Saints
NAZAIRE, PROTAISE (PROTASIOS), GERVAIS et CELSE, martyrs à Milan en
Lombardie sous Néron (entre 64 et 68). (Office traduit en français par
le père Denis Guillaume au tome X des
Ménées.)
Santi Nazario
Protasio Gervasio e Celso martiri a Milano sotto Nerone(tra il 64 e il 68 )
Le notizie piú antiche sui santi Gervasio e
Protasio risalgono al 386, anno della invenzione dei loro corpi a Milano ad
opera di s. Ambrogio.
Il 7 giugno 386, nella zona cimiteriale di
Porta Vercellina (nell'area compresa tra la basilica di S. Ambrogio,
l'Università Cattolica e la caserma Garibaldi), nel sottosuolo antistante la
basilica cimiteriale dei SS. Nabore e Felice, s. Ambrogio fece operare uno
scavo: vi si trovarono i corpi dei due martiri il cui ricordo era andato
praticamente perduto nella Chiesa di Milano.
La passio presenta Gervasio e Protasio come
figli gemelli dei ss. Vitale e Valeria. Morti per fede i genitori, i due
fratelli vendettero i beni di famiglia, ne distribuirono il ricavato ai poveri
e si ritirarono in una casetta ove passarono dieci anni in preghiera e
meditazione. Denunziati come cristiani ad Astasio, di passaggio per Milano
diretto alla guerra contro i Marcomanni, non vollero assolutamente sacrificare
e perciò furono condannati a morte. Gervasio morí sotto i colpi dei flagelli,
Protasio venne invece decapitato.
Sono venerati come compatroni della Diocesi
di Milano.
Paolino, biografo di sant’Ambrogio
riferisce che il vescovo di Milano ebbe un’ispirazione che lo guidò sulla tomba
sconosciuta di due martiri negli orti fuori città. Erano Nazario e Celso. Il
corpo del primo era intatto e fu trasportato in una chiesa davanti a Porta
Romana, dove sorse una basilica a suo nome. Sulle reliquie di Celso, le ossa,
sorse una nuova basilica. Nazario aveva predicato in Italia, a Treviri e in
Gallia. Qui battezzò Celso che aveva nove anni. Furono martirizzati a Milano
nel 304, durante la persecuzione di Diocleziano.
Troparion — Tone 4
Let us praise the fourfold company of martyrs: / Nazarius, Protase, Gervase and Celsus. / For they preached the Trinity to all / And by their contest dispelled the worship of idols. / Through their prayers, O Christ God, have mercy on us all.Milan (Italy). Saint Protasius. Detail from the mosaic in the shrine of San Vittore in ciel d'oro, now a chapel of Sant'Ambrogio basilica. The building dates back to the 4th century, the mosaic to the second half of the 5th century. Picture by Giovanni Dall'Orto, April 25 2007 Wikimédia Commons
http://www.santiebe ati.it/dettaglio /58350
Martirologio Romano: A Milano,
commemorazione dei santi Gervasio e Protasio, martiri, i cui corpi furono
rinvenuti da sant’Ambrogio e in questo giorno solennemente traslati nella nuova
basilica da lui costruita.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91131
Vitale
e Valeria, genitori dei santi Gervasio e Protasio, anch’essi martiri, sono
celebrati insieme il 28 aprile. In particolare s. Vitale ha avuto, una
raffigurazione nell’arte molto vasta, a lui sono dedicate la basilica di S.
Vitale in Ravenna, con i suoi magnifici mosaici, la chiesa omonima a Venezia,
dove è raffigurato vestito da soldato a cavallo che solleva uno stendardo, con
lancia, spada e mazza, strumento del martirio della sua sposa Valeria. Ancora a
lui è dedicata la chiesa di S. Vitale a Roma, con gli affreschi narranti il suo
martirio.
Le prime notizie che si hanno di Vitale e Valeria provengono da un opuscolo scritto da Filippo, che si nomina ‘servus Christi’ e a cui sono intitolati i più antichi nuclei di vita cristiana a Milano, come l’hortus Philippi e la domus Philippi; detto opuscolo fu rinvenuto accanto al capo dei corpi dei martiri Gervasio e Protasio, ritrovati da s. Ambrogio nel 396.
