croce processionale bizantina, VI secolo, lamina d'argento dorata su un nucleo di ferro.
Sainte CRESCENTIENNE, martyre à Rome.
Saint SYLVAIN, martyr à Rome.
Saint SYLVAIN, martyr à Rome.
Santo Geronzio Vescovo di Milano (verso il 470)
Geronzio, vescovo di Milano, santo. Fu
un intimo collaboratore del vescovo sant'Eusebio che, al dire di Ennodio, lo
avrebbe designato, ancora in vita, come suo successore. Condusse a termine il
piano di ricostruzione di Milano distrutta da Attila (452), iniziato dal suo
predecessore. Morì dopo ca. quattro anni di episcopato e fu sepolto nella
chiesa di San Simpliciano.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/51940
il suo fu un breve episcopato: solo tre
anni (462 - 465). Forse si volle ripetere l’esperienza di Ambrogio, che ebbe
come successore Simpliciano, ormai anziano, ma di vasta cultura, grande carità,
vera sapienza. Anche Geronzio, infatti, fu scelto, probabilmente già anziano,
perché si distingueva tra il clero ambrosiano per la sua carità verso i poveri.
Di lui, in effetti, dovremmo ricordare lo zelo per le case di Dio e quelle
degli uomini.
Geronzio si impegnò con ogni energia nel ricostruire le chiese di Milano, distrutte dagli Unni di Attila, le quali - scrisse San Massimo di Torino - giacevano in rovina, «abbattute come teste staccate dal corpo». Con lo stesso zelo sostenne i profughi, gli sfollati, i feriti, riscattò i prigionieri, sollecitò aiuti contro gli invasori.
Lo sosteneva la coscienza del suo ministero, dell’impegno che aveva assunto presso gli uomini e presso Dio, poiché, come diceva Ambrogio commentando il salmo 43: «È necessario che noi rimaniamo nel Signore e non ci ritiriamo, poiché se il Signore ci guida e ci aiuta possiamo reggere coraggiosamente ogni sfida, ogni lotta». Per questo, anche Geronzio, per riscattare i prigionieri di guerra, non esitò a fondere i vasi sacri, poiché «niente perde la Chiesa, quando guadagna la carità. E la carità non è mai una perdita, ma la conquista più vera di Cristo».
Geronzio si impegnò con ogni energia nel ricostruire le chiese di Milano, distrutte dagli Unni di Attila, le quali - scrisse San Massimo di Torino - giacevano in rovina, «abbattute come teste staccate dal corpo». Con lo stesso zelo sostenne i profughi, gli sfollati, i feriti, riscattò i prigionieri, sollecitò aiuti contro gli invasori.
Lo sosteneva la coscienza del suo ministero, dell’impegno che aveva assunto presso gli uomini e presso Dio, poiché, come diceva Ambrogio commentando il salmo 43: «È necessario che noi rimaniamo nel Signore e non ci ritiriamo, poiché se il Signore ci guida e ci aiuta possiamo reggere coraggiosamente ogni sfida, ogni lotta». Per questo, anche Geronzio, per riscattare i prigionieri di guerra, non esitò a fondere i vasi sacri, poiché «niente perde la Chiesa, quando guadagna la carità. E la carità non è mai una perdita, ma la conquista più vera di Cristo».
Santa
Erina/Irene da Lecce
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/51900
Santa
venerata a Lecce, ma la sua persona è circondata dalla leggenda, studi
approfonditi sulla sua esistenza mancano, mentre vi è un’antica ‘Vita’
abbreviata del Menologio di Basilio II del sec. X.
Irene che a Lecce è chiamata Erina, era figlia di un signorotto di nome Licinius, che geloso della bellezza della figlioletta, all’età di sei anni la rinchiuse sulla cima di una torre, sorvegliata da tredici servi.
Dio la istruì nel cuor suo della dottrina cristiana e s. Timoteo, discepolo di s. Paolo, la battezzò, lei prese gli idoli che il padre le aveva dato da adorare e li infranse; il padre preso dall’ira la fece legare su un cavallo imbizzarrito per farla morire, ma miracolosamente Irene si salvò, mentre il padre morì a causa delle conseguenze di un morso ricevuto alla mano, dallo stesso cavallo.
La giovane cristiana ottenne con le preghiere, la resurrezione del padre, il quale unitamente alla famiglia ed a circa tremila pagani, si convertì al cristianesimo. Il governatore Ampelio tentò di farla apostatare e al suo rifiuto, inferocito, la fece torturare e decapitare. (In questa ‘Vita’ non vi è alcuna indicazione di luogo né di data).
Altre ‘Vite’ che sono lo svolgimento e l’abbellimento della precedente, sono condensate nei sinassari bizantini, uno di questi, narra che Irene nacque a Magedo (Persia) figlia di re e prima di essere battezzata si chiamava Penelope, segue tutta una carrellata d’inverosimili miracoli e conversioni di pagani in massa; alla fine la santa è mandata a morte dal re di Persia, Sapore (272), quando nacque l'imperatore Costantino.
Secondo un’altra tradizione Irene, figlia di Licinio, sarebbe originaria di Lecce, dove è festeggiata al 5 maggio con il nome di Erina.
Dal V secolo a Costantinopoli vi erano già due chiese a lei intitolate, più volte restaurate e ricostruite di cui una esiste tuttora.
Irene che a Lecce è chiamata Erina, era figlia di un signorotto di nome Licinius, che geloso della bellezza della figlioletta, all’età di sei anni la rinchiuse sulla cima di una torre, sorvegliata da tredici servi.
Dio la istruì nel cuor suo della dottrina cristiana e s. Timoteo, discepolo di s. Paolo, la battezzò, lei prese gli idoli che il padre le aveva dato da adorare e li infranse; il padre preso dall’ira la fece legare su un cavallo imbizzarrito per farla morire, ma miracolosamente Irene si salvò, mentre il padre morì a causa delle conseguenze di un morso ricevuto alla mano, dallo stesso cavallo.
La giovane cristiana ottenne con le preghiere, la resurrezione del padre, il quale unitamente alla famiglia ed a circa tremila pagani, si convertì al cristianesimo. Il governatore Ampelio tentò di farla apostatare e al suo rifiuto, inferocito, la fece torturare e decapitare. (In questa ‘Vita’ non vi è alcuna indicazione di luogo né di data).
Altre ‘Vite’ che sono lo svolgimento e l’abbellimento della precedente, sono condensate nei sinassari bizantini, uno di questi, narra che Irene nacque a Magedo (Persia) figlia di re e prima di essere battezzata si chiamava Penelope, segue tutta una carrellata d’inverosimili miracoli e conversioni di pagani in massa; alla fine la santa è mandata a morte dal re di Persia, Sapore (272), quando nacque l'imperatore Costantino.
Secondo un’altra tradizione Irene, figlia di Licinio, sarebbe originaria di Lecce, dove è festeggiata al 5 maggio con il nome di Erina.
Dal V secolo a Costantinopoli vi erano già due chiese a lei intitolate, più volte restaurate e ricostruite di cui una esiste tuttora.
Dal
Sinassario ufficiale della Chiesa Ortodossa
Il
5 del mese di Maggio, celebriamo la memoria della santa e grande martire IRENE
Quando Sant'Irene era la patrona di Lecce...
Sta in
Santo
Lando martire in Italia a Vasanello
sotto Diocleziano verso il 296
Di origini germaniche, nasce
probabilmente a Colonia intorno al 279 d.C. Di nobile famiglia, entrò
adolescente nell’esercito romano; discese quindi in Italia dove abbracciò la
fede cristiana. Nell’allora Castrum Bassanelli, oggi Vasanello, regnante
l’imperatore
Diocleziano, nel dies natalis del 5
maggio 296, pagò con la decapitazione il rifiuto di rinunciare alla fede
cristiana e sacrificare alle divinità pagane.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/93117
Nasce
intorno al 279-280, sotto il pontificato di Eutichiano e l’impero di Probo, da
una famiglia nobile e cristiana; lascia presto la patria terrena e scegli la
patria universale della Chiesa quale precursore di quella milizia ausiliaria
che si batte coraggiosamente per difendere i diritti di Dio e la patria
dell’anima in una terra dove avrebbe presto data la suprema testimonianza del
sangue. Poiché di origini nobili, nella vicina Treviri nel 292, entrò
nell’esercito adolescente, quando già il cristianesimo era entrato largamente
nell’esercito, in un periodo di tolleranza religiosa. La legione XIII
Fulminante reclutata da Marco Aurelio in Armenia, prima nazione a riconoscersi
cristiana, era composta quasi da tutti cristiani.
