mercoledì 23 maggio 2018

23 Maggio santi italici ed italo greci



Photo by Abate Davide Evloghios on October 23, 2019. Nessuna descrizione della foto disponibile.


Santo Efebo vescovo di Napoli nel III secolo



Tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/54440


È l’ottavo nella serie dei vescovi di Napoli, come ci è pervenuta attraverso il Liber Pontificalis di detta Chiesa. Il Calendario Marmoreo napoletano e tutti gli altri calendari ne commemorano la deposizione il 23 maggio, giorno in cui fissa la sua festa il Martirologio Romano. Il nome greco Efebos assieme a quelli di Epitimeto ed Eustazio, rispettivamente secondo e settimo della serie, attesta l’esistenza dell'elemento greco accanto a quello romano nella primitiva Chiesa partenopea. La forma grafica del nome subì attraverso i secoli strane alterazioni e deformazioni: Efevo, Eufebio, Eufrebio, Efrimo, Effrimo, Eufirmo, Euframo ed Eframo; l’ultima forma è ancora corrente nell’uso dialettale.
Di Efebo il cronografo dei vescovi informa solo che fu «santissimo» presule e che resse «fedelmente» la sua Chiesa. Fiorì sul finire del secolo III o agli inizi del secolo IV. La sua tomba nel cimitero suburbano, posto a nord-est della città, nella zona, in prossimità dei Ponti Rossi, che in seguito prese nome da Efebo, divenne centro di viva devozione: all'inizio del secolo V vi fu inumato il vescovo Orso, successore di san Severo. Nella prima metà del secolo IX il corpo di Efebo fu trasportato dal vescovo Giovanni IV lo Scriba (m. 849) nella cattedrale Stefania, costruita da Stefano vescovo alla fine del V secolo, e il suo nome venne inciso nel ricordato Calendario Marmoreo.
La fama di Efebo come taumaturgo rimase legata alla sua chiesa estramurale e perdurava così viva nel secolo X che un agiografo napoletano vivente in quel tempo (probabilmente Pietro suddiacono) ne tramandò testimonianza (Libellus miracolorum s. Ephebi), nella narrazione di tre miracoli operati da Efebo, mentre il suo nome fu incluso da tempo immemorabile tra quelli dei sette santi protettori della città.
Nel 1530 la detta chiesa estramurale fu affidata ai Cappuccini, i quali eressero sull’arca una nuova chiesa dedicata alla Immacolata Concezione, che conserva tuttora il nome di sant'Eframo Vecchio in opposizione a una nuova chiesa dedicata, in altro luogo della città, in onore dell'Immacolata e di Efebo. I Cappuccini ne tennero sempre vivo il culto: nel novembre 1589 praticarono nella vecchia chiesa alcuni scavi e vi rinvennero tre corpi privi di testa, che si vollero identificare, con scarso fondamento, almeno per quanto riguarda gli ultimi due, con i vescovi Efebo, Fortunato e Massimo: vi sarebbero stati trasportati dalla Stefania in epoca imprecisata, forse nel secolo XIII. Il fatto segnò un risveglio del culto verso Efebo. Se ne occupò il celebre agiografo Paolo Regio, vescovo di Vico Equense, nelle sue Opere spirituali e nel 1889 se ne celebrò il terzo centenario con qualche solennità. Inoltre, nel 1750, i Cappuccini stamparono e diffusero una Vita del glorioso Sant'Euframo vescovo e protettore di questa città di Napoli, di autore anonimo.
Del cimitero paleocristiano, legato al nome del santo vescovo, vennero alla luce alcuni elementi soltanto nel 1931, in seguito a scavi.





Tratto da

http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2015/5/23/SANTO-DEL-GIORNO-Il-23-maggio-si-celebra-Sant-Efebo-vescovo/611091/

Oggi 23 maggio si festeggia Sant'Efebo, che è stato vescovo e martire napoletano di cui esiste ancora un grande culto nel capoluogo partenopeo. Efebo, o Eufebio o ancora Eframo, come è più conosciuto nel sud Italia, nacque a cavallo tra il III e il IV secolo a Napoli, città di cui divenne ottavo Vescovo. Non si hanno molte notizie sulla sua storia e quel poco che ne sappiamo lo dobbiamo all'antica tradizione napoletana che ancora oggi ne celebra il culto.