L’opuscolo oltre a narrare il martirio dei due fratelli, descrive anche quello dei due genitori Vitale e Valeria e del medico ligure, forse operante a Ravenna Ursicino, vissuti e morti nel III secolo; Vitale è un ufficiale che ha accompagnato il giudice Paolino da Milano a Ravenna.
Scoppiata la persecuzione contro i cristiani, accompagna, incoraggiandolo Ursicino condannato a morte, il quale durante il tragitto verso il luogo dell’esecuzione, era rimasto turbato dall’orrore di trovarsi davanti alla morte violenta. Ursicino viene decapitato e decorosamente sepolto dallo stesso Vitale, dentro la città di Ravenna.
Lo stesso Vitale viene arrestato e dopo aver subito varie torture per farlo apostatare dal cristianesimo, il giudice Paolino ordina che venga gettato in una fossa profonda e ricoperto di sassi e terra; così anch’egli diventa un martire di Ravenna e il suo sepolcro nei pressi della città, diviene fonte di grazie.
La moglie Valeria avrebbe voluto riprendersi il corpo del marito, ma i cristiani di Ravenna glielo impediscono, allora cerca di ritornare a Milano, ma durante il viaggio incontra una banda di villani idolatri, che la invitano a sacrificare con loro al dio Silvano; essa rifiuta e per questo viene percossa così violentemente, che portata a Milano, muore tre giorni dopo.
I giovani figli Gervasio e Protasio, vendono tutti i loro beni, dandoli ai poveri e si dedicano alle sacre letture, alla preghiera e dieci anni dopo vengono anch’essi martirizzati; il già citato Filippo ne cura la sepoltura.
Molti studiosi ritengono che la narrazione sia in parte fantasiosa, riconoscendo nei personaggi citati, altre figure di martiri omonimi venerati sia a Milano che a Ravenna; l’antica chiesa di S. Valeria a Milano, distrutta nel 1786, per gli studiosi non era che la ‘cella memoriæ’ della primitiva area cimiteriale milanese, intitolata appunto alla gens Valeria.
In ogni modo il racconto leggendario o veritiero è documentato da celebri monumenti anche di notevole antichità. La basilica ravennate consacrata il 17 maggio 548, è dedicata oltre che a S. Vitale anche ai suoi figli Gervasio e Protasio, le cui immagini sono poste sotto la lista degli apostoli, mentre un altare laterale è dedicato a s. Ursicino.
Nei mosaici di S. Apollinare Nuovo poi sono rappresentati tutti i cinque personaggi; dall’11° al 14° posto della fila dei santi vi sono i quattro uomini e al nono posto della fila delle sante c’è Valeria.
Numerosi documenti e Martirologi li nominano durante i secoli, specie s. Vitale e s. Ursicino martiri a Ravenna. A Milano sorsero le tre chiese che data la loro vicinanza, confermarono la stretta parentela dei martiri, come era uso costruire allora, la chiesa di S. Vitale, la chiesa di S. Valeria (poi distrutta) e S. Ambrogio dove riposano i due fratelli gemelli
Le prime notizie che si hanno di Vitale e Valeria provengono da un opuscolo scritto da Filippo, che si nomina ‘servus Christi’ e a cui sono intitolati i più antichi nuclei di vita cristiana a Milano, come l’hortus Philippi e la domus Philippi; detto opuscolo fu rinvenuto accanto al capo dei corpi dei martiri Gervasio e Protasio, ritrovati da s. Ambrogio nel 396.
L’opuscolo oltre a narrare il martirio dei due fratelli, descrive anche quello dei due genitori Vitale e Valeria e del medico ligure, forse operante a Ravenna Ursicino, vissuti e morti nel III secolo; Vitale è un ufficiale che ha accompagnato il giudice Paolino da Milano a Ravenna.
Scoppiata la persecuzione contro i cristiani, accompagna, incoraggiandolo Ursicino condannato a morte, il quale durante il tragitto verso il luogo dell’esecuzione, era rimasto turbato dall’orrore di trovarsi davanti alla morte violenta. Ursicino viene decapitato e decorosamente sepolto dallo stesso Vitale, dentro la città di Ravenna.