Massimiano lo scelse per far parte della guardia imperiale ed accettò lealmente la disciplina militare al servizio dell’imperatore. Viveva tranquillo perché sapeva che la sua spada difendeva oltre alla civiltà di Roma, anche il tesoro della fede. Ma quando ebbe la percezione di una recrudescenza delle persecuzioni contro i cristiani, Lando, nel 294, si schiera decisamente sotto la bandiera di Cristo, sentendo la forza portentosa della verità. La sua figura di cavaliere soldato che impugna il vessillo della croce è la iconografia più fedele del Santo. Venuto in Italia al seguito di Massimiano di ritorno dalle Gallie, dopo un breve periodo, presumibilmente trascorso a Roma, sosta nell’antica Faleri sulla via Flaminia. Qui in una grotta ritrova e battezza i suoi fratelli spirituali, S. Valentino, S. Rotilio, S. Ilario, S. Florenzio e S. Felicissima. Presa la via Amerina, una diramazione della Flaminia che conduceva ad Ameria (Amelia), perviene a Bassanello, già castello etrusco.
Per la predicazione incessante della fede di Cristo, delle verità della religione cristiana, e nel confutare gli errori del paganesimo e la religione dello stato, anche come personaggio troppo in vista, finì presto davanti all’Augusto imperatore Diocleziano che dopo un primo periodo di tolleranza e favore verso i cristiani (sua moglie Prisca e sua figlia Valeria lo erano), ne divenne un feroce persecutore a cominciare da quelli arruolati nell’esercito. Comportamento dettato dalla paura dello sfaldamento dell’impero e dietro le pressioni incalzanti di due dei tetrarchi, il cesare Galerio e l’Augusto Massimiano. Da rilevare che, con il suo primato nella tetrarchia da lui ideata (quarto era il cesare era Costanzo Cloro), oltre al governo dell’Impero d’Oriente con capitale Nicomedia, si riservò gli atti più importanti del governo tra cui le persecuzioni, anche quando avvenivano fuori della sua provincia.
Davanti al magistrato imperiale, dove per poter essere assolti bastava negare la propria fede, Lanno, nella intatta costanza della sua fede, subì una spaventosa tortura. Condotto al tempio di Marte per indurlo a sacrificare alla divinità, fece crollare il tempio sotto cui si frantumò l’idolo e perirono i sacerdoti pagani. La sentenza della pena capitale con la decapitazione a mezzo dell’arma onorevole della spada, non tardò ad essere emessa e doveva essere eseguita fuori dell’abitato. Mentre il santo veniva condotto al supplizio, un cieco si fece condurre davanti al martire che toccando in nome di Cristo i suoi occhi riacquistò la luce. Presso la cappella del martirio del Santo alcune grotte lungo la strada avevano per toponomastica San Ceconato.
Sul luogo del martirio, il Santo appena diciassettenne, si toglie la clamide, si inginocchia, piega il capo e congiunge le mani “in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”. Nell’anno precedente al martirio dell’altro milite San Sebastiano, nel dies natalis del 5 maggio del 296, la terra di Bassanello si bagna e si impreziosisce del sangue. Con il suo sacrificio, l’impronta di Cristo segnerà per sempre le genti che verranno. Alcuni fedeli riescono a trafugare le sue spoglie mortali ed a seppellirle vicino alle mura castellane. Saranno poi traslate nell’antica basilica bizantina dedicata anch’essa a Santa Maria e quindi, per sottrarlo al pericolo delle invasioni saracene, tumulate dentro le mura castellane. Tra le varie interpretazioni della sigla E.P.S. nell’epigrafe su laterizio rinvenuta nel 1628 presso il loculo in cui fu nel frattempo collocato, vi è quella più probabile dell’Ereptus Periculo Saracenorum.
Massimiano lo scelse per far parte della guardia imperiale ed accettò lealmente la disciplina militare al servizio dell’imperatore. Viveva tranquillo perché sapeva che la sua spada difendeva oltre alla civiltà di Roma, anche il tesoro della fede. Ma quando ebbe la percezione di una recrudescenza delle persecuzioni contro i cristiani, Lando, nel 294, si schiera decisamente sotto la bandiera di Cristo, sentendo la forza portentosa della verità. La sua figura di cavaliere soldato che impugna il vessillo della croce è la iconografia più fedele del Santo. Venuto in Italia al seguito di Massimiano di ritorno dalle Gallie, dopo un breve periodo, presumibilmente trascorso a Roma, sosta nell’antica Faleri sulla via Flaminia. Qui in una grotta ritrova e battezza i suoi fratelli spirituali, S. Valentino, S. Rotilio, S. Ilario, S. Florenzio e S. Felicissima. Presa la via Amerina, una diramazione della Flaminia che conduceva ad Ameria (Amelia), perviene a Bassanello, già castello etrusco.
Per la predicazione incessante della fede di Cristo, delle verità della religione cristiana, e nel confutare gli errori del paganesimo e la religione dello stato, anche come personaggio troppo in vista, finì presto davanti all’Augusto imperatore Diocleziano che dopo un primo periodo di tolleranza e favore verso i cristiani (sua moglie Prisca e sua figlia Valeria lo erano), ne divenne un feroce persecutore a cominciare da quelli arruolati nell’esercito. Comportamento dettato dalla paura dello sfaldamento dell’impero e dietro le pressioni incalzanti di due dei tetrarchi, il cesare Galerio e l’Augusto Massimiano. Da rilevare che, con il suo primato nella tetrarchia da lui ideata (quarto era il cesare era Costanzo Cloro), oltre al governo dell’Impero d’Oriente con capitale Nicomedia, si riservò gli atti più importanti del governo tra cui le persecuzioni, anche quando avvenivano fuori della sua provincia.
Davanti al magistrato imperiale, dove per poter essere assolti bastava negare la propria fede, Lanno, nella intatta costanza della sua fede, subì una spaventosa tortura. Condotto al tempio di Marte per indurlo a sacrificare alla divinità, fece crollare il tempio sotto cui si frantumò l’idolo e perirono i sacerdoti pagani. La sentenza della pena capitale con la decapitazione a mezzo dell’arma onorevole della spada, non tardò ad essere emessa e doveva essere eseguita fuori dell’abitato. Mentre il santo veniva condotto al supplizio, un cieco si fece condurre davanti al martire che toccando in nome di Cristo i suoi occhi riacquistò la luce. Presso la cappella del martirio del Santo alcune grotte lungo la strada avevano per toponomastica San Ceconato.
Sul luogo del martirio, il Santo appena diciassettenne, si toglie la clamide, si inginocchia, piega il capo e congiunge le mani “in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”. Nell’anno precedente al martirio dell’altro milite San Sebastiano, nel dies natalis del 5 maggio del 296, la terra di Bassanello si bagna e si impreziosisce del sangue. Con il suo sacrificio, l’impronta di Cristo segnerà per sempre le genti che verranno. Alcuni fedeli riescono a trafugare le sue spoglie mortali ed a seppellirle vicino alle mura castellane. Saranno poi traslate nell’antica basilica bizantina dedicata anch’essa a Santa Maria e quindi, per sottrarlo al pericolo delle invasioni saracene, tumulate dentro le mura castellane. Tra le varie interpretazioni della sigla E.P.S. nell’epigrafe su laterizio rinvenuta nel 1628 presso il loculo in cui fu nel frattempo collocato, vi è quella più probabile dell’Ereptus Periculo Saracenorum.
Saint THEODORE, évêque de Bologne en Emilie-Romagne (vers 540).
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