Si racconta che il vescovo Efebo, uomo dal bellissimo e angelico aspetto, fu un santo pastore che aveva molto a cuore la sua comunità parrocchiale. Benvoluto dai fedeli, Efebo dedicò la sua missione e la sua intera vita alla difesa del popolo napoletano e viene ancora oggi ricordato per la sua abilità di taumaturgo. Anche per questo motivo gli vennero attribuiti numerosi miracoli che portarono alla sua cerimonia di santificazione a opera della Chiesa Cattolica. Sant'Efebo è quindi da sempre ben radicato nel cuore di Napoli. Sopraggiunta la morte venne sepolto nel cimitero extraurbano, che ancora oggi conserva il nome di catacomba di Sant'Efebo, ma si stima che le sue spoglie vennero trasferite probabilmente nel IX secolo al Duomo di Napoli.

La tradizione popolare partenopea vuole, però, che le spoglie del vescovo traslarono nuovamente nella sua catacomba, nei cui dintorni, non a caso corrispondenti alla zona di Sant'Efremo Vecchio, oggi il culto del santo è forse il più diffuso ed acceso. Difatti, sono in molti a sostenere che la sua ultima traslazione sia invero avvenuta proprio nella chiesa di Sant'Efremo, insieme alle spoglie di San Massimo e San Fortunato nel XIII secolo, e non alla catacomba che viene fatta risalire al V secolo. Benché per la Chiesa cattolica la santità del martire Efebo si festeggi oggi 23 maggio, a Napoli Sant'Eframo, nome con il quale è più spesso ricordato, si festeggia anche l'8 novembre. Questo perché dal 1673 è compatrono della città di Napoli e proprio l'8 novembre si celebra la memoria dei Santi Vescovi della Chiesa di Napoli. Come impone la tradizione partenopea, a Napoli allo scadere di ogni secolo una statua d'argento raffigurante Sant'Eufebio viene portata in processione dal Duomo fino alla chiesa del rione di Sant'Eframo Vecchio, luogo in cui fu sepolto subito dopo la morte.

La chiesa di Sant'Eframo, di grande bellezza e interesse e già citata in precedenza, è oggi abitata dai frati Cappuccini, dopo un periodo in cui ad occuparlo furono le Monache delle Trentatré con la soppressione degli ordini religiosi. Al santo martire sono dedicati anche altri edifici nella città di Napoli e dintorni, come il Monastero di Sant'Eframo Nuovo a Materdei, sorto nel XVI secolo per volere di Gianfrancesco De Sangro principe di Sansevero.





Santo Mercuriale vescovo di Forlì confessore della fede versus et contra arianesimo e paganesimo(verso il 406)



Tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/51360

Le più antiche testimonianze su Mercuriale riguardano il suo culto, e precisamente le chiese a lui dedicate. L'at­tuale basilica a Forlì, originariamente a tre navate, con tre absidi ed una grande cripta, venne edificata nel 1173-1176 (ed il campanile nel 1180), dopo che un violento incendio, scoppiato il 21 lugl. 1173, aveva distrutto la precedente con l'annesso mona­stero. L'antica basilica, sulla stessa area benché allora fuori della cinta muraria di Forlì, appare officiata dai Benedettini sin dalle più antiche testi­monianze: 8 apr. 893: « monasterio S. Mercurialis posito non longe a civitate Liviensi »; 14 magg. 962: « monasterium s. Mercurialis et Grati qui est situs prope dudum civitatem Liviensem » (Fantuzzi, Monumenti Ravennati, VI, pp. 5, 14); lugl. 1159: « coenobii ss. Mercurialis et Grathi quod situm est in territorio liviensi » (S. Marchesi, Sup­plemento istorico dell'antica città di Forlì, Forlì 1678, pp. 144-45). Dedicate a s. Mercuriale sono attestate chiese anche a Ravenna dal 948 (Fantuzzi, II, 252) ed a Pistoia dal 940 (F. Lanzoni, S. Mercu­riale nella leggenda e nella storia, in Rivista storico-critica delle Scienze Teologiche, I [1905], p. 494).
Tra il 1050 ed il 1084, dietro insistenze dei fe­deli e dello stesso vescovo della città, un anonimo (che in seguito fu identificato con s. Pier Damiani, ma che comunque era monaco e non forlivese) ne scrisse la prima Vita, traendone gli elementi da pitture esistenti in quel­l'antica basilica. Nello schema ordinario della vita di un presule modello, sono inseriti due episodi caratteristici. A Rimini un empio giudice (pagano) di nome Tauro schernisce i cristiani ed in partico­lare irride l'Eucaristia, che per lui non è che un cibo comune da digerirsi come tutti gli altri. I santi vescovi della regione, Mercuriale di Forlì, Ruffillo di Forlimpopoli, Leo di Montefeltro, Gaudenzio di Ri­mini e Geminiano di Modena, pure inorridendo delle affermazioni blasfeme (le quali, si noti, coin­cidono stranamente con quelle che insegnava Beren­gario di Tours, nello stesso tempo in cui fu com­posta questa Vita), perché non venisse meno la fede dei loro cristiani accettarono la sfida di Tauro: tutti insieme consacrarono le sacre specie e le det­tero al giudice pagano; costui le inghiottì, ma poi morì dell'ignominiosa morte di Ario.
Il secondo episodio riguarda un immane drago che in quel tempo infestava la zona tra Forlì e Forlimpopoli. Di comune accordo Mercuriale e Ruffillo si recarono a combatterlo, ponendogli le loro stole at­torno alla gola, lo immobilizzarono ed infine lo chiusero in un profondo pozzo dove il drago è rin­chiuso tuttora e dove (secondo quanto raccontarono all'anonimo scrittore) tutti gli anni, nel giorno della festa di s. Mercuriale, si agita e freme.
Mercuriale morì un 30 apr., dopo aver rivolto fervide esortazioni al suo popolo a restar saldo nella fede: venne sepolto in un mausoleo, ed in suo onore venne innalzata la chiesa.
Il Lanzoni dimostra che l'autore della Vita ha interpretato malamente le pitture esistenti nella primitiva chiesa di S. Mercuriale: esse infatti, in quattro scene raggruppate in due cicli, non rappresentavano altro che il trionfo del Cristianesimo sopra l'idola­tria ed il trionfo dell'ortodossia sopra l'arianesimo. A noi comunque interessa far notare che, a metà del sec. XI, si pensava che Mercuriale fosse contemporaneo degli altri santi della regione citati.
Nel 1176, quando si terminò la costruzione della basilica nuova, si operò una traslazione o una ricognizione delle reliquie del santo e si pose nell'arca una lamina plumbea nella quale si affer­mava che Mercuriale era morto il 30 apr. 156 (lamina che sarà poi ritrovata nelle ricognizioni successive: 1232, 1576, 1902) e in base a questo si insinuava (se non erro) che Mercuriale sarebbe stato il protovescovo di Forlì.
Qualche tempo dopo il 1232, si formò una seconda leggenda su s. Mercuriale concretatasi nelle pit­ture della seconda basilica (anch'esse scomparse). Ne dipendono: una lamina in piombo dei secc. XIV-XV che testimonia di reliquie che Mercuriale recò dalla Palestina; un passo degli Annales Forolivien-ses del sec. XV, secondo il quale M. fu vescovo dal 422 al 449, uccise il drago (ma in maniera di­versa da come è scritto nel racconto precedente), andò in pellegrinaggio a Gerusalemme tornando con molte ed insigni reliquie, e liberò il popolo di Forlì dalla schiavitù del re di Spagna; un passo delle Cronache di Leone Cobelli (1440-1500 ca.), in cui sono ripetute le notizie in maniera più o meno simile alle fonti precedenti, è attestato, non sap­piamo da quale fonte, che l'antica basilica era ori­ginariamente dedicata a S. Stefano, ed è specificato l'ultimo episodio secondo cui Mercuriale si recò in Spagna presso Alarico e, avendo guarito il re goto amma­lato, ne ottenne la liberazione di oltre duemila schiavi forlivesi (si ricordi che in Forlì esiste ancor oggi un rione chiamato, fin dal sec. IX, col nome di « Schiavonia »).
Più tardi ancora (sec. XVII) gli scrittori forli­vesi si trovarono di fronte ad un'altra difficoltà, accordare, cioè, le tradizioni locali con quelle di Rimini che ritenevano tutto il gruppo dei santi vescovi della zona (Mercuriale, Ruffillo, Gaudenzio, Geminiano ed inoltre Leo e Marino) presenti al concilio di Rimini del 359. Alcuni modi­ficarono nomi di persone e di luoghi, mutarono Ala­rico in Atanarico, e ridussero il pontificato di Mercuriale agli anni 359-406; altri invece supposero che vi fossero stati a Forlì due o anche tre vescovi di nome Mercuriale, che avrebbero pontificato rispettivamente negli anni 130-156, 359-406 e 442-449.
Il Lanzoni ha fatto giustizia di tutte queste leggende dimostrandone le varie assurdità: egli ritiene Mercuriale vescovo del sec. IV, forse il protove­scovo di Forlì ed il 30 apr. suo dies natalis o cele­brazione di una sua traslazione dal cimitero adia­cente alla basilica antica all'interno di questa.
Ho già esposto in altra sede la mia opinione che Mercuriale sia il costruttore della basi­lica che fu la più antica cattedrale di Forlì; per cui anche la data del 30 apr. potrebbe essere in rela­zione con questa (giorno della consacrazione). Del resto, anche la data della consacrazione della catte­drale di Ravenna è stata ritenuta data della morte del suo costruttore Ursus.













