martedì 29 maggio 2018

29 Maggio Santi italici ed Italo greci


Sinassario Santi italici ed italo greci per 29         Maggio
Santo Restituto martire a Roma sotto Diocleziano
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91726
Il Martirologio Geronimiano lo ricorda in giorni diversi: il 27 maggio senza alcuna indicazione topografica, il 29 maggio sulla via Aurelia e l'11 giugno al VII miglio della via Nomentana. La seconda commemorazione fu accettata dai martirologi storici (Floro, Adone, Usuardo) e quindi è passata anche nel Romano, ma con molta probabilità il vero dies natalis dovette essere il 27 maggio, mentre il suo sepolcro si trovava, come attesta la passio, al XVI miglio della via Nomentana, dove il Bosio vide, nei pressi di Eretum (odierna Monterotondo) i ruderi della chiesa dedicata in suo onore e la cripta in cui era stato custodito il suo sepolcro.
Se la passio infatti non è storicamente attendibile per quanto riguarda le notizie biografiche del santo , e invece degna di fede per le coordinate, essendo stata composta, secondo il giudizio del Lanzoni, nel sec. V-VI, in un tempo cioè in cui era molto difficile travisare o inventare quei dati, indispensabili per il culto e che potevano essere facilmente controllati e giudicati.
Secondo la passio dunque Restituto fu arrestato a Roma durante la persecuzione di Diocleziano perché predicava contro gli dèi e tradotto al tribunale dei preside Ermogene; invitato a sacrificare si rifiutò, fu colpito perciò con pietre e flagellato. Rinchiuso in carcere, ottenne da Dio, con le sue preghiere, un terremoto che divelse le porte e permise a tutti gli altri carcerati di fuggire. Ricondotto al tribunale, rifiutò ancora una volta di sacrificare a Giove Capitolino; Ermogene comandò allora che fosse decapitato ed il suo corpo gettato presso l'arco di Settimio Severo. La matrona Giusta lo raccolse,, lo nascose nella sua casa e poi lo seppellì in un suo campo, sulla via Nomentana "in milliario decimo sexto... in crypta in inferioribus... sub die sexto Kalendas iunias".
Nei mss. più antichi (Farfa dei secc. IX-X; Vatic. 1195 del sec. XI; Archivio di S. Maria Maggiore del sec. XII; cf. A. Poncelet, Catalogus codicum bagiographicorum latinorum bibliotbecarum romanarum, Bruxelles 1909, pp. 84, n. 61; 121, n. 33; id., Catatogus codicum bagiograpbicorum latinorum Bibliotbecae Vaticanae, Bruxelles 1910, Paul-Trois-Chateaux. p. 57, n. 45), il racconto finisce qui, ma a partire dal sec. XII, in alcuni codici (Vatic. 1191 e 1196, cf. A. Poncelet, Op. cit., pp. 43, n. 17; 62, n. 48) si aggiunge che al tempo del papa Adriano (si tratta evidentemente di Adriano IV [1154-591) il corpo di R. fu trasferito a Roma nella chiesa di S. Andrea in Aurísario, cioè nella chiesa detta anche di S. Andrea in catabarbara, che sorgeva nei pressi di S. Maria Maggiore, le cui vestigia furono ritrovate nel 1930, quando fu costruito l'edificio per il Pontificio Seminario Orientale (cf. Rivista di Archeol. Crist., IX [19321, pp. 221-55).
In conclusione possiamo dire che Restituto è un martire autentico di Monterotondo, ivi venerato fino al Medioevo, ma del quale non si hanno notizie storicamente attendibili.



TRATTO da
http://www.papaboys.org/san-restituto-martire-di-roma-un-santo-dimenticato/

Non tutti sanno che oggi, 29 maggio, ricorre la memoria liturgica di un Martire Pseudo-Tebeo venerato fino al Medioevo: San Restituto. Sulla sua persona mancano notizie storicamente attendibili; l’unica fonte che ne parla è la Passio Sancti Restituti Martyris, composta da un autore anonimo tra il V e il VI sec d.C. e riportata negli Acta Sanctorum alla data del 29 maggio. Il più antico catalogo dei martiri, il Martirologio Geronimiano, lo ricorda in date diverse: il 27 maggio, il 29 maggio e l’11 giugno. Tuttavia sia il Martirologio storico che il Martirologio Romano accolsero la data del 29 maggio assieme all’ubicazione della sepoltura sulla via Aurelia, ma con molta probabilità il vero dies natalis di San Restituto dovette cadere nella data del 27 maggio.

Ma chi fu San Restituto? La succitata Passio ci dice che Restituto (il cui nome significa “rinnovato nella fede e ricondotto alla salvezza tramite il Battesimo”) era un giovane nobile originario di Eretum, l’attuale Monterotondo (Roma), e lo descrive come un ragazzo saggio e raffinato catturato quando erano imperatori Diocleziano ed il suo cesare Massimiano. Il periodo in cui si svolse la sua esistenza è il III sec d.C., un’epoca complessa particolarmente difficile per la fede cristiana. La fine della dinastia militare dei Severi aveva infatti causato una profonda crisi politica nello Stato romano, anche se la vera crisi dell’Età Tardoantica non fu tanto lo sconvolgimento dell’assetto politico, ma soprattutto la crisi spirituale, non essendo in grado la religione pagana di dare risposte all’uomo del tempo circa le domande fondamentali sul senso della vita. Il clima di smarrimento aveva quindi agevolato il diffondersi di culti e religioni orientali, ricche di superstizioni. Tra i vari culti, si era pertanto diffusa anche la religione cristiana, con la sua fede in un unico Dio, la speranza di una vita dopo la morte ed il suo messaggio di fratellanza. In questo clima di smarrimento esistenziale, per il processo di evangelizzazione determinante fu la vicenda della leggendaria Legione Tebea, una legione proveniente da Tebe di Egitto e composta da uomini convertitisi segretamente al Cristianesimo. Di questa legione faceva parte anche San Restituto. Chiamata dall’Egitto per volere dell’Imperatore Massimiano al fine di sedare la rivolta dei Bagaudi (popolazioni barbariche che popolavano il territorio dell’attuale Francia), la legione si rifiutò di onorare il culto dell’Imperatore Diocleziano, venerato come dio, e trovò la morte nel massacro di Agauno (Valle D’Aosta). Le fonti antiche successive alla Passio di Eucherio di Lione parlarono tuttavia di Martiri Tebei (cioè quelli che caddero nel massacro di Agauno) e Pseudo-Tebei (ossia coloro che riuscirono a scappare dal massacro di Agauno e continuarono l’opera evangelizzatrice subendo il martirio nei luoghi dove giunsero).
La Passio di Restituto narra infatti che Restituto, scampato dal massacro di Agauno, continuò a professare la religione cristiana a Roma, predicando contro gli dèi pagani. Per questo fu arrestato e, in quanto cittadino romano, condotto in tribunale davanti al prefetto Ermogene. Invitato dal prefetto a compiere sacrifici agli dèi pagani per evitare di andare incontro ad atroci punizioni, Restituto rifiutò di seguire il comando, mettendo così a gioco la propria vita per testimoniare il suo Credo
Interessante è leggere proprio tutto lo svolgimento del suo processo, nonché il racconto dell’esperienza della sua prigionia e dei tentativi di Ermogene di fargli rinnegare la sua fede attraverso la promessa di una grande carriera nell’esercito. Restituto fu però saldo nella fede e, per questo, sottoposto a torture durissime: Ermogene comandò infatti ai soldati finanche di spezzargli le mascelle a colpi di pietre, oltre che di percuoterlo con sferze, e palle di piombo.
Bellissima è quindi l’immagine che appare di San Restituto durante queste torture, che il giovane affronta sorridente e gioioso perché avverte accanto a sé la presenza del Signore.
Rinchiuso in carcere, Restituto compie addirittura un miracolo: in lacrime ed incatenato, si rivolge al Signore offrendo se stesso in cambio della libertà di tutti gli altri prigionieri. Dio accoglie la sua preghiera attraverso il susseguirsi di una serie di eventi prodigiosi, come un terremoto nel carcere, il brillare di una grande luce ed il diffondersi di un odore soave. Informato dai soldati l’accaduto, Ermogene accusò così San Restituto di compiere malefici e, dinanzi all’ennesimo rifiuto del giovane di rinnegare la fede cristiana, lo condannò alla pena capitale per decapitazione.

Le fonti raccontano al riguardo che la decapitazione di San Restituto avvenne fuori del Campidoglio e che il suo corpo venne gettato presso l’arco di Settimio Severo, nei pressi del Colosseo, perché fosse divorato dai cani. Dalle fonti apprendiamo altresì che una Matrona di nome Giusta raccolse il corpo del giovane martire, lo nascose nella sua casa e gli diede una degna sepoltura in un campo di suo possesso ubicato sulla via Nomentana. La donna avvertì dunque anche Stefano, il vescovo del luogo, il quale accolse le spoglie mortali con tutto il clero ed il popolo della città. Il corteo funebre ebbe luogo nel foro con inni e lodi ed il corpo di San Restituto fu sepolto in un cimitero sotterraneo, divenendo subito mèta di grandi pellegrinaggi da parte di malati che speravano di ottenere una guarigione miracolosa per intercessione del Santo.
In merito, interessante è lo studio condotto dal prof. Vincenzo Fiocchi Nicolai circa la catacomba di San Restituto a Monterotondo, rinvenuta proprio grazie alle indicazioni riportate dalle fonti e contenute nella monografia dal titolo “Roma Sotterranea”, redatta agli inizi del 1600 dall’archeologo maltese Antonio Bosio, il quale precisò che il monumento era stato nascosto agli studiosi perché gli ingressi erano stati murati. Fino al 1600 viene infatti attestato che la catacomba di San Restituto fosse accessibile, come risulta da numerosi atti notarili di compravendita stipulati per la costruzione del vicino convento dei padri cappuccini. Dagli atti di una visita pastorale del 1700 risulta anche che ci fosse una chiesa dedicata a San Restituto di
origini molto antiche, successivamente inglobata nella villa Cecconi in Monterotondo nel 1700.
Il culto di San Restituto, nato nel III sec d.C., dovette avere pertanto diffusione probabilmente sino al 1800. Tale culto era stato molto comune in passato grazie alla tradizione religiosa locale dei territori del Lazio e dell’Italia Settentrionale, anche se non mancano tracce di devozione nell’Italia Meridionale.

 

Santi SISINNIO, MARTIRIO e ALESSANDRO, martiri forse originari della Cappadocia missionari e martiri in Trentino e in Tirolo (verso il 397)

Tratto dal  quotidiano Avvenire

I tre martiri trentini arrivavano dalla Cappadocia, furono martirizzati in Trentino. Sono Alessandro (ostiario), Sisinnio (diacono) e Martirio (lettore), ancora venerati a Trento. Vissuti nel IV secolo, i tre fanno parte della schiera di evangelizzatori giunti dalle comunità cristiane del Mediterraneo per diffondere il Vangelo in quella penisola che era un ponte naturale verso il continente. L'Italia cristiana deve la sua fede anche a santi come loro: inviati dal vescovo di Milano Ambrogio a quello di Trento Vigilio, furono arsi vivi davanti all'altare del dio Saturno. Le loro reliquie nel '97, a 1600 anni dal martirio, hanno girato le parrocchie della diocesi di Trento.



Martirologio Romano: In Val di Non nel Trentino, santi martiri Sisinio, diacono, Martirio, lettore, e Alessandro, ostiario: cappadoci di origine, fondarono in questa regione una chiesa e introdussero l’uso dei cantici di lode al Signore, finendo poi uccisi da alcuni pagani che stavano offrendo sacrifici di purificazione

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/55020
Antichissimo è nel Trentino il culto dei primi evangelizzatori e martiri: il diacono Sisinio, il lettore Martirio e suo fratello Alessandro, ostiario. La loro esistenza pare essere storicamente certa: troviamo infatti loro riferimenti nelle lettere di San Vigilio, vescovo di Trento, e negli scritti di Sant’Agostino e di San Massimo di Torino.
Sant’Ambrogio, celebre vescovo milanese, li aveva vivamente raccomandati a Vigilio, che al momento nella sua diocesi aveva scarsità di pastori. Questi incaricò i tre missionari di evangelizzare le Alpi Tirolesi ed in particolare la Val di Non. Naturalmente incontrarono non poche opposizioni alla loro opera, ma nonostante ciò riuscirono a guadagnare non poche persone alla fede in Cristo. Sisinnio in particolare promosse l’edificazione di una chiesa presso Methon (Medol).
E’ facile immaginare come i pagani del luogo fossero sempre più adirati per l’adesione di copiose folle alla dottrina cristiana, sottratte così all’adorazione del dio Saturno. Tentarono allora di convincere i neo-convertiti al cristianesimo a partecipare a cerimonie politeiste, riscontrando però un netto rifiuto. Sisinio Martirio ed Alessandro, ritenuti responsabili dell’imbonimento della popolazione locale, furono assaliti nella loro chiesa e malmenati violentemente. Il primo morì subito dopo l’aggressione, mentre i due fratelli vennero arsi insieme dinnanzi all’altare del dio Saturno, usando a tal fine i legni della loro stessa chiesa distrutta. Era il 29 maggio 397 e la tradizione popolare ritiene quale scena del martirio la chiesa di San Zeno in Val di Non.
Le loro ceneri furono traslate a Trento per volontà dei fedeli, mentre sul luogo del martirio venne eretta una chiesa in memoria. Nel 1997, nel 1600° anniversario della loro morte, le loro reliquie hanno visitato in pellegrinaggio tutte le parrocchie del Trentino. Oggi il quadro che li raffigura, abitualmente custodito nel museo Diocesano, è esposto nella piccola abside della cattedrale di Trento.

Nel IV secolo d.C., attirati dalla popolarità e dal prestigio del vescovo Ambrogio, dalla Cappadocia, in Turchia,  si trasferirono a Milano tre uomini desiderosi di apprendere di più sulla fede cristiana, Sisinio, Martirio e Alessandro. Essi furono istruiti per l’appunto da sant’Ambrogio nella fede di Cristo Gesù e così presero ad amarla appassionatamente e a professarla con grande ardimento e risolutezza. San Vigilio, vescovo di Trento, conosciuti i tre giovani, espresse il desiderio di averli come suoi collaboratori missionari e Ambrogio, che li conosceva assai bene, accondiscese all’appello di Vigilio. Questi, quindi, ordinò Sisinio, il più grande dei tre, diacono, Martirio lettore ed Alessandro ostiario e li mandò ad evangelizzare la valle Anaunia (l’attuale Val di Non). In quel periodo storico, l’Anaunia, regione prevalentemente pagana,  godeva di grande prosperità economica, grazie alle molteplici attività produttive sviluppatesi intorno a un frequentatissimo tempio dedicato al dio Saturno. Proprio in quel luogo i tre incontrarono il martirio il 29 maggio dell’anno 397, durante una festa pagana, con un rito, detto degli Ambarvali, che i romani erano soliti celebrare verso la fine di maggio, in onore della dea Cerere, per propiziare la fertilità dei campi. Probabilmente, più che per la difesa della vigente religione, i tre martiri furono uccisi crudelmente a causa dell’avvertita minaccia degli interessi economici delle popolazioni del luogo. San Simpliciano, successore di sant’Ambrogio, chiese a San Vigilio di poter portare a Milano le preziose reliquie dei tre martiri e, avendole ottenute, le depose nella sua Basilica. Altre reliquie di Sisinio, Martirio e Alessandro vennero inviate a San Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli, che udita la fama dei tre martiri, volle averne testimonianza per ravvivare la fede della sua gente.
Sul luogo del martirio, l’attuale Sanzeno,  fu edificata, successivamente,  una Basilica dedicata ai tre santi martiri. La costruzione attuale, retta da francescani insieme al vicino eremo di san Romedio, risale al XV secolo, con rifacimenti e arricchimenti successivi, ma si conservano vestigia della chiesa costruita precedentemente all’anno 1000 e un imponente campanile romanico.
Oltre che a Milano e a Costantinopoli, san Vigilio inviò altre reliquie al vescovo di Brescia, san Gaudenzio, come apprendiamo da un suo sermone. Anche Ravenna possiede reliquie dei Martiri Anauniensi, nell’altare della chiesa di Sant’Andrea e di questo ne parla san Venanzio Fortunato. Ne ritroviamo anche in San Giorgio a Verona, in san Martino ai Monti e santa Caterina de’ Funari a Roma, nell’abbazia benedettina di Saint Riquier, nella diocesi di Amiens, donate addirittura da Carlo Magno, insieme alle reliquie di san Vigilio e san Simpliciano.
Soltanto nel 1927, la Basilica milanese di san Simpliciano concesse di restituire alcune reliquie dei tre Martiri alla Basilica di Sanzeno, riunite in un antico e prezioso reliquiario.
Lo stesso nome di Sanzeno, è una corruzione semantica di “San Sisinio”, nome che la borgata assunse fin dal VII secolo d.C.
Raramente nella Chiesa dei primi secoli, la storia di un martirio e dello stile evangelizzatore dei primi missionari cristiani, sono stati così abbondantemente documentati come nel caso dei santi Martiri Sisinio, Martirio e Alessandro.


Prima della loro morte fondarono una chiesa presso il monte Medolo. Nella chiesa vennero cantati gli inni evangelici di lode e ringraziamento al Signore e questo scatenò l'ira dei pagani del luogo che, in quel momento, stavano compiendo riti e offerte ai loro dei durante una festa, che si svolgeva solitamente a fine maggio, per propiziare la fertilità dei campi. I pagani tentarono in tutti i modi di coinvolgere nei loro riti alcuni neo convertiti e i cristiani che si rifiutarono categoricamente. In preda alla rabbia raggiunsero in chiesa i tre ritenuti responsabili dell'offesa al dio Saturno. Gli aggressori pagani distrussero la chiesa e malmenarono brutalmente i tre chierici. L'aggressione causò la morte immediata di Sisinnio. Martirio fu raggiunto e ucciso in un orto dove si rifugiò in preghiera. Ad Alessandro fu data la possibilità di abiurare alla sua fede, ma egli rifiutò restando ben saldo alla sua fede in Cristo. I corpi di Sisinnio, Alessandro e Martirio furono bruciati senza alcuna pietà usando i resti legnosi della chiesa appena rasa al suolo.

Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/a/anauniensi.htm
Sisinio, Martirio e Alessandro erano nati in Cappadocia e, ancora giovinetti nel IV secolo vennero mandati a Milano per essere istruiti nella fede dal vescovo sant'Ambrogio. Attratti dall'ideale missionario furono inviati al vescovo di Trento, san Vigilio che li destinò nel 387 ad evangelizzare l'antica regione dell'Anaunia, l'odierna Valle di Non. Dopo dieci anni a servizio della gente della valle, il 29 maggio del 397, furono trucidati in un rito, detto degli Ambarvali, durante una festa pagana di carattere agreste nella località di Mecla, oggi Sanzeno. Nella località è stata eretta una basilica a loro dedicata. Le reliquie dei tre martiri furono successivamente trasferite a Milano e custodite nella chiesa di San Simpliciano. A Sisinio, Martirio e Alessandro è legata una leggenda popolare, nata anche dalla coincidenza della loro morte con la battaglia di Legnano nel 1176. All'intercessione dei Santi Martiri le genti lombarde attribuiscono la vittoria di Legnano. Si narra infatti che nel giorno dello scontro tra le milizie milanesi e quelle del Barbarossa, tre colombe uscirono dalla chiesa di San Simpliciano, dove erano custodite le loro reliquie, e andarono a posarsi sulla croce del Carroccio rimanendovi fino al termine della battaglia.

Consultare anche
https://www.contradalegnarello.it/la-contrada/i-santi-protettori-sisinnio-martirio-e-alessandro/









Santo Massimo Vescovo di Verona (probabilmente nel VI secolo )
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/55050

La storicità di Massimo vescovo di Verona è alquanto difficile da stabilire, probabilmente è esistito nel IV secolo. Esso è ricordato in un Martirologio della Chiesa veronese del secolo XVI e nel ‘Martirologio Romano’ al 29 maggio, chiamandolo prelato di esimia dottrina e di specchiata virtù.
Ma il nome di Massimo vescovo, però non è nel ‘Velo di Classe’ del secolo VIII, autorevole e genuino elenco degli antichi vescovi veronesi.
In favore della sua esistenza, sta l’antica memoria e il relativo culto, documentato anche dall’invocazione in due litanie veronesi dei secoli XI e XII.
La coincidenza della celebrazione liturgica di san Massimo vescovo di Verona, il 29 maggio, con quella dell’omonimo vescovo di Emona (Cittanova d’Istria), che era presente al sinodo di Aquileia del 381, convinse gli studiosi veronesi a parlare di una traslazione di reliquie di Massimo, da Verona ad Emona.
Anche in questa antica città la venerazione per s. Massimo, data dal 1146 e le su citate litanie veronesi, coincidono con il culto datogli ad Emona.
Decenni prima dell’anno 1000, esisteva fuori dalle mura della città di Verona, una chiesa dedicata a s. Massimo vescovo, che fu distrutta durante le invasioni degli Ungari e poi ricostruita sotto il vescovo Milone nel 981. Questa chiesa, divenuta anche parrocchia nel 1459, fu poi demolita nel 1518 a causa dell’abbattimento di tutte le costruzioni vicine alla cinta muraria, distanti fino ad un miglio tutto intorno, cinta eretta dai veneziani, per motivi di difesa.
Il nome di s. Massimo passò poi al borgo sorto ad ovest della basilica di S. Zeno e alla chiesa lì eretta.

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