Saint ANTHIME, évêque de Terni et de Spolète, invoqué contre la grêle (vers 176).
SEPTANTE-NEUF martyrs crucifiés en Sicile sous Dioclétien (303).
Saints CLAUDE, SABIA et MAXIME, martyrs en Sicile (303).
Saint EUSTATHE, évêque d'Antioche, qui prit part au Ier concile oec uménique (Nicée 325) et fut injustement déposé par les Ariens. (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome II des Ménées. Canon slavon traduit en français par le père Denis Guillaume au tome II du Supplément aux Ménées.)
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92835
Sainte IRENE, vierge à Rome, soeur du pape Damase (379).
Sainte VITALINE, vierge à Artonne près de Riom en Auvergne (390).
Saints ANDRE et ANATOLE, ascètes palestiniens, disciples de saint Euthyme le Grand (Vème siècle).
Sainte BLANCHE (GWENN, TEIRBRONN), "reine" en Bretagne, épouse de saint Frakan et mère des saints Gwenolé, Klervie, Jacut et Guézennec (Vème siècle).
Saints VERULE, SECONDIN, SIRICE, FELIX, SERVULE, SATURNIN, FORTUNAT et SEIZE autres, martyrs en Afrique, probalement par la main des Vandales ariens (vers 434).
Saint FELIX III, évêque de Metz en Lorraine (vers 500). Nel più antico catalogo dei vescovi di Metz, compilato verso il 776, e giunto a noi nel Sacramentario di Drogone, vescovo della stessa città dall'823 all'855, Felice figura al terzo posto, preceduto da Clemente e Celeste, seguito da Paziente, Vittore I e Vittore II. Poiché quest'ultimo è documentato nel 346, il pontificato di Felice dovrà essere collocato nel secondo o terzo decennio del sec. IV. Altre fonti pretendono di precisare che pontificò per quarantadue anni e sei mesi e che morì il 21 febbraio
Sainte VITALINE, vierge à Artonne près de Riom en Auvergne (390).
Saints ANDRE et ANATOLE, ascètes palestiniens, disciples de saint Euthyme le Grand (Vème siècle).
Sainte BLANCHE (GWENN, TEIRBRONN), "reine" en Bretagne, épouse de saint Frakan et mère des saints Gwenolé, Klervie, Jacut et Guézennec (Vème siècle).
Saints VERULE, SECONDIN, SIRICE, FELIX, SERVULE, SATURNIN, FORTUNAT et SEIZE autres, martyrs en Afrique, probalement par la main des Vandales ariens (vers 434).
Saint FELIX III, évêque de Metz en Lorraine (vers 500). Nel più antico catalogo dei vescovi di Metz, compilato verso il 776, e giunto a noi nel Sacramentario di Drogone, vescovo della stessa città dall'823 all'855, Felice figura al terzo posto, preceduto da Clemente e Celeste, seguito da Paziente, Vittore I e Vittore II. Poiché quest'ultimo è documentato nel 346, il pontificato di Felice dovrà essere collocato nel secondo o terzo decennio del sec. IV. Altre fonti pretendono di precisare che pontificò per quarantadue anni e sei mesi e che morì il 21 febbraio
Saint MAXIMIEN, évêque de Ravenne (556).
http://www.santiebeati.it/dettaglio/42430
Saint JEAN III le Scholastique, ancien avocat devenu patriarche de Constantinople (565-577), qui rédigea un Nomocanon et fit introduire dans la divine Liturgie l'hymne "Tou Dheipnou sou tou mystikou" ("A Ta cène mystique"/ "Cinei Tale celei de Taina" ) (577).
Saint BRI, ermite en Bretagne (VIème-VIIème siècles).
Saint PATERE, évêque de Brescia en Lombardie (606).
Saint ZACHARIE, patriarche de Jérusalem, déporté en Perse sous Chosroès II avec la Vraie Croix dont il était le gardien, puis libéré par Héraclius (632 ou 633).
Saint PEPIN de Landen, maire du palais (= premier ministre) de la maison de France sous Clotaire II, Dagobert II et Siegbert II et mari de sainte Itte; remarquable par sa foi, sa moralité et son équité, il est l'ancêtre, par sa fille sainte Begghe, des Carolingiens qui ne restèrent malheureusement pas dans les mêmes dispositions d'orthodoxie que leur glorieux ancêtre; son autre fille fut sainte Gertrude de Nivelles (640).
Pipino
di Landen, detto anche “il Vecchioâ€, duca di Brabante, nacque nel
575, figlio del principe Carlomanno e della principessa Ermengarda. Fu
maestro di palazzo sotto i re di Francia Clotario II, Dagoberto I e
Sigeberto II, esercitando questo grande incarico, un po' differente
dall'autorità reale, con una rara prudenza. Si contraddistinse
particolarmente per la sua fedeltà al re e per il suo amore per il
popolo. Egli abbracciò con costanza ineguagliabile i giusti interessi
dell'uno e dell'altro, senza temere di dover far torto ai diritti reali
in favore del popolo. Con ammirabile equilibrio si prodigò
nell'evitare che, usando come pretesto i diritti del re, si opprimesse e
si prostrasse il popolo, preferendo così la volontà divina a quella
umana, che proibisce di favorire i potenti a scapito dei deboli.
Inoltre, era solito rendere al popolo ciò che secondo la giustizia gli
spettava ed a Cesare solamente ciò che apparteneva legittimamente a
Cesare. Associò a sé al potere Sant'Arnoldo, vescovo di Metz e poi suo
con suocero: non faceva niente senza il suo consiglio, conoscendo la sua
eminente virtù e la sua grande capacità nel governo dello stato. Alla
morte di Arnoldo gli successe nell'amministrazion e degli affari un
altro grande santo, Cuniberto, arcivescovo di Colonia. Ciò può bastare a
giudicare con quale ardore egli abbracciasse la giustizia in ogni sua
sfaccettatura, scegliendo degli uomini così eccellenti ed incorruttibili
per essere fedeli consiglieri di ogni sua azione.
Ma il re dei Franchi Clotario II non si limitò a mettergli tra le mani la prima carica dello stato, nominandolo maestro di palazzo, e decise dunque di onorarlo di tutta la sua confidenza donandogli tutto il potere che un grande ministro può sperare. Associato il suo figlio primogenito Dagoberto ad una parte della sua potenza e messolo in possesso del regno d'Austrasia, Clotario scelse nel 622 fra tutti i grandi della corte proprio Pinino, uomo ammirabile, per conferirgli interamente la guida del giovane neosovrano.
Pipino esercitò degnamente questa nuova carica, non dimenticando niente di ciò che poteva imprimere nello spirito di Dagoberto il timor di Dio e l'amore per la giustizia, mettendogli sovente davanti agli occhi queste belle parole del Vangelo: “Il trono di un re che rende giustizia ai poveri non sarà mai rovesciatoâ€.
Fu proprio grazie alla prudenza di Pipino che Dagoberto I poté governare bene e fortunatamente, anche quando alla morte del padre ne ereditò il potere sugli altri stati del suo regno. La fazione di suo fratello Cariberto e di vari altri dissidenti fu presto dissipata grazie al valore di Pipino, che si dimostrò valoroso nella guerra, ma soprattutto giusto e saggio nella pace. Dagoberto, riservatosi esclusivamente i diritti che gli erano propri, si guadagnò il cuore di tutto il popolo per la sua libertà, la sua giustizia, la sua dolcezza e tutte le altre qualità degne di un grande re, eguagliando e sorpassando la reputazione dei più illustri dei suoi predecessori. Il suo regno fu uno dei più belli, essendo stato sempre guidato dai consigli di un santo ed abile maestro quale fu Pipino.
Ma, come niente è più difficile che conservare lo spirito puro nel mezzo della corruzione del secolo, ed il corpo casto tra i piaceri che accompagnavano la prosperità e la sovrana potenza, il re Dagoberto si tuffo ad un certo punto nella voluttà, facendo ricorso a metodi ingiusti per soddisfare le sue spese folli e disordinate. Il cuore di Pipino non poté che sentirsi trafitto dal dolore , lo riprese severamente e gli fece notare la sua ingratitudine verso Dio. Ma il giovane non sopportò i suoi rimproveri e meditò di ucciderlo, spinto anche da qualche cortigiano che odiava il santo ed invidiava la sua virtù. Ma Dio, che è il protettore dei giusti, liberò Pipino da questo pericolo. Il re comprese infine la giustezza delle sue rimostranze e tornò a manifestare più venerazione che mai nei suoi confronti. Per dargli una prova non equivoca pose tra le sue mani il suo figlio Sigeberto, che nel 633 inviò a regnare in Austrasia sotto la sua guida. Il giovane fu in realtà re solo di nome, poiché l'effettivo governo del regno fu in realtà completamente in mano a Pipino. Proprio in tale periodo l'Austrasia si trovò liberata dalle grandi incursioni dei barbari, repressi e confinati nel loro paese, che aveva subito sino ad allora. Dopo la morte del re Dagoberto I, Pipino avrebbe desiderato mettere Sigeberto II in possesso di tutti i suoi stati, se suo padre non lo avesse precedentemente obbligato ad accontentarsi dell'Austrasia ed a lasciare il regno di Francia a Clodoveo, figlio secondogenito.
La morte del santo duca Pipino, avvenuta il 21 febbraio 640 nel suo castello di Landen, nel Brabante, fece piombare l'intera Austrasia in una profonda afflizione, che lo pianse quale fosse stato uno dei suoi migliori re, ricordandone la sua vita impregnata di santità, la sua reputazione senza macchia, la sua saggezza e la sua condotta ammirabili. Egli fu sempre giustamente considerato quale protettore delle leggi, sostegno dei deboli, nemico delle divisioni, ornamento della corte, esempio per i grandi, guida dei re e padre della patria.
Il suo corpo, subito deposto nel luogo della morte, fu in seguito trasferito nel monastero di Nivelle.
E' da precisare che il personaggio in questione, Pipino di Landen, non è assolutamente da confondere con altri due suoi omonimi i cui nomi sono assai più celebri suoi nostri libri di storia: il primo è Pipino di Héristal, anch'egli maestro di palazzo e padre di Carlo Martello, mentre il secondo è Pipino il Breve, figlio appunto di Carlo Martello e primo re francese appartenente alla seconda dinastia, cioè quella poi definita carolingia. Il nostro santo, invece, più antico di entrambi, fu antenato di Pipino di Héristal tramite sua figlia Begga, che sposò il figlio del vescovo sant'Arnoldo, da quest'ultimo donatole per il bene della Francia ed il sostegno della sua grande ed illustre monarchia.
Si può dunque come constatare come la famiglia di Pipino sia stata una famiglia di grandi santi e sante. Sua moglie Itta, nome italianizzato in Ida, sorella dell'arcivescovo di Trèves san Modoaldo, dopo aver vissuto santamente la realtà matrimoniale, si prodigò anche da vedova in ogni sorta di buone opere e ricevette il velo di benedettina del celebre monastero di Nivelles. Qui trascorse il resto dei suoi giorni, offrendo alle altre religiose un raro esempio di perfezione e di virtù. Alla sua morte anche il corpo di Pipino fu ricongiunto a lei in questo monastero da loro fondato. Ida è venerata come santa l'8 maggio.
Pipino e Ida possono dunque essere considerati i capostipiti della dinastia dei Pipinidi, detta poi “carolingia†in onore del primo Sacro Romano Imperatore Carlo Magno.
Dopo il primogenito Grimoldo, che successe al padre Pipino, nacquero due figlie
La primogenita, la grande ed illustre Santa Geltrude, ancora giovanissima dichiarò dinnanzi alla corte franca di scegliere la vita religiosa e di preferire l'obbedienza al Creatore piuttosto che l'autorità regia. Pare infatti che il re Dagoberto stesse ipotizzando un matrimonio con lei. Entrata nel monastero di Nivelles, ne venne eletta prima badessa all'età di appena vent'anni per le sue eccezionali qualità. Fu eminente in santità, a tal punto da poter essere considerata come uno dei più bei lumi della cristianità.
Sua sorella Santa Begga, invece, ebbe l'onore di essere la radice da cui nacque la seconda dinastia dei re di Francia, come già spiegato precedentemente.
Pipino di Landen lasciò dunque dietro di sé una tale scia di santità tanto da essere considerato subito un santo pur senza essere stato ne monaco, ne prete, ne vescovo, bensì un semplice laico. E' venerato il 21 febbraio, anniversario della sua nascita al cielo.
Ma il re dei Franchi Clotario II non si limitò a mettergli tra le mani la prima carica dello stato, nominandolo maestro di palazzo, e decise dunque di onorarlo di tutta la sua confidenza donandogli tutto il potere che un grande ministro può sperare. Associato il suo figlio primogenito Dagoberto ad una parte della sua potenza e messolo in possesso del regno d'Austrasia, Clotario scelse nel 622 fra tutti i grandi della corte proprio Pinino, uomo ammirabile, per conferirgli interamente la guida del giovane neosovrano.
Pipino esercitò degnamente questa nuova carica, non dimenticando niente di ciò che poteva imprimere nello spirito di Dagoberto il timor di Dio e l'amore per la giustizia, mettendogli sovente davanti agli occhi queste belle parole del Vangelo: “Il trono di un re che rende giustizia ai poveri non sarà mai rovesciatoâ€.
Fu proprio grazie alla prudenza di Pipino che Dagoberto I poté governare bene e fortunatamente, anche quando alla morte del padre ne ereditò il potere sugli altri stati del suo regno. La fazione di suo fratello Cariberto e di vari altri dissidenti fu presto dissipata grazie al valore di Pipino, che si dimostrò valoroso nella guerra, ma soprattutto giusto e saggio nella pace. Dagoberto, riservatosi esclusivamente i diritti che gli erano propri, si guadagnò il cuore di tutto il popolo per la sua libertà, la sua giustizia, la sua dolcezza e tutte le altre qualità degne di un grande re, eguagliando e sorpassando la reputazione dei più illustri dei suoi predecessori. Il suo regno fu uno dei più belli, essendo stato sempre guidato dai consigli di un santo ed abile maestro quale fu Pipino.
Ma, come niente è più difficile che conservare lo spirito puro nel mezzo della corruzione del secolo, ed il corpo casto tra i piaceri che accompagnavano la prosperità e la sovrana potenza, il re Dagoberto si tuffo ad un certo punto nella voluttà, facendo ricorso a metodi ingiusti per soddisfare le sue spese folli e disordinate. Il cuore di Pipino non poté che sentirsi trafitto dal dolore , lo riprese severamente e gli fece notare la sua ingratitudine verso Dio. Ma il giovane non sopportò i suoi rimproveri e meditò di ucciderlo, spinto anche da qualche cortigiano che odiava il santo ed invidiava la sua virtù. Ma Dio, che è il protettore dei giusti, liberò Pipino da questo pericolo. Il re comprese infine la giustezza delle sue rimostranze e tornò a manifestare più venerazione che mai nei suoi confronti. Per dargli una prova non equivoca pose tra le sue mani il suo figlio Sigeberto, che nel 633 inviò a regnare in Austrasia sotto la sua guida. Il giovane fu in realtà re solo di nome, poiché l'effettivo governo del regno fu in realtà completamente in mano a Pipino. Proprio in tale periodo l'Austrasia si trovò liberata dalle grandi incursioni dei barbari, repressi e confinati nel loro paese, che aveva subito sino ad allora. Dopo la morte del re Dagoberto I, Pipino avrebbe desiderato mettere Sigeberto II in possesso di tutti i suoi stati, se suo padre non lo avesse precedentemente obbligato ad accontentarsi dell'Austrasia ed a lasciare il regno di Francia a Clodoveo, figlio secondogenito.
La morte del santo duca Pipino, avvenuta il 21 febbraio 640 nel suo castello di Landen, nel Brabante, fece piombare l'intera Austrasia in una profonda afflizione, che lo pianse quale fosse stato uno dei suoi migliori re, ricordandone la sua vita impregnata di santità, la sua reputazione senza macchia, la sua saggezza e la sua condotta ammirabili. Egli fu sempre giustamente considerato quale protettore delle leggi, sostegno dei deboli, nemico delle divisioni, ornamento della corte, esempio per i grandi, guida dei re e padre della patria.
Il suo corpo, subito deposto nel luogo della morte, fu in seguito trasferito nel monastero di Nivelle.
E' da precisare che il personaggio in questione, Pipino di Landen, non è assolutamente da confondere con altri due suoi omonimi i cui nomi sono assai più celebri suoi nostri libri di storia: il primo è Pipino di Héristal, anch'egli maestro di palazzo e padre di Carlo Martello, mentre il secondo è Pipino il Breve, figlio appunto di Carlo Martello e primo re francese appartenente alla seconda dinastia, cioè quella poi definita carolingia. Il nostro santo, invece, più antico di entrambi, fu antenato di Pipino di Héristal tramite sua figlia Begga, che sposò il figlio del vescovo sant'Arnoldo, da quest'ultimo donatole per il bene della Francia ed il sostegno della sua grande ed illustre monarchia.
Si può dunque come constatare come la famiglia di Pipino sia stata una famiglia di grandi santi e sante. Sua moglie Itta, nome italianizzato in Ida, sorella dell'arcivescovo di Trèves san Modoaldo, dopo aver vissuto santamente la realtà matrimoniale, si prodigò anche da vedova in ogni sorta di buone opere e ricevette il velo di benedettina del celebre monastero di Nivelles. Qui trascorse il resto dei suoi giorni, offrendo alle altre religiose un raro esempio di perfezione e di virtù. Alla sua morte anche il corpo di Pipino fu ricongiunto a lei in questo monastero da loro fondato. Ida è venerata come santa l'8 maggio.
Pipino e Ida possono dunque essere considerati i capostipiti della dinastia dei Pipinidi, detta poi “carolingia†in onore del primo Sacro Romano Imperatore Carlo Magno.
Dopo il primogenito Grimoldo, che successe al padre Pipino, nacquero due figlie
La primogenita, la grande ed illustre Santa Geltrude, ancora giovanissima dichiarò dinnanzi alla corte franca di scegliere la vita religiosa e di preferire l'obbedienza al Creatore piuttosto che l'autorità regia. Pare infatti che il re Dagoberto stesse ipotizzando un matrimonio con lei. Entrata nel monastero di Nivelles, ne venne eletta prima badessa all'età di appena vent'anni per le sue eccezionali qualità. Fu eminente in santità, a tal punto da poter essere considerata come uno dei più bei lumi della cristianità.
Sua sorella Santa Begga, invece, ebbe l'onore di essere la radice da cui nacque la seconda dinastia dei re di Francia, come già spiegato precedentemente.
Pipino di Landen lasciò dunque dietro di sé una tale scia di santità tanto da essere considerato subito un santo pur senza essere stato ne monaco, ne prete, ne vescovo, bensì un semplice laico. E' venerato il 21 febbraio, anniversario della sua nascita al cielo.
Sainte ERCOGONTHA, Anglaise de nation, moniale à Faremoutier- en-Brie (660).
Saints GERMAIN, fondateur de l'abbaye de Grandval près de Moutier dans l'actuel Jura bernois (Suisse), et RANDANT (RANDOALD), son disciple, martyrs sur l'ordre du duc d'Alsace Adalric (675). (Adalric, qui aurait été le père de sainte Odile, se serait plus tard repenti et "à cette fin apaisée se mesure l'efficacité de la prière des martyrs, laquelle est semence d'oubli et de miséricorde", comme écrit Walzer in Vie des Saints du Jura, p. 174). Nel monastero di Grandfelt odierna Svizzera, san Germano, abate, che, avendo voluto difendere con parole di pace gli abitanti dei dintorni del monastero assaliti da una banda di predatori, morì insieme al santo monaco Randoaldo spogliato delle vesti e trafitto da una lancia
Saint GOMBERT ou GONDELBERT, évêque de Sens en Bourgogne, puis fondateur du monastère de Senones et solitaire (vers 675).
Saint VALERE, higoumène de San Pedro de Montes en Espagne (vers 695).
Saint EMEBERT, évêque de Cambrai et d'Arras réunis (vers 715).
Saint TIMOTHEE, ascète du monastère des Symboles à l'Olympe de Bithynie (vers 795). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome II des Ménées.) Saint Timothy of Symbola, was of Italian descent. He became a monk at a young age and pursued asceticism at a monastery called "Symbola," in Asia Minor near Mount Olympus. At that time Theoctistus was the archimandrite of the monastery. St Timothy was the disciple of Theoctistus and also of St Platon of the Studion Monastery (April 5).
Troparion — Tone 4
O God of our Fathers, / always act with kindness towards us; / take not Your mercy from us, / but guide our lives in peace / through the prayers of Saints Timothy and Eustathius.Kontakion — Tone 4
Podoben: “Today You have shown forth...” / Blessed wonder-worker, Timothy, / you rose from the east like a brilliant star / causing virtue to spring in the hearts of the faithful / through your miracles.Attaining a high degree of spiritual perfection, he received from God the gift of healing the sick and casting out unclean spirits. He spent many years as a hermit, roaming the wilderness, the mountains and forests, both day and night offering up prayer to the Lord God. He died at a great old age, in the year 795.
Saint DINAN, fondateur de monastère à Dinan en Bretagne (IXème siècle).
Saint GEORGES, évêque d'Amastris en Paphlagonie (vers 805).
L'icône de la Mère de Dieu du village de Kozielchtchina dans la région de Poltava ("KOZIELCHTCHANSKAÏ A") (Ukraine 1881).
The
Kozelshchansk Icon of the Mother of God was glorified in the late
nineteenth century, though it is older than that. This icon is of
Italian origin and was brought to Russia by one of Empress
Elizabeth's (1741-1761) maids of honor, who was Italian. The owner of
the icon married a records clerk of the Zaporozhsky- Cossack army, Siromakh. So, the icon went to the Ukraine with them.
During the nineteenth century it belonged to the family of Count Vladimir Kapnist, and was one of their sacred possessions. The icon was in the village of Kozelschina, Poltava governance. During Cheesefare Week in the year 1880, Maria, the daughter of V. I. Kapnist, dislocated some bones in her foot. The local doctor said the problem was not serious. Dr. Grube, a noted surgeon in Kharkov, agreed with the diagnosis, and he applied a plaster cast to Maria's foot. He also prescribed hot baths and iron supplements. To lessen the discomfort of the foot while walking, a special shoe was made with metal bands that went around the girl's leg. Lent passed, but the girl did not feel any relief.
After Pascha, Maria's other foot became twisted. Then both shoulders and her left hip became dislocated, and she developed pain in her spine. The doctor advised Count Kapnist to take his daughter immediately to the Caucasus for the curative mineral waters and mountain air. The journey to the Caucasus and the curative treatments caused even greater affliction. The girl lost all feeling in her hands and feet, and did not even feel pinches.
Because of the advanced degree of the illness, and since therapy was not helping, they were compelled to return home.
In the month of October, the father journeyed with his sick daughter to Moscow. Here he consulted specialists, who declared that they could do nothing for Maria.
The parents and the sick girl began to despair. However, an unexpected opportunity for help from a foreign professor presented itself. Since it would be some while before his arrival in Moscow, the sick girl asked to return home. The Count sent her back to the village, and his wife promised to bring their daughter back to Moscow when he received news of the the professor's arrival. On February 21, 1881, they received a telegram saying that the professor had arrived in Moscow.
On the day before the appointment, Maria's mother suggested that she pray before the family icon of the Mother of God. She said to her daughter, "Masha [a diminutive form of Maria], tomorrow we go to Moscow. Take the icon, let us clean its cover and pray to the Most Holy Theotokos that your infirmity be cured."
The girl, who had no confidence in earthly physicians, placed all her hope in God. This icon had long been known as wonderworking. According to Tradition, young women would pray before it to have a happy family. It was also the custom to clean the cover of the icon, and the one praying would wipe it with cotton or linen.
Pressing the holy icon to her bosom, the sick girl, with the help of her mother, cleaned it and poured out all her sorrow and despair of soul to the Mother of God. All at once, she felt the strength return to her body and she cried out loudly, "Mama! Mama! I can feel my legs! I can feel my hands!" She tore off the metal braces and bandages and began to walk about the room, while continuing to hold the icon of the Mother of God in her hands.
The parish priest was summoned at once and celebrated a service of Thanksgiving before the icon. The joyous event quickly became known throughout all the surrounding villages. The Countess and Maria went to Moscow and took with them the holy icon of the Mother of God. News of the healing quickly spread about Moscow and people began to throng to the hotel, and then to the church, where they had brought the icon.
The icon continued to work several more healings. When the family returned home to Kozelschina, people had already heard about the miracles of the Kozelschansk icon of the Mother of God in Moscow, and many came to venerate the icon. It was no longer possible to keep the icon at home, so by the order of Archbishop John of Poltava, the icon was transferred to a temporary chapel on April 23, 1881. Every day from early morning, services of Thanksgiving and Akathists were served before the icon.
In 1882 a chapel was built on the grounds of the estate, and then a church. decision of the Holy Synod on March 1, 1885 a women's monastery was established, and on February 17, 1891 it was dedicated to the Nativity of the Most Holy Theotokos.
At present, the Kozelschansk Icon is in the Krasnogorsk Protection women's monastery (Kiev diocese). In the lower left corner of the icon is a table with a cup and a spoon. It is believed that this symbolizes the Mother of God as a "bowl for mixing the wine of joy" (Akathist, Ikos 11). A Service and an Akathist have been composed for the Kozelschansk Icon.
Saints ALEXANDRE et DANIEL, prêtres, martyrs par la main des Communistes (Russie 1930).
During the nineteenth century it belonged to the family of Count Vladimir Kapnist, and was one of their sacred possessions. The icon was in the village of Kozelschina, Poltava governance. During Cheesefare Week in the year 1880, Maria, the daughter of V. I. Kapnist, dislocated some bones in her foot. The local doctor said the problem was not serious. Dr. Grube, a noted surgeon in Kharkov, agreed with the diagnosis, and he applied a plaster cast to Maria's foot. He also prescribed hot baths and iron supplements. To lessen the discomfort of the foot while walking, a special shoe was made with metal bands that went around the girl's leg. Lent passed, but the girl did not feel any relief.
After Pascha, Maria's other foot became twisted. Then both shoulders and her left hip became dislocated, and she developed pain in her spine. The doctor advised Count Kapnist to take his daughter immediately to the Caucasus for the curative mineral waters and mountain air. The journey to the Caucasus and the curative treatments caused even greater affliction. The girl lost all feeling in her hands and feet, and did not even feel pinches.
Because of the advanced degree of the illness, and since therapy was not helping, they were compelled to return home.
In the month of October, the father journeyed with his sick daughter to Moscow. Here he consulted specialists, who declared that they could do nothing for Maria.
The parents and the sick girl began to despair. However, an unexpected opportunity for help from a foreign professor presented itself. Since it would be some while before his arrival in Moscow, the sick girl asked to return home. The Count sent her back to the village, and his wife promised to bring their daughter back to Moscow when he received news of the the professor's arrival. On February 21, 1881, they received a telegram saying that the professor had arrived in Moscow.
On the day before the appointment, Maria's mother suggested that she pray before the family icon of the Mother of God. She said to her daughter, "Masha [a diminutive form of Maria], tomorrow we go to Moscow. Take the icon, let us clean its cover and pray to the Most Holy Theotokos that your infirmity be cured."
The girl, who had no confidence in earthly physicians, placed all her hope in God. This icon had long been known as wonderworking. According to Tradition, young women would pray before it to have a happy family. It was also the custom to clean the cover of the icon, and the one praying would wipe it with cotton or linen.
Pressing the holy icon to her bosom, the sick girl, with the help of her mother, cleaned it and poured out all her sorrow and despair of soul to the Mother of God. All at once, she felt the strength return to her body and she cried out loudly, "Mama! Mama! I can feel my legs! I can feel my hands!" She tore off the metal braces and bandages and began to walk about the room, while continuing to hold the icon of the Mother of God in her hands.
The parish priest was summoned at once and celebrated a service of Thanksgiving before the icon. The joyous event quickly became known throughout all the surrounding villages. The Countess and Maria went to Moscow and took with them the holy icon of the Mother of God. News of the healing quickly spread about Moscow and people began to throng to the hotel, and then to the church, where they had brought the icon.
The icon continued to work several more healings. When the family returned home to Kozelschina, people had already heard about the miracles of the Kozelschansk icon of the Mother of God in Moscow, and many came to venerate the icon. It was no longer possible to keep the icon at home, so by the order of Archbishop John of Poltava, the icon was transferred to a temporary chapel on April 23, 1881. Every day from early morning, services of Thanksgiving and Akathists were served before the icon.
In 1882 a chapel was built on the grounds of the estate, and then a church. decision of the Holy Synod on March 1, 1885 a women's monastery was established, and on February 17, 1891 it was dedicated to the Nativity of the Most Holy Theotokos.
At present, the Kozelschansk Icon is in the Krasnogorsk Protection women's monastery (Kiev diocese). In the lower left corner of the icon is a table with a cup and a spoon. It is believed that this symbolizes the Mother of God as a "bowl for mixing the wine of joy" (Akathist, Ikos 11). A Service and an Akathist have been composed for the Kozelschansk Icon.
Saints ALEXANDRE et DANIEL, prêtres, martyrs par la main des Communistes (Russie 1930).
St Leo of Katan with Scenes from His Life
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