Tratto da                                                         

http://www.diocesiforli.it/santi/-hcDocumento/id/182/san-mercuriale-primo-vescovo-di-forli.html

Mercuriale primo vescovo di Forlì, visse all’inizio del V secolo, era originario dell’Oriente e fu nominato dal Papa alla sede di Forlì.

Su questo personaggio non si hanno notizie storiche certe oltre al fatto che sia stato un vescovo molto importante del periodo delle origini e della formazione della prima comunità cristiana. Tuttavia nel secolo IX fu elaborato un nucleo narrativo (legenda) ricco di elementi fantasiosi aumentato in seguito soprattutto nel periodo tardo rinascimentale traendo spunto da pitture esistenti nell'antica basilica dedicata al Santo. Come l’aver reso innocuo un drago che ammorbava le campagne della città provocando disagi, malattie e morte degli abitanti, analogamente a quanto si racconta del contemporaneo San Rufillo e che si recò in Spagna, presso Alarico e, avendo guarito il re goto ammalato, ne ottenne la liberazione di oltre duemila schiavi forlivesi. A Rimini un giudice pagano di nome Tauro scherniva i cristiani ed in particolare irrideva l'eucaristia, che per lui era un cibo comune da digerirsi come tutti gli altri. Assieme agli altri Santi Vescovi della regione, Ruffillo di Forlimpopoli, Leo di Montefeltro, Gaudenzio di Rimini e Geminiano di Modena, Mercuriale, perché non venisse meno la fede dei loro cristiani accettò la sfida di Tauro, consacrò l’eucarestia e la dette al giudice pagano che dopo averla ingerita morì come l’eretico Ario, di dissenteria. Episodi della vita del Santo sono illustrati nella basilica, ad esempio nella cappella Mercuriali un quadro di Ludovico Cardi presenta il Santo che al ritorno da Gerusalemme porta indigni reliquie e nella navata destra un’opera di Giacomo Zampa raffigura Mercuriale benedicente cui un angelo presenta la città di Forlì. La festa di San Mercuriale si celebrava inizialmente il 30 aprile ma per non sovrapporla a quella di San Pellegrino, che ricorre l’1 maggio fu spostata prima in altre date e poi fissata al 26 ottobre, giorno in cui nel 1601, le reliquie del Santo furono traslate nella cappella Mercuriali in fondo alla navata destra della basilica. Le reliquie del capo del Santo sono invece collocate in un altare laterale della chiesa della SS. Trinità.



