Sinassario
Santi italici ed italo greci per 29 Maggio
Santo
Restituto martire a Roma sotto Diocleziano
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91726
Il Martirologio Geronimiano lo ricorda in giorni diversi: il
27 maggio senza alcuna indicazione topografica, il 29 maggio sulla via Aurelia
e l'11 giugno al VII miglio della via Nomentana. La seconda commemorazione fu
accettata dai martirologi storici (Floro, Adone, Usuardo) e quindi è passata
anche nel Romano, ma con molta probabilità il vero dies natalis dovette essere
il 27 maggio, mentre il suo sepolcro si trovava, come attesta la passio, al XVI
miglio della via Nomentana, dove il Bosio vide, nei pressi di Eretum (odierna
Monterotondo) i ruderi della chiesa dedicata in suo onore e la cripta in cui
era stato custodito il suo sepolcro.
Se la passio infatti non è storicamente attendibile per quanto riguarda le notizie biografiche del santo , e invece degna di fede per le coordinate, essendo stata composta, secondo il giudizio del Lanzoni, nel sec. V-VI, in un tempo cioè in cui era molto difficile travisare o inventare quei dati, indispensabili per il culto e che potevano essere facilmente controllati e giudicati.
Secondo la passio dunque Restituto fu arrestato a Roma durante la persecuzione di Diocleziano perché predicava contro gli dèi e tradotto al tribunale dei preside Ermogene; invitato a sacrificare si rifiutò, fu colpito perciò con pietre e flagellato. Rinchiuso in carcere, ottenne da Dio, con le sue preghiere, un terremoto che divelse le porte e permise a tutti gli altri carcerati di fuggire. Ricondotto al tribunale, rifiutò ancora una volta di sacrificare a Giove Capitolino; Ermogene comandò allora che fosse decapitato ed il suo corpo gettato presso l'arco di Settimio Severo. La matrona Giusta lo raccolse,, lo nascose nella sua casa e poi lo seppellì in un suo campo, sulla via Nomentana "in milliario decimo sexto... in crypta in inferioribus... sub die sexto Kalendas iunias".
Nei mss. più antichi (Farfa dei secc. IX-X; Vatic. 1195 del sec. XI; Archivio di S. Maria Maggiore del sec. XII; cf. A. Poncelet, Catalogus codicum bagiographicorum latinorum bibliotbecarum romanarum, Bruxelles 1909, pp. 84, n. 61; 121, n. 33; id., Catatogus codicum bagiograpbicorum latinorum Bibliotbecae Vaticanae, Bruxelles 1910, Paul-Trois-Chateaux. p. 57, n. 45), il racconto finisce qui, ma a partire dal sec. XII, in alcuni codici (Vatic. 1191 e 1196, cf. A. Poncelet, Op. cit., pp. 43, n. 17; 62, n. 48) si aggiunge che al tempo del papa Adriano (si tratta evidentemente di Adriano IV [1154-591) il corpo di R. fu trasferito a Roma nella chiesa di S. Andrea in Aurísario, cioè nella chiesa detta anche di S. Andrea in catabarbara, che sorgeva nei pressi di S. Maria Maggiore, le cui vestigia furono ritrovate nel 1930, quando fu costruito l'edificio per il Pontificio Seminario Orientale (cf. Rivista di Archeol. Crist., IX [19321, pp. 221-55).
In conclusione possiamo dire che Restituto è un martire autentico di Monterotondo, ivi venerato fino al Medioevo, ma del quale non si hanno notizie storicamente attendibili.
Se la passio infatti non è storicamente attendibile per quanto riguarda le notizie biografiche del santo , e invece degna di fede per le coordinate, essendo stata composta, secondo il giudizio del Lanzoni, nel sec. V-VI, in un tempo cioè in cui era molto difficile travisare o inventare quei dati, indispensabili per il culto e che potevano essere facilmente controllati e giudicati.
Secondo la passio dunque Restituto fu arrestato a Roma durante la persecuzione di Diocleziano perché predicava contro gli dèi e tradotto al tribunale dei preside Ermogene; invitato a sacrificare si rifiutò, fu colpito perciò con pietre e flagellato. Rinchiuso in carcere, ottenne da Dio, con le sue preghiere, un terremoto che divelse le porte e permise a tutti gli altri carcerati di fuggire. Ricondotto al tribunale, rifiutò ancora una volta di sacrificare a Giove Capitolino; Ermogene comandò allora che fosse decapitato ed il suo corpo gettato presso l'arco di Settimio Severo. La matrona Giusta lo raccolse,, lo nascose nella sua casa e poi lo seppellì in un suo campo, sulla via Nomentana "in milliario decimo sexto... in crypta in inferioribus... sub die sexto Kalendas iunias".
Nei mss. più antichi (Farfa dei secc. IX-X; Vatic. 1195 del sec. XI; Archivio di S. Maria Maggiore del sec. XII; cf. A. Poncelet, Catalogus codicum bagiographicorum latinorum bibliotbecarum romanarum, Bruxelles 1909, pp. 84, n. 61; 121, n. 33; id., Catatogus codicum bagiograpbicorum latinorum Bibliotbecae Vaticanae, Bruxelles 1910, Paul-Trois-Chateaux. p. 57, n. 45), il racconto finisce qui, ma a partire dal sec. XII, in alcuni codici (Vatic. 1191 e 1196, cf. A. Poncelet, Op. cit., pp. 43, n. 17; 62, n. 48) si aggiunge che al tempo del papa Adriano (si tratta evidentemente di Adriano IV [1154-591) il corpo di R. fu trasferito a Roma nella chiesa di S. Andrea in Aurísario, cioè nella chiesa detta anche di S. Andrea in catabarbara, che sorgeva nei pressi di S. Maria Maggiore, le cui vestigia furono ritrovate nel 1930, quando fu costruito l'edificio per il Pontificio Seminario Orientale (cf. Rivista di Archeol. Crist., IX [19321, pp. 221-55).
In conclusione possiamo dire che Restituto è un martire autentico di Monterotondo, ivi venerato fino al Medioevo, ma del quale non si hanno notizie storicamente attendibili.
TRATTO da
http://www.papaboys.org/san-restituto-martire-di-roma-un-santo-dimenticato/
Non tutti sanno che oggi, 29 maggio, ricorre
la memoria liturgica di un Martire Pseudo-Tebeo venerato fino al Medioevo: San
Restituto. Sulla sua persona mancano notizie storicamente attendibili; l’unica
fonte che ne parla è la Passio Sancti Restituti Martyris, composta da un autore
anonimo tra il V e il VI sec d.C. e riportata negli Acta Sanctorum alla data
del 29 maggio. Il più antico catalogo dei martiri, il Martirologio Geronimiano,
lo ricorda in date diverse: il 27 maggio, il 29 maggio e l’11 giugno. Tuttavia
sia il Martirologio storico che il Martirologio Romano accolsero la data del 29
maggio assieme all’ubicazione della sepoltura sulla via Aurelia, ma con molta
probabilità il vero dies natalis di San Restituto dovette cadere nella data del
27 maggio.
Ma chi fu San Restituto? La succitata
Passio ci dice che Restituto (il cui nome significa “rinnovato nella fede e
ricondotto alla salvezza tramite il Battesimo”) era un giovane nobile
originario di Eretum, l’attuale Monterotondo (Roma), e lo descrive come un
ragazzo saggio e raffinato catturato quando erano imperatori Diocleziano ed il
suo cesare Massimiano. Il periodo in cui si svolse la sua esistenza è il III
sec d.C., un’epoca complessa particolarmente difficile per la fede cristiana.
La fine della dinastia militare dei Severi aveva infatti causato una profonda
crisi politica nello Stato romano, anche se la vera crisi dell’Età Tardoantica
non fu tanto lo sconvolgimento dell’assetto politico, ma soprattutto la crisi
spirituale, non essendo in grado la religione pagana di dare risposte all’uomo
del tempo circa le domande fondamentali sul senso della vita. Il clima di
smarrimento aveva quindi agevolato il diffondersi di culti e religioni
orientali, ricche di superstizioni. Tra i vari culti, si era pertanto diffusa
anche la religione cristiana, con la sua fede in un unico Dio, la speranza di
una vita dopo la morte ed il suo messaggio di fratellanza. In questo clima di
smarrimento esistenziale, per il processo di evangelizzazione determinante fu
la vicenda della leggendaria Legione Tebea, una legione proveniente da Tebe di
Egitto e composta da uomini convertitisi segretamente al Cristianesimo. Di
questa legione faceva parte anche San Restituto. Chiamata dall’Egitto per
volere dell’Imperatore Massimiano al fine di sedare la rivolta dei Bagaudi
(popolazioni barbariche che popolavano il territorio dell’attuale Francia), la
legione si rifiutò di onorare il culto dell’Imperatore Diocleziano, venerato
come dio, e trovò la morte nel massacro di Agauno (Valle D’Aosta). Le fonti
antiche successive alla Passio di Eucherio di Lione parlarono tuttavia di
Martiri Tebei (cioè quelli che caddero nel massacro di Agauno) e Pseudo-Tebei
(ossia coloro che riuscirono a scappare dal massacro di Agauno e continuarono
l’opera evangelizzatrice subendo il martirio nei luoghi dove giunsero).
La Passio di Restituto narra infatti
che Restituto, scampato dal massacro di Agauno, continuò a professare la
religione cristiana a Roma, predicando contro gli dèi pagani. Per questo fu
arrestato e, in quanto cittadino romano, condotto in tribunale davanti al
prefetto Ermogene. Invitato dal prefetto a compiere sacrifici agli dèi pagani
per evitare di andare incontro ad atroci punizioni, Restituto rifiutò di
seguire il comando, mettendo così a gioco la propria vita per testimoniare il
suo Credo
Interessante è leggere proprio tutto lo
svolgimento del suo processo, nonché il racconto dell’esperienza della sua
prigionia e dei tentativi di Ermogene di fargli rinnegare la sua fede
attraverso la promessa di una grande carriera nell’esercito. Restituto fu però
saldo nella fede e, per questo, sottoposto a torture durissime: Ermogene
comandò infatti ai soldati finanche di spezzargli le mascelle a colpi di
pietre, oltre che di percuoterlo con sferze, e palle di piombo.
Bellissima è quindi l’immagine che
appare di San Restituto durante queste torture, che il giovane affronta
sorridente e gioioso perché avverte accanto a sé la presenza del Signore.
Rinchiuso in carcere, Restituto compie
addirittura un miracolo: in lacrime ed incatenato, si rivolge al Signore
offrendo se stesso in cambio della libertà di tutti gli altri prigionieri. Dio
accoglie la sua preghiera attraverso il susseguirsi di una serie di eventi
prodigiosi, come un terremoto nel carcere, il brillare di una grande luce ed il
diffondersi di un odore soave. Informato dai soldati l’accaduto, Ermogene
accusò così San Restituto di compiere malefici e, dinanzi all’ennesimo rifiuto
del giovane di rinnegare la fede cristiana, lo condannò alla pena capitale per
decapitazione.
Le fonti raccontano al riguardo che la
decapitazione di San Restituto avvenne fuori del Campidoglio e che il suo corpo
venne gettato presso l’arco di Settimio Severo, nei pressi del Colosseo, perché
fosse divorato dai cani. Dalle fonti apprendiamo altresì che una Matrona di
nome Giusta raccolse il corpo del giovane martire, lo nascose nella sua casa e
gli diede una degna sepoltura in un campo di suo possesso ubicato sulla via
Nomentana. La donna avvertì dunque anche Stefano, il vescovo del luogo, il quale
accolse le spoglie mortali con tutto il clero ed il popolo della città. Il
corteo funebre ebbe luogo nel foro con inni e lodi ed il corpo di San Restituto
fu sepolto in un cimitero sotterraneo, divenendo subito mèta di grandi
pellegrinaggi da parte di malati che speravano di ottenere una guarigione
miracolosa per intercessione del Santo.
In merito, interessante è lo studio condotto dal prof. Vincenzo Fiocchi Nicolai circa la catacomba di San Restituto a Monterotondo, rinvenuta proprio grazie alle indicazioni riportate dalle fonti e contenute nella monografia dal titolo “Roma Sotterranea”, redatta agli inizi del 1600 dall’archeologo maltese Antonio Bosio, il quale precisò che il monumento era stato nascosto agli studiosi perché gli ingressi erano stati murati. Fino al 1600 viene infatti attestato che la catacomba di San Restituto fosse accessibile, come risulta da numerosi atti notarili di compravendita stipulati per la costruzione del vicino convento dei padri cappuccini. Dagli atti di una visita pastorale del 1700 risulta anche che ci fosse una chiesa dedicata a San Restituto di origini molto antiche, successivamente inglobata nella villa Cecconi in Monterotondo nel 1700.
In merito, interessante è lo studio condotto dal prof. Vincenzo Fiocchi Nicolai circa la catacomba di San Restituto a Monterotondo, rinvenuta proprio grazie alle indicazioni riportate dalle fonti e contenute nella monografia dal titolo “Roma Sotterranea”, redatta agli inizi del 1600 dall’archeologo maltese Antonio Bosio, il quale precisò che il monumento era stato nascosto agli studiosi perché gli ingressi erano stati murati. Fino al 1600 viene infatti attestato che la catacomba di San Restituto fosse accessibile, come risulta da numerosi atti notarili di compravendita stipulati per la costruzione del vicino convento dei padri cappuccini. Dagli atti di una visita pastorale del 1700 risulta anche che ci fosse una chiesa dedicata a San Restituto di origini molto antiche, successivamente inglobata nella villa Cecconi in Monterotondo nel 1700.
Il culto di San Restituto, nato nel III
sec d.C., dovette avere pertanto diffusione probabilmente sino al 1800. Tale
culto era stato molto comune in passato grazie alla tradizione religiosa locale
dei territori del Lazio e dell’Italia Settentrionale, anche se non mancano
tracce di devozione nell’Italia Meridionale.
Santi SISINNIO, MARTIRIO e ALESSANDRO,
martiri forse originari della Cappadocia missionari e martiri in Trentino e in
Tirolo (verso il 397)
Tratto
dal quotidiano Avvenire
I tre martiri trentini arrivavano dalla
Cappadocia, furono martirizzati in Trentino. Sono Alessandro (ostiario),
Sisinnio (diacono) e Martirio (lettore), ancora venerati a Trento. Vissuti nel
IV secolo, i tre fanno parte della schiera di evangelizzatori giunti dalle
comunità cristiane del Mediterraneo per diffondere il Vangelo in quella
penisola che era un ponte naturale verso il continente. L'Italia cristiana deve
la sua fede anche a santi come loro: inviati dal vescovo di Milano Ambrogio a
quello di Trento Vigilio, furono arsi vivi davanti all'altare del dio Saturno.
Le loro reliquie nel '97, a 1600 anni dal martirio, hanno girato le parrocchie
della diocesi di Trento.
Martirologio Romano: In Val di Non nel
Trentino, santi martiri Sisinio, diacono, Martirio, lettore, e Alessandro,
ostiario: cappadoci di origine, fondarono in questa regione una chiesa e
introdussero l’uso dei cantici di lode al Signore, finendo poi uccisi da alcuni
pagani che stavano offrendo sacrifici di purificazione
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/55020
Antichissimo
è nel Trentino il culto dei primi evangelizzatori e martiri: il diacono
Sisinio, il lettore Martirio e suo fratello Alessandro, ostiario. La loro
esistenza pare essere storicamente certa: troviamo infatti loro riferimenti
nelle lettere di San Vigilio, vescovo di Trento, e negli scritti di
Sant’Agostino e di San Massimo di Torino.
Sant’Ambrogio, celebre vescovo milanese, li aveva vivamente raccomandati a Vigilio, che al momento nella sua diocesi aveva scarsità di pastori. Questi incaricò i tre missionari di evangelizzare le Alpi Tirolesi ed in particolare la Val di Non. Naturalmente incontrarono non poche opposizioni alla loro opera, ma nonostante ciò riuscirono a guadagnare non poche persone alla fede in Cristo. Sisinnio in particolare promosse l’edificazione di una chiesa presso Methon (Medol).
E’ facile immaginare come i pagani del luogo fossero sempre più adirati per l’adesione di copiose folle alla dottrina cristiana, sottratte così all’adorazione del dio Saturno. Tentarono allora di convincere i neo-convertiti al cristianesimo a partecipare a cerimonie politeiste, riscontrando però un netto rifiuto. Sisinio Martirio ed Alessandro, ritenuti responsabili dell’imbonimento della popolazione locale, furono assaliti nella loro chiesa e malmenati violentemente. Il primo morì subito dopo l’aggressione, mentre i due fratelli vennero arsi insieme dinnanzi all’altare del dio Saturno, usando a tal fine i legni della loro stessa chiesa distrutta. Era il 29 maggio 397 e la tradizione popolare ritiene quale scena del martirio la chiesa di San Zeno in Val di Non.
Le loro ceneri furono traslate a Trento per volontà dei fedeli, mentre sul luogo del martirio venne eretta una chiesa in memoria. Nel 1997, nel 1600° anniversario della loro morte, le loro reliquie hanno visitato in pellegrinaggio tutte le parrocchie del Trentino. Oggi il quadro che li raffigura, abitualmente custodito nel museo Diocesano, è esposto nella piccola abside della cattedrale di Trento.
Sant’Ambrogio, celebre vescovo milanese, li aveva vivamente raccomandati a Vigilio, che al momento nella sua diocesi aveva scarsità di pastori. Questi incaricò i tre missionari di evangelizzare le Alpi Tirolesi ed in particolare la Val di Non. Naturalmente incontrarono non poche opposizioni alla loro opera, ma nonostante ciò riuscirono a guadagnare non poche persone alla fede in Cristo. Sisinnio in particolare promosse l’edificazione di una chiesa presso Methon (Medol).
E’ facile immaginare come i pagani del luogo fossero sempre più adirati per l’adesione di copiose folle alla dottrina cristiana, sottratte così all’adorazione del dio Saturno. Tentarono allora di convincere i neo-convertiti al cristianesimo a partecipare a cerimonie politeiste, riscontrando però un netto rifiuto. Sisinio Martirio ed Alessandro, ritenuti responsabili dell’imbonimento della popolazione locale, furono assaliti nella loro chiesa e malmenati violentemente. Il primo morì subito dopo l’aggressione, mentre i due fratelli vennero arsi insieme dinnanzi all’altare del dio Saturno, usando a tal fine i legni della loro stessa chiesa distrutta. Era il 29 maggio 397 e la tradizione popolare ritiene quale scena del martirio la chiesa di San Zeno in Val di Non.
Le loro ceneri furono traslate a Trento per volontà dei fedeli, mentre sul luogo del martirio venne eretta una chiesa in memoria. Nel 1997, nel 1600° anniversario della loro morte, le loro reliquie hanno visitato in pellegrinaggio tutte le parrocchie del Trentino. Oggi il quadro che li raffigura, abitualmente custodito nel museo Diocesano, è esposto nella piccola abside della cattedrale di Trento.
Nel IV
secolo d.C., attirati dalla popolarità e dal prestigio del vescovo Ambrogio,
dalla Cappadocia, in Turchia, si trasferirono a Milano tre uomini
desiderosi di apprendere di più sulla fede cristiana, Sisinio, Martirio e
Alessandro. Essi furono istruiti per l’appunto da sant’Ambrogio nella fede di
Cristo Gesù e così presero ad amarla appassionatamente e a professarla con
grande ardimento e risolutezza. San Vigilio, vescovo di Trento, conosciuti i
tre giovani, espresse il desiderio di averli come suoi collaboratori missionari
e Ambrogio, che li conosceva assai bene, accondiscese all’appello di Vigilio.
Questi, quindi, ordinò Sisinio, il più grande dei tre, diacono, Martirio
lettore ed Alessandro ostiario e li mandò ad evangelizzare la valle Anaunia
(l’attuale Val di Non). In quel periodo storico, l’Anaunia, regione
prevalentemente pagana, godeva di grande prosperità economica, grazie
alle molteplici attività produttive sviluppatesi intorno a un frequentatissimo
tempio dedicato al dio Saturno. Proprio in quel luogo i tre incontrarono il
martirio il 29 maggio dell’anno 397, durante una festa pagana, con un rito,
detto degli Ambarvali, che i romani erano soliti celebrare verso la fine di
maggio, in onore della dea Cerere, per propiziare la fertilità dei campi.
Probabilmente, più che per la difesa della vigente religione, i tre martiri
furono uccisi crudelmente a causa dell’avvertita minaccia degli interessi
economici delle popolazioni del luogo. San Simpliciano, successore di
sant’Ambrogio, chiese a San Vigilio di poter portare a Milano le preziose
reliquie dei tre martiri e, avendole ottenute, le depose nella sua Basilica.
Altre reliquie di Sisinio, Martirio e Alessandro vennero inviate a San Giovanni
Crisostomo, patriarca di Costantinopoli, che udita la fama dei tre martiri, volle
averne testimonianza per ravvivare la fede della sua gente.
Sul luogo del martirio, l’attuale Sanzeno, fu edificata, successivamente, una Basilica dedicata ai tre santi martiri. La costruzione attuale, retta da francescani insieme al vicino eremo di san Romedio, risale al XV secolo, con rifacimenti e arricchimenti successivi, ma si conservano vestigia della chiesa costruita precedentemente all’anno 1000 e un imponente campanile romanico.
Oltre che a Milano e a Costantinopoli, san Vigilio inviò altre reliquie al vescovo di Brescia, san Gaudenzio, come apprendiamo da un suo sermone. Anche Ravenna possiede reliquie dei Martiri Anauniensi, nell’altare della chiesa di Sant’Andrea e di questo ne parla san Venanzio Fortunato. Ne ritroviamo anche in San Giorgio a Verona, in san Martino ai Monti e santa Caterina de’ Funari a Roma, nell’abbazia benedettina di Saint Riquier, nella diocesi di Amiens, donate addirittura da Carlo Magno, insieme alle reliquie di san Vigilio e san Simpliciano.
Soltanto nel 1927, la Basilica milanese di san Simpliciano concesse di restituire alcune reliquie dei tre Martiri alla Basilica di Sanzeno, riunite in un antico e prezioso reliquiario.
Lo stesso nome di Sanzeno, è una corruzione semantica di “San Sisinio”, nome che la borgata assunse fin dal VII secolo d.C.
Raramente nella Chiesa dei primi secoli, la storia di un martirio e dello stile evangelizzatore dei primi missionari cristiani, sono stati così abbondantemente documentati come nel caso dei santi Martiri Sisinio, Martirio e Alessandro.
Sul luogo del martirio, l’attuale Sanzeno, fu edificata, successivamente, una Basilica dedicata ai tre santi martiri. La costruzione attuale, retta da francescani insieme al vicino eremo di san Romedio, risale al XV secolo, con rifacimenti e arricchimenti successivi, ma si conservano vestigia della chiesa costruita precedentemente all’anno 1000 e un imponente campanile romanico.
Oltre che a Milano e a Costantinopoli, san Vigilio inviò altre reliquie al vescovo di Brescia, san Gaudenzio, come apprendiamo da un suo sermone. Anche Ravenna possiede reliquie dei Martiri Anauniensi, nell’altare della chiesa di Sant’Andrea e di questo ne parla san Venanzio Fortunato. Ne ritroviamo anche in San Giorgio a Verona, in san Martino ai Monti e santa Caterina de’ Funari a Roma, nell’abbazia benedettina di Saint Riquier, nella diocesi di Amiens, donate addirittura da Carlo Magno, insieme alle reliquie di san Vigilio e san Simpliciano.
Soltanto nel 1927, la Basilica milanese di san Simpliciano concesse di restituire alcune reliquie dei tre Martiri alla Basilica di Sanzeno, riunite in un antico e prezioso reliquiario.
Lo stesso nome di Sanzeno, è una corruzione semantica di “San Sisinio”, nome che la borgata assunse fin dal VII secolo d.C.
Raramente nella Chiesa dei primi secoli, la storia di un martirio e dello stile evangelizzatore dei primi missionari cristiani, sono stati così abbondantemente documentati come nel caso dei santi Martiri Sisinio, Martirio e Alessandro.
Prima
della loro morte fondarono una chiesa presso il monte Medolo. Nella chiesa
vennero cantati gli inni evangelici di lode e ringraziamento al Signore e
questo scatenò l'ira dei pagani del luogo che, in quel momento, stavano
compiendo riti e offerte ai loro dei durante una festa, che si svolgeva
solitamente a fine maggio, per propiziare la fertilità dei campi. I pagani
tentarono in tutti i modi di coinvolgere nei loro riti alcuni neo convertiti e
i cristiani che si rifiutarono categoricamente. In preda alla rabbia
raggiunsero in chiesa i tre ritenuti responsabili dell'offesa al dio Saturno. Gli
aggressori pagani distrussero la chiesa e malmenarono brutalmente i tre
chierici. L'aggressione causò la morte immediata di Sisinnio. Martirio fu
raggiunto e ucciso in un orto dove si rifugiò in preghiera. Ad Alessandro fu
data la possibilità di abiurare alla sua fede, ma egli rifiutò restando ben
saldo alla sua fede in Cristo. I corpi di Sisinnio, Alessandro e Martirio
furono bruciati senza alcuna pietà usando i resti legnosi della chiesa appena
rasa al suolo.
Tratto
da
http://www.enrosadira.it/santi/a/anauniensi.htm
Sisinio, Martirio e Alessandro erano
nati in Cappadocia e, ancora giovinetti nel IV secolo vennero mandati a Milano
per essere istruiti nella fede dal vescovo sant'Ambrogio. Attratti dall'ideale
missionario furono inviati al vescovo di Trento, san Vigilio che li destinò nel
387 ad evangelizzare l'antica regione dell'Anaunia, l'odierna Valle di Non.
Dopo dieci anni a servizio della gente della valle, il 29 maggio del 397,
furono trucidati in un rito, detto degli Ambarvali, durante una festa pagana di
carattere agreste nella località di Mecla, oggi Sanzeno. Nella località è stata
eretta una basilica a loro dedicata. Le reliquie dei tre martiri furono
successivamente trasferite a Milano e custodite nella chiesa di San
Simpliciano. A Sisinio, Martirio e Alessandro è legata una leggenda popolare,
nata anche dalla coincidenza della loro morte con la battaglia di Legnano nel
1176. All'intercessione dei Santi Martiri le genti lombarde attribuiscono la
vittoria di Legnano. Si narra infatti che nel giorno dello scontro tra le
milizie milanesi e quelle del Barbarossa, tre colombe uscirono dalla chiesa di
San Simpliciano, dove erano custodite le loro reliquie, e andarono a posarsi
sulla croce del Carroccio rimanendovi fino al termine della battaglia.
Consultare
anche
https://www.contradalegnarello.it/la-contrada/i-santi-protettori-sisinnio-martirio-e-alessandro/
Santo
Massimo Vescovo di Verona (probabilmente nel VI secolo )
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/55050
La storicità di Massimo vescovo di
Verona è alquanto difficile da stabilire, probabilmente è esistito nel IV
secolo. Esso è ricordato in un Martirologio della Chiesa veronese del secolo
XVI e nel ‘Martirologio Romano’ al 29 maggio, chiamandolo prelato di esimia
dottrina e di specchiata virtù.
Ma il nome di Massimo vescovo, però non è nel ‘Velo di Classe’ del secolo VIII, autorevole e genuino elenco degli antichi vescovi veronesi.
In favore della sua esistenza, sta l’antica memoria e il relativo culto, documentato anche dall’invocazione in due litanie veronesi dei secoli XI e XII.
La coincidenza della celebrazione liturgica di san Massimo vescovo di Verona, il 29 maggio, con quella dell’omonimo vescovo di Emona (Cittanova d’Istria), che era presente al sinodo di Aquileia del 381, convinse gli studiosi veronesi a parlare di una traslazione di reliquie di Massimo, da Verona ad Emona.
Anche in questa antica città la venerazione per s. Massimo, data dal 1146 e le su citate litanie veronesi, coincidono con il culto datogli ad Emona.
Decenni prima dell’anno 1000, esisteva fuori dalle mura della città di Verona, una chiesa dedicata a s. Massimo vescovo, che fu distrutta durante le invasioni degli Ungari e poi ricostruita sotto il vescovo Milone nel 981. Questa chiesa, divenuta anche parrocchia nel 1459, fu poi demolita nel 1518 a causa dell’abbattimento di tutte le costruzioni vicine alla cinta muraria, distanti fino ad un miglio tutto intorno, cinta eretta dai veneziani, per motivi di difesa.
Il nome di s. Massimo passò poi al borgo sorto ad ovest della basilica di S. Zeno e alla chiesa lì eretta.
Ma il nome di Massimo vescovo, però non è nel ‘Velo di Classe’ del secolo VIII, autorevole e genuino elenco degli antichi vescovi veronesi.
In favore della sua esistenza, sta l’antica memoria e il relativo culto, documentato anche dall’invocazione in due litanie veronesi dei secoli XI e XII.
La coincidenza della celebrazione liturgica di san Massimo vescovo di Verona, il 29 maggio, con quella dell’omonimo vescovo di Emona (Cittanova d’Istria), che era presente al sinodo di Aquileia del 381, convinse gli studiosi veronesi a parlare di una traslazione di reliquie di Massimo, da Verona ad Emona.
Anche in questa antica città la venerazione per s. Massimo, data dal 1146 e le su citate litanie veronesi, coincidono con il culto datogli ad Emona.
Decenni prima dell’anno 1000, esisteva fuori dalle mura della città di Verona, una chiesa dedicata a s. Massimo vescovo, che fu distrutta durante le invasioni degli Ungari e poi ricostruita sotto il vescovo Milone nel 981. Questa chiesa, divenuta anche parrocchia nel 1459, fu poi demolita nel 1518 a causa dell’abbattimento di tutte le costruzioni vicine alla cinta muraria, distanti fino ad un miglio tutto intorno, cinta eretta dai veneziani, per motivi di difesa.
Il nome di s. Massimo passò poi al borgo sorto ad ovest della basilica di S. Zeno e alla chiesa lì eretta.
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