Lo stesso Vitale viene arrestato e dopo aver subito varie torture per farlo apostatare dal cristianesimo, il giudice Paolino ordina che venga gettato in una fossa profonda e ricoperto di sassi e terra; così anch’egli diventa un martire di Ravenna e il suo sepolcro nei pressi della città, diviene fonte di grazie.
La moglie Valeria avrebbe voluto riprendersi il corpo del marito, ma i cristiani di Ravenna glielo impediscono, allora cerca di ritornare a Milano, ma durante il viaggio incontra una banda di villani idolatri, che la invitano a sacrificare con loro al dio Silvano; essa rifiuta e per questo viene percossa così violentemente, che portata a Milano, muore tre giorni dopo.
I giovani figli Gervasio e Protasio, vendono tutti i loro beni, dandoli ai poveri e si dedicano alle sacre letture, alla preghiera e dieci anni dopo vengono anch’essi martirizzati; il già citato Filippo ne cura la sepoltura.
Molti studiosi ritengono che la narrazione sia in parte fantasiosa, riconoscendo nei personaggi citati, altre figure di martiri omonimi venerati sia a Milano che a Ravenna; l’antica chiesa di S. Valeria a Milano, distrutta nel 1786, per gli studiosi non era che la ‘cella memoriæ’ della primitiva area cimiteriale milanese, intitolata appunto alla gens Valeria.
In ogni modo il racconto leggendario o veritiero è documentato da celebri monumenti anche di notevole antichità. La basilica ravennate consacrata il 17 maggio 548, è dedicata oltre che a S. Vitale anche ai suoi figli Gervasio e Protasio, le cui immagini sono poste sotto la lista degli apostoli, mentre un altare laterale è dedicato a s. Ursicino.
Nei mosaici di S. Apollinare Nuovo poi sono rappresentati tutti i cinque personaggi; dall’11° al 14° posto della fila dei santi vi sono i quattro uomini e al nono posto della fila delle sante c’è Valeria.
Numerosi documenti e Martirologi li nominano durante i secoli, specie s. Vitale e s. Ursicino martiri a Ravenna. A Milano sorsero le tre chiese che data la loro vicinanza, confermarono la stretta parentela dei martiri, come era uso costruire allora, la chiesa di S. Vitale, la chiesa di S. Valeria (poi distrutta) e S. Ambrogio dove riposano i due fratelli gemelli
Tratto da
https://www.milanofree.it/milano/storia/santi_di_milano_san_gervasio_e_san_protasio.html
Non si conosce l’esatto periodo storico
in cui vissero questi due personaggi. Si suppone siano morti all’incirca nel
III secolo dopo Cristo a Milano. San Gervasio e san Protasio erano
gemelli, e nacquero da santa Valeria e da san Vitale.
Le notizie che ci sono pervenute circa
le loro vite sono poche e confuse, al limite della leggenda. Non è possibile,
pertanto dare versioni certe, ma solo approssimative. Tra gli studiosi c’è chi
li colloca nel periodo di Nerone durante le prime persecuzioni contro i
cristiani, chi ancora nella seconda metà del III secolo dopo Cristo, periodo di
persecuzioni per opera di Valeriano, Decio, e qualche anno dopo da Diocleziano.
I loro genitori, si narra, furono
anch’essi santi venerati dalla cristianità. Dopo la loro morte (furono uccisi),
i figli non vollero vendicarsi ma decisero di donare i propri beni ai poveri di
Milano. Dedicarono le loro vite alla preghiera e al prossimo, seguendo le
regole cristiane. Come per la maggior parte dei cristiani, toccò loro,
purtroppo, una tragica fine. A causa della fede cristiana vennero
perseguitati e imprigionati. Subirono torture e umiliazioni e furono uccisi. A
Gervasio fu tagliata la testa, mentre Protasio fu flagellato a morte. Le loro
spoglie furono ritrovate nel 386 in una zona di Milano oggi compresa tra
Garibaldi e l’Università Cattolica. Anche in quest’occasione vi sono elementi
al limite del mito. SI racconta che a riconoscere i cadaveri fu il vescovo di
Milano Ambrogio, il quale ebbe un presentimento.
Reliquie
I loro corpi vennero, in un primo
momento deposti nella basilica di santa Fausta e il giorno dopo tradotti
nell’attuale basilica di sant’Ambrogio. Quello stesso giorno, Il 19 giugno, il
vescovo Ambrogio proclamò santi i due gemelli Gervasio e Protasio e fece
depositare le loro reliquie sotto l’altare della basilica ambrosiana.