Santo Eutizio  monaco in Norcia (verso il 540) con San Fiorenzo monaco anch’egli a Norcia /verso il



Tratto da quotidiano Avvenire

Insieme a san Fiorenzo, il monaco Eutizio condusse vita solitaria nei pressi di Norcia. Fu poi eletto abate della splendida abbazia in val Castoriana, alle pendici dei Monti Sibillini, di cui non era stato il fondatore, ma che porta il suo nome. Essa risalirebbe ai primi tempi dell'invasione ostrogota, cioè dopo il 487. Nel Medioevo fu centro benedettino importantissimo. In un codice della sua biblioteca è contenuto un importante testo latino-volgare delle origini della lingua italiana, la Confessione di Norcia (XI sec.). Eutizio scomparve prima di Fiorenzo, la cui morte risale al 540



Martirologio Romano: Nel territorio di Norcia in Umbria, commemorazione di sant’Eutizio, abate, che, come racconta il papa san Gregorio Magno, dapprima praticò vita solitaria insieme a san Fiorenzo, conducendo molti a Dio con il suo incoraggiamento, e in seguito governò santamente il vicino monastero.



Tratto da

S. Gregorio Magno ne narra la vita nei Dialoghi. Di Eutizio si ha pure una leggenda di origine tardiva, in cui gli si attribuiscono le vicende raccontate da s. Gregorio e quanto si trova negli Atti favolosi di un altro Eutizio.
Dopo aver condotto assieme a Fiorenzo vita solitaria in Nursina provincia, Eutizio fu eletto abate di un monastero in Val Castoriana, celebre nel Medio Evo, che resse per molti anni e che da lui prese il nome, pur non essendone stato egli il fondatore. Il Rivera ritiene, seguendo altri, che la venuta di Eutizio in Val Castoriana e la costruzione del monastero, risalgano ai primi tempi dell'invasione ostrogota, cioè dopo il 487.
Quando Eutizio divenne abate, Fiorenzo rimase solo e, soffrendone, pregò il Signore di mandargli un compagno. Appena uscito dall'oratorio trovò un orso, al quale diede l'incarico di portargli al pascolo quattro o cinque capre, lavoro che l'animale compiva con cura. Ma quattro monaci di Eutizio, invidiosi dei miracoli di Fiorenzo, uccisero l'orso, causandogli vivo dolore. Eutizio si recò a consolarlo, ma Fiorenzo, inconsolabile, chiese al Signore una severa punizione dei colpevoli. Questi, colpiti da misteriosa malattia, miseramente morirono.
Alla morte di Eutizio, Fiorenzo si portò probabilmente a Foligno, dove morì verso il 540, e dove è commemorato il 1° giugno. A Norcia la sua festa è il 27 giugno. Il Martirologio di Farfa, del sec. XI, al 23 maggio ricorda " Natale s. Euticii confessoris ". Ambedue sono iscritti nel Martirologio Romano al 23 maggio, mentre Pietro De Natalibus, recenti martirologi e i primi revisori del Romano, ne avevano fissato erroneamente l'anniversario al 20 dicembre.



Leggere

I monaci siriaci nella valle castoriana


















Storia triste del puntualissimo orso di Fiorenzo


STA IN


https://monachesimoduepuntozero.com/2016/04/24/storia-triste-del-puntualissimo-orso-di-fiorenzo/


 

Un interessante articolo di Edoardo Ferrarini sulla rappresentazione dell’amicizia nella letteratura agiografica altomedioevale1 ha indirizzato la mia attenzione su quattro coppie di santi amici, tutti monaci o eremiti, o comunque tali all’epoca del primo sorgere del sentimento in questione. L’articolo mira a illustrare, senza pretese di completezza, ma con bella scelta d’esempi, come l’amicizia monastica non sia affatto un tema alieno ai racconti di santità, quasi fosse un tratto di debolezza che scalfirebbe l’immagine solida e compatta dell’uomo di Dio. Come spesso accade, il primo moto di interesse è scattato in me grazie ai nomi di questi amici: Eutizio e Fiorenzo, Fulgenzio e Felice, Romano e Lupicino, Paterno e Scubilione. L’altro aspetto interessante è che le fonti citate sono relativamente accessibili, anche in traduzione italiana, sicché sono andato a vederle, a cominciare dalla prima.
La storia di Eutizio e Fiorenzo è narrata da Gregorio Magno nel terzo libro dei suoi Dialoghi2 e inizia dalle parti di Norcia, dove i due vivono nel medesimo oratorio conducendo vita santa. I caratteri sono diversi e mentre Fiorenzo, più contemplativo, si dedica soprattutto alla preghiera, Eutizio va in giro, predica e converte, si fa conoscere, insomma, tanto che, alla morte del loro abate i  monaci di un vicino monastero lo chiamano a guidare la comunità. Eutizio va, Fiorenzo resta, ma dopo un po’ comincia a soffrire la solitudine e invoca il Signore «che gli desse un compagno che vivesse insieme con lui».
«Appena terminata la preghiera, uscì dall’oratorio e trovò davanti alla porta un orso: con la testa chinata verso terra e senza segno di ostilità nei movimenti»: è il nuovo compagno che ha chiesto a Dio, Fiorenzo non ha dubbi, e prega subito l’orso di dargli una mano con le pecore, portandole al pascolo in determinati orari: «E l’orso gli ubbidiva scrupolosamente: mai tornava a mezzogiorno quando doveva tornare alle tre, né alle tre quando doveva tornare a mezzogiorno».
La fama del prodigio si diffonde, e un giorno alcuni monaci di Eutizio, invidiosi perché il loro abate non fa miracoli, mentre il rozzo Fiorenzo è palesemente prediletto dal Signore, tendono un agguato all’orso e lo uccidono. Fiorenzo lo aspetta fino a sera, «e prese a dolersi perché non tornava l’orso che, nella sua semplicità, egli soleva chiamare fratello [quem ex simplicitate multa fratrem vocare consueverat]», infine lo va a cercare e scopre l’orribile verità.
Fiorenzo si dispera, ed Eutizio accorre, anzi lo fa «venire presso di sé per consolarlo», ma l’amico è sconvolto e si lascia andare a una maledizione: «Spero in Dio onnipontente che chi ha ucciso il mio orso, del tutto inoffensivo, riceva davanti agli occhi di tutti la punizione della propria malvagità». Si ricorderà che Dio era solito accogliere con particolare sollecitudine le richieste di Fiorenzo, e infatti «i monaci che avevano ucciso l’orso furono colpiti subito da elefantiasi e morirono col corpo incancrenito [statim elefantino morbo percussi sunt, ut membris putrescentibus interirent]». (Laddove è interessante notare che, essendo la vittima un animale, la pena è «intitolata» a un altro animale.)
Gregorio si premura di commentare che Fiorenzo rimase sconvolto e molto si pentì del sua maledizione, cui Dio acconsentì con un preciso disegno, e se continuò a compiere miracoli durante la sua vita, Eutizio, «che era stato compagno di Fiorenzo nella via di Dio, divenne illustre per i miracoli compiuti soprattutto dopo la morte». Parità.
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1. Edoardo Ferrarini, «Gemelli cultores»: coppie agiografiche nella letteratura latina del VI secolo, in «Reti Medievali Rivista» XI (2010), 1 (gennaio-giugno); consultabile qui.

2. Gregorio Magno, Storie di santi e di diavoli, II, a cura di M. Simonetti e S. Pricoco, Mondadori, Fondazione Lorenzo Valla, 2006, pp. 62-73.

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