evidente che chi compilò gli Atti attorno al 1224 raccolse le notizie della tradizione sulla predicazione in Ancona da parte dei due martiri e sulla costruzione di un tempio dedicato al Salvatore al posto di un tempio pagano. Ma il titolo del Salvatore è tipicamente longobardo e costoro furono presenti in Ancona nel sec. VIII.
Non tenne conto della data del 21 maggio 500, che pure avrebbe dovuto essere presente in qualche altro documento, tanto da essere poi incisa sul coperchio del sarcofago. La comparazione con gli Atti di martiri omonimi, S. Pellegrino di Auxerre in particolare, dimostra che il compilatore si servì proprio delle notizie di questo Santo, adottando anche la data in cui questi subì il martirio al tempo di papa Sisto I, il 16 maggio, a Roma, dopo esser tornato dalla Gallia, inviato colà dal papa a predicare il Vangelo.
Altra incongruità è quella di aver distrutto un tempio pagano e costruito contemporaneamente, al suo posto, una chiesa cristiana. Finalmente, benché sull'iscrizione del sarcofago non lo indichi, è considerato diacono. Come si può ritrovare un filo conduttore? Sulla base dell'iscrizione, dell'epoca della lastra sotto la quale fu trovato il sarcofago e di una iscrizione trovata a Rimini risalente al sec. VII-VIII, che ricorda la consacrazione d'un altare colà eseguita da Natale, vescovo di Ancona, con le reliquie di S. Pellegrino, si può fissare con qualche certezza che i santi martiri Pellegrino e Flaviano furono uccisi il 21 maggio 500; che le loro reliquie furono deposte, in un secondo tempo, in una chiesa che viene dedicata al Salvatore (sec. VII-VIII, al tempo della presenza longobarda in Ancona) dopo essere stata rinnovata; che questa chiesa doveva già esistere, quindi di epoca paleocristiana, costruita con criteri di arte ravennate, o ricavata da un preesistente tempio pagano che poteva benissimo essere stato dedicato a Giove, in quanto ubicato sull'area del foro della città romana. Il resto è leggenda. Una dimostrazione indiretta, pericolosa in quanto fondata sul silenzio, è la mancanza dei loro nomi nel martirologio cosiddetto geronimiano che si attribuisce al sec. V dove è invece ricordata la memoria di S. Stefano in Ancona. Per quanto riguarda l’ammissibilità di una particolare situazione locale dove si agitavano questioni dottrinali, si può far riferimento alla lettera di papa Gelasio, scritta ai vescovi piceni nel 496, con la quale rimprovera i presuli di essere troppo indulgenti verso l’eresia pelagiana, nominando in particolare quelli di Ancona, Cluentum e Potentia
Tratto
da
Le prime notizie sulla vita cristiana
di Ancona si riferiscono alla memoria di Santo Stefano della quale parla
Sant’Agostino in uno dei suoi scritti, mentre da San Gregorio Magno si ha la
notizia che anche la prima cattedrale di Ancona era dedicata a questo santo.
Un’antica tradizione vuole che le spoglie di San Ciriaco furono trasferite da Gerusalemme, dove il santo aveva subito il martirio, e sepolte nel corso del IV secolo nella cattedrale di Santo Stefano e da qui trasferite nella cattedrale attuale nel corso del X secolo. Scavi effettuati nella cattedrale nel 1979 per ordine del vescovo Carlo Maccari hanno dato credito a questa tradizione.
Le reliquie dei martiri Pellegrino e Flaviano sono conservate nella chiesa di San Pellegrino e San Filippo Neri, mentre quelle delle martiri Palazia e Laurenzia sono conservate nella cattedrale.
Un’antica tradizione vuole che le spoglie di San Ciriaco furono trasferite da Gerusalemme, dove il santo aveva subito il martirio, e sepolte nel corso del IV secolo nella cattedrale di Santo Stefano e da qui trasferite nella cattedrale attuale nel corso del X secolo. Scavi effettuati nella cattedrale nel 1979 per ordine del vescovo Carlo Maccari hanno dato credito a questa tradizione.
Le reliquie dei martiri Pellegrino e Flaviano sono conservate nella chiesa di San Pellegrino e San Filippo Neri, mentre quelle delle martiri Palazia e Laurenzia sono conservate nella cattedrale.
Santa
Musa vergine a Roma
Tratto
da
testo
inglese tradotto da Joseph Giovanni
Fumusa
San Musa
visse durante il V secolo. Si distinse per la sua vita pura. San Gregorio il
Dialogo incluse la sua storia nei suoi Dialoghi (Libro IV, Cap. 17),
dicendo di aver udito queste dal fratello di Musa, Probo.
Di seguito è
il racconto di San Gregorio sulla visione della Theotokos da parte della
giovane Santa Musa, e la sua partenza da questa vita e preparandosi a trovarsi
in compagnia delle vergini assieme alla Vergine Maria.
Né va dimenticato ciò, cui il succitato servo
di Dio, di nome Probo, usava dire di una sua sorella minore, chiamata Musa.
Disse che una notte la beata nostra Signora le apparve in visione mostrandole
diverse giovani donne della sua età, tutte rivestite di bianco, la cui
compagnia tanto desiderava. Non osando ancora avvicinarsi ad esse, la Beata
Vergine le chiese se avesse intenzione di rimanere con esse e di vivere al Suo
servizio: a questo rispose accettando di buon grado. Indi la beata Signora le
diede un compito: di non comportarsi alla leggera/in maniera disinvolta, e di
non vivere più come le altre ragazze, di astenersi dal ridere e dallo svago e
le disse che, trenta giorni dopo sarebbe stata al Suo servizio, tra quelle
vergini che aveva visto.
In seguito a questa visione, la giovane
rinunciò a tutta la sua precedente condotta, e con gravità riformò la levità
della sua infanzia. Ciò fu percepito dai genitori che le domandarono donde
giungesse tale cambiamento; rispose loro che era stata la beata Madre di Dio a
darle un comandamento e che a partire da un tale giorno sarebbe entrata al Suo
servizio.
Venticinque
giorni dopo, cadde malata d’una febbre; al trentesimo giorno, quando
giunse l’ora della sua partenza, vide venire verso di lei la nostra beata
Signora, accompagnata da quelle vergine ch’ella aveva visto precedentemente
nella visione, chiedendole di venir via. Essa rispose con gli occhi
modestamente rivolti in basso enunciando distintamente: “Ecco che arrivo,
Signora santa! Ecco, Signora santa, arrivo!” Proferendo queste parole, spirò; e
la sua anima lasciò il suo virgineo corpo per dimorare per sempre con le sante
vergini nel Paradiso.
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