All’incirca nell’835 i loro corpi furono rimossi dal loculo, assieme ai resti
di Ambrogio e conservati, assieme, in un’unica urna. Nel 1864 l’urna fu aperta;
all’interno era piena d’acqua limpida e sul fondo erano adagiati tre scheletri.
Nel 1874 i tre scheletri, attribuiti a san Gervasio, san Protasio e
sant’Ambrogio, furono collocati in un’urna d’argento e cristallo.
Tratto da
http://www.emergenzeweb.it/lincredibile-storia-delle-reliquie-dei-santi-gervasio-e-protasio/
Secondo alcuni testi, i due fratelli gemelli
avrebbero vissuto durante il breve, ma intenso, principato di Nerone (54-68);
l’imperatore romano, noto ai più per le sue scelleratezze e per aver fatto
massacrare due o trecento cristiani più o meno sconosciuti, condannati al
termine del processo indetto dopo il famoso incendio di Roma del 64, sarebbe
responsabile, secondo la tradizione anche della morte di San Paolo di Tarso e San
Pietro apostolo di Cafarnao; decapitato il primo, crocifisso il secondo.
Da altre fonti, risulta più probabile che i nostri due santi siano vissuti a metà del III secolo, ma comunque perseguitati e uccisi durante i principati di Decio, Valerio, o Diocleziano; ad ogni modo, non troppo distanti cronologicamente da sant’Ambrogio, che visse fra il 339 e il 397 (il che gli avrebbe consentito di ritrovare i loro corpi in buono stato di conservazione).
Da altre fonti, risulta più probabile che i nostri due santi siano vissuti a metà del III secolo, ma comunque perseguitati e uccisi durante i principati di Decio, Valerio, o Diocleziano; ad ogni modo, non troppo distanti cronologicamente da sant’Ambrogio, che visse fra il 339 e il 397 (il che gli avrebbe consentito di ritrovare i loro corpi in buono stato di conservazione).
Nel 386 era stata ultimata la
costruzione della Basilica Martyrum voluta da Ambrogio (che fu ribattezzata
Basilica romana minore collegiata abbaziale prepositurale di sant’Ambrogio,
dopo la morte del vescovo). I motivi della costruzione erano principalmente
due: onorare la memoria dei martiri cristiani; e assicurarsi il favore delle
folle, scongiurando così le pretese dei tantissimi ariani che richiedevano a gran voce l’assegnazione di
una basilica milanese al loro culto.
Il 17 giugno 386, durante uno scavo
nell’antica zona cimiteriale della città di Milano eseguito per volere di
Ambrogio, riemersero dal terreno due corpi.
La zona in cui furono effettuati gli scavi era un antico luogo di sepoltura della città (che oggi si trova tra la caserma Garibaldi della Polizia di Stato e l’Università Cattolica) in cui erano stati sepolti molti cristiani, ammazzati dai Romani, poco distante dal posto in cui il vescovo aveva ordinato la costruzione della chiesa.
La zona in cui furono effettuati gli scavi era un antico luogo di sepoltura della città (che oggi si trova tra la caserma Garibaldi della Polizia di Stato e l’Università Cattolica) in cui erano stati sepolti molti cristiani, ammazzati dai Romani, poco distante dal posto in cui il vescovo aveva ordinato la costruzione della chiesa.
Così, il 19 giugno del 386 furono celebrati i
santi martiri Gervasio e Protasio e la basilica fu finalmente consacrata.
Monsignor Fiorenzo Canuti (1876-1968),
canonico della cattedrale di Città della Pieve intitolata ai due martiri
fratelli gemelli, nonché letterato e studioso di vicende religiose,
artistiche e di storia locale, in un passo del suo celebre libro del 1926 Nella patria del Perugino, parla dei due santi patroni
della città, ricordandoci che: “Per quanto
fosse antico in Città della Pieve il culto dei SS. Gervasio e Protasio, non era
mai stato possibile avere qualche reliquia di questi gloriosi Santi, e non è a
dire quante richieste erano state fatte a Milano e altrove. Nel 1714 si
potè ottenere qualche frammento delle costole dell’uno e dell’altro Santo…..
Nel 1739, inoltre, il Canonico Vistremondo Padroni ottenne da Napoli la
reliquia del sangue fluido di S. Gervasio….” .
Si riportano di seguito alcuni paragrafi significativi
della Lettera 77, con la quale Ambrogio annunciò nel 386 alla sorella
Marcellina (anch’essa santa) il ritrovamento delle reliquie dei santi Gervasio
e Protasio.
Desidero
tali difensori: ho con me i soldati di Cristo
Poiché sono solito non tacere, alla tua
santità, nulla di quanto avviene qui in tua assenza, sappi anche che abbiamo
ritrovato i santi martiri. Infatti, dopoché avevo consacrato una basilica,
molti – come ad una sola voce – cominciarono a sollecitarmi dicendo:
“Dovresti consacrare questa basilica, come hai fatto per quella di Porta
Romana”. Risposi: “Farò così, se troverò reliquie di martiri”. E subito penetrò
in me come l’ardore di un presagio.
In breve: il Signore mi concesse la grazia.
Nonostante che lo stesso clero manifestasse qualche timore, feci scavare la
terra nella zona davanti ai cancelli dei santi Felice e Nabore. Trovai indizi
probanti; con l’aiuto anche di quelli cui avrei dovuto imporre le mani, i santi
martiri cominciarono ad emergere, sicché, mentre rimanevamo ancora in silenzio,
l’osso d’un avambraccio fu afferrato e deposto presso il luogo del santo
sepolcro. Trovammo due uomini di straordinaria statura, com’erano quelli dei
tempi antichi. Tutte le ossa erano intatte, moltissimo era il sangue. Per tutti
quei due giorni ci fu un immenso concorso di popolo. In breve: le profumammo
tutte, l’una dopo l’altra, e quando ormai era imminente la sera, le
trasportammo nella basilica di Fausta; lì, si vegliò l’intera notte e si compì
l’imposizione delle mani. Il giorno seguente le trasportammo nella basilica che
chiamano Ambrosiana. Durante la traslazione un cieco fu guarito.
Io rivolsi al popolo questo discorso:
“Guardate alla mia destra, guardate alla mia sinistra le sacrosante reliquie:
voi vedete uomini che hanno vissuto come si vive in cielo; guardate i trofei di
un animo sublime: questi sono i cieli che narrano la gloria di Dio, queste le
opere delle sue mani, che annunciano il firmamento. Infatti, non le lusinghe
mondane, ma la grazia dell’azione divina li ha innalzati al firmamento del loro
sacratissimo martirio, e molto prima – con le manifestazioni della loro
condotta e delle loro virtù – ne preannunciò il martirio, poiché rimasero saldi
di fronte alla lubricità di questo mondo.
Quali altri dobbiamo stimare capi del suo
popolo, se non i santi martiri? Nel numero di questi, dopo essere stati a lungo
ignorati, vanno innanzi Protasio e Gervasio, che con i meriti del loro martirio
hanno allietato la Chiesa milanese: sterile di martiri, benché madre di
moltissimi figli.
Avete visto con i vostri occhi che molti sono
stati liberati dai demoni; inoltre, che moltissimi – non appena toccata con le
mani la veste dei santi – sono guariti dalle infermità che li travagliavano;
vedete che si sono rinnovati i miracoli del tempo antico nel quale, in seguito
alla venuta del Signore Gesù, una grazia più abbondante si era riversata sulla
terra; che molti dall’ombra dei santi corpi – per così dire – sono stati
risanati. Quanti fazzoletti vengono di continuo lanciati, quante vesti, sulle
veneratissime reliquie e, solo per averle toccate, sono ripresi capaci di
guarire. Tutti sono paghi di toccarle, sia pure da lontano; e chi le toccherà,
riavrà la salute.
Ti ringrazio, Signore Gesù, perché hai
suscitato per noi gli spiriti così potenti di questi santi martiri, in un
momento in cui la tua Chiesa sente il bisogno di più efficace protezione.
Sappiamo tutti quali difensori io cerco, capaci di proteggermi ma incapaci di
offendere. Tali difensori io desidero, tali soldati ho con me; non soldati del
mondo, ma soldati di Cristo. Per tali difensori non temo alcun risentimento,
perché la loro protezione è quanto più potente tanto più sicura. Voglio che
essi difendano anche quelli che me li invidiano. Vengano, dunque, e vedano le
mie guardie del corpo: da tali armi non rifiuto di essere circondato. Gli uni
per i carri e gli altri per i cavalli, noi invece saremo esaltati nel nome del
Signore Dio nostro (Sal 19,8).
Queste nobili reliquie sono tratte da un
sepolcro indegno di loro e, come trofei, sono mostrate al cielo. Il tumulo è
intriso di sangue, appaiono i segni del loro sangue di trionfatori, i resti
sono stati trovati intatti al loro posto in buon ordine, il capo staccato dal
tronco. Ora, i vecchi vanno dicendo di aver sentito in passato nominare questi
martiri e di averne letto l’iscrizione funebre. Questa città aveva perduto i
propri martiri, mentre aveva sottratto quelli altrui. Sebbene questo sia un
dono di Dio, tuttavia non posso negare la grazia che il Signore Gesù ha
concesso ai tempi del mio episcopato; poiché non merito di essere martire io
stesso, vi ho procurato almeno questi martiri.
Queste vittime trionfali si avanzano verso il
luogo dove Cristo è offerta sacrificale. Ma Egli, che è morto per tutti, sta
sull’altare; questi, che sono stati riscattati dalla sua Passione, staranno
sotto l’altare. Questo posto io avevo scelto per me, perché è giusto che un
vescovo riposi dove era solito offrire il sacrificio; ma a queste vittime sacre
cedo la parte destra: questo luogo era dovuto ai martiri. Riponiamo, dunque, le
reliquie sacrosante, collocandole in una sede degna di loro, e festeggiamo
questo giorno con fedele devozione”.
Tratto da
http://ricerca.gelocal.it/laprovinciapavese/archivio/laprovinciapavese/2009/02/21/PT2PO_PQ302.html
La storia degli 'altri" Santi di Pavia comincia con due
gemelli martiri: Gervasio e Protasio. Milanesi di nascita, sono diventati
simboli della Chiesa pavese delle origini. Le loro spoglie sono custodite nella
basilica in via Boezio a loro intitolata, la più antica chiesa pavese, eretta
all'inizio dell'era cristiana in un luogo dove i primi fedeli si riunivano e
avevano il cimitero.
La chiesa, secondo la 'Chronica Sancti Syri", composizione apologetica e leggendaria attribuita al nono secolo, viene fondata dal primo vescovo e attuale patrono San Siro, operante intorno alla metà del quarto secolo. Il primo storico pavese Opicino De Canistris, nel 'Libro delle lodi della città di Pavia" (1330) fa propria questa tradizione e scrive: «La chiesa dei santi martiri Gervasio e Protasio fu la prima chiesa pavese. (...) Là si trova il corpo di Pompeo, che fu il secondo vescovo pavese, e molti altri corpi di santi e reliquie dei sopracitati martiri, che Sant'Invenzio portò da Milano per ordine di Siro».
Le spoglie di Gervasio e Protasio sono oggi in una piccola urna nell'altare della prima cappella a destra, quello della Santa Casa di Loreto. Quasi di fronte, nella seconda cappella a sinistra, si conserva il sepolcro di San Siro. Sull'avello di pietra si legge la scritta 'SVRUS EPC", rinvenuta da Cesare Prelini, il canonico e professore che scopri la sepoltura nel novembre 1875. Ma perché quei due martiri sono emblematici? Perché sono tra le primissime reliquie venerate. Eppure, le notizie sulla loro vita sono scarse e incerte. Secondo alcune fonti, sarebbero stati battezzati, assieme ai genitori, dal vescovo milanese Caio all'epoca dell'imperatore Nerone (54-68), famoso per l'incendio di Roma e la colpa attribuita ai cristiani. Più probabile, invece, collocare temporalmente le loro vite alla metà del terzo secolo, durante le persecuzioni dei cristiani di Decio o Valeriano oppure qualche anno dopo, sotto l'imperatore Diocleziano (243-313).
Durante il quinto secolo, un autore anonimo descrisse il supplizio dei due gemelli ed è da questo racconto che è possibile ricavare alcune notizie, al limite tra leggenda e realtà. Il padre Vitale viene ucciso a Ravenna e la madre è assassinata sulla via di Milano. Appena venuti a conoscenza del martirio dei genitori, Gervasio e Protasio non premeditano vendette e vendono tutti i beni di famiglia per distribuire il ricavato ai poveri. Passano cosi dieci anni a pregare, meditare e professare i dettami della fede cristiana. Un bel giorno, Milano è percorsa dalle milizie del generale Anastaso, che li incontra e li addita al pubblico ludibrio come sovversivi. I due gemelli sono arrestati, torturati e umiliati. Un centurione con un colpo di spada taglia la testa a Protasio, mentre Gervasio muore sotto i colpi del flagello. I corpi sembrano perduti per sempre ma il 7 giugno 386, durante una funzione presieduta dal futuro Sant'Ambrogio in quello che allora era il cimitero - vicino all'odierna Università Cattolica - le spoglie di due uomini saltano improvvisamente fuori dal pavimento. Nessuno ne conosce l'identità. Ma il segretario e biografo di Ambrogio narra che il vescovo li attribuisce a Gervasio e Protasio grazie a una rivelazione. In realtà Ambrogio, nelle lettere alla sorella Marcellina, afferma di avere avuto solo un presentimento.
In quell'anno la costruzione della basilica di Milano, oggi intitolata a Sant'Ambrogio, è quasi terminata. Il 19 giugno il vescovo la consacra ufficialmente e innalza agli altari Gervasio e Protasio. Secondo altre fonti, la deposizione dei corpi dei due gemelli è, invece, un espediente di politica religiosa che Ambrogio utilizza per attirarsi il favore delle folle e allontanare le pretese degli ariani che richiedevano l'assegnazione di una chiesa al loro culto. Presto la fama delle gesta eroiche e la popolarità dei gemelli martiri si diffonde in tutto il nord, da Brescia a Ravenna e naturalmente a Pavia, raggiunge Roma e varca le sponde del Mediterraneo. Ambrogio se ne serve per consolidare la fede cristiana nelle regioni italiche.
La tradizione vuole che il pastore della Chiesa milanese chiami Siro e questi mandi a Milano il diacono Invenzio a ricevere le reliquie di Gervasio e Protasio. Invenzio (come è chiamato a Pavia, ma il suo vero nome è Evenzio, la cui festa è l'8 febbraio), fu il terzo vescovo, dal 381 al 397. Il Martirologio Romano lo definisce 'insigne per fortezza e costanza nella fede cattolica". Nel 381 partecipa al Concilio di Aquileia e nel 390 a quello di Milano. Ambrogio lo cita nel suo 'De officis" come protagonista coraggioso di un suo intervento in favore di una vedova per una rivendicazione di beni che le spettavano. Muore nel febbraio 397, qualche mese prima del suo maestro, e viene sepolto nella chiesa dei Santi Nazario e Celso, che per il culto poi tributatogli gli viene intitolata. Il suo corpo rimane nascosto per alcuni secoli, finché nel 1574 è ritrovato grazie ad una iscrizione lapidea. Nel 1789, a causa dell'abbattimento della chiesa, le sue reliquie sono trasferite nella chiesa del Gesù. Ora riposano nel Duomo di Pavia. Ma qual è esattamente la situazione dell'Impero Romano e di Pavia nell'epoca in cui la Chiesa muove i primi passi? Imperatore è dal 284 il capo militare dalmata Diocleziano (243-313), destinato a passare alla storia per la Tetrarchia (cioè la divisione dei poteri tra l'Occidente e l'Oriente, tra due Augusti e due Cesari), la riforma dell'esercito, la profonda riorganizzazione burocratico-amministrativa dell'Impero e le persecuzioni contro i cristiani. Il primo decreto anti-cristiano è del 303. Perché Diocleziano si irrigidisce contro i seguaci di Cristo? Le ragioni sono da ricondurre agli eventi che hanno avuto luogo in Oriente: la rivolta egizia, la propaganda dei manichei, la guerra con la Persia. Il cristianesimo, che proprio in Oriente ha raggiunto nel terzo secolo la sua massima diffusione, viene considerato da Diocleziano una potenziale minaccia per l'integrità dell'Impero. La persecuzione si inasprisce dopo la soppressione del manicheismo, la cui propaganda antistatale si è saldata con quella cristiana. Diocleziano emana, uno dopo l'altro, quattro editti di persecuzione tra il 303 e il 304, sempre più rigidi e severi. Per la storiografia laica egli è un buon imperatore, per quella cristiana invece l'incarnazione del male. E Pavia? Nel quarto secolo Ticinum, l'antico nome di Pavia, è una piazza rilevante e prospera, con attività politiche, militari e amministrative di notevole importanza, attestata come crocevia nel sistema stradale che unisce la regione padana alla Gallia, a ovest, e all'Illirico, a est. A Ticinum per lunghi periodi risiede la corte imperiale. Si sa che, fino al regno di Costantino, nei primi decenni del terzo secolo, in città funzionava anche una delle zecche dell'Impero, che coniava monete argentee e bronzee.
La chiesa, secondo la 'Chronica Sancti Syri", composizione apologetica e leggendaria attribuita al nono secolo, viene fondata dal primo vescovo e attuale patrono San Siro, operante intorno alla metà del quarto secolo. Il primo storico pavese Opicino De Canistris, nel 'Libro delle lodi della città di Pavia" (1330) fa propria questa tradizione e scrive: «La chiesa dei santi martiri Gervasio e Protasio fu la prima chiesa pavese. (...) Là si trova il corpo di Pompeo, che fu il secondo vescovo pavese, e molti altri corpi di santi e reliquie dei sopracitati martiri, che Sant'Invenzio portò da Milano per ordine di Siro».
Le spoglie di Gervasio e Protasio sono oggi in una piccola urna nell'altare della prima cappella a destra, quello della Santa Casa di Loreto. Quasi di fronte, nella seconda cappella a sinistra, si conserva il sepolcro di San Siro. Sull'avello di pietra si legge la scritta 'SVRUS EPC", rinvenuta da Cesare Prelini, il canonico e professore che scopri la sepoltura nel novembre 1875. Ma perché quei due martiri sono emblematici? Perché sono tra le primissime reliquie venerate. Eppure, le notizie sulla loro vita sono scarse e incerte. Secondo alcune fonti, sarebbero stati battezzati, assieme ai genitori, dal vescovo milanese Caio all'epoca dell'imperatore Nerone (54-68), famoso per l'incendio di Roma e la colpa attribuita ai cristiani. Più probabile, invece, collocare temporalmente le loro vite alla metà del terzo secolo, durante le persecuzioni dei cristiani di Decio o Valeriano oppure qualche anno dopo, sotto l'imperatore Diocleziano (243-313).
Durante il quinto secolo, un autore anonimo descrisse il supplizio dei due gemelli ed è da questo racconto che è possibile ricavare alcune notizie, al limite tra leggenda e realtà. Il padre Vitale viene ucciso a Ravenna e la madre è assassinata sulla via di Milano. Appena venuti a conoscenza del martirio dei genitori, Gervasio e Protasio non premeditano vendette e vendono tutti i beni di famiglia per distribuire il ricavato ai poveri. Passano cosi dieci anni a pregare, meditare e professare i dettami della fede cristiana. Un bel giorno, Milano è percorsa dalle milizie del generale Anastaso, che li incontra e li addita al pubblico ludibrio come sovversivi. I due gemelli sono arrestati, torturati e umiliati. Un centurione con un colpo di spada taglia la testa a Protasio, mentre Gervasio muore sotto i colpi del flagello. I corpi sembrano perduti per sempre ma il 7 giugno 386, durante una funzione presieduta dal futuro Sant'Ambrogio in quello che allora era il cimitero - vicino all'odierna Università Cattolica - le spoglie di due uomini saltano improvvisamente fuori dal pavimento. Nessuno ne conosce l'identità. Ma il segretario e biografo di Ambrogio narra che il vescovo li attribuisce a Gervasio e Protasio grazie a una rivelazione. In realtà Ambrogio, nelle lettere alla sorella Marcellina, afferma di avere avuto solo un presentimento.
In quell'anno la costruzione della basilica di Milano, oggi intitolata a Sant'Ambrogio, è quasi terminata. Il 19 giugno il vescovo la consacra ufficialmente e innalza agli altari Gervasio e Protasio. Secondo altre fonti, la deposizione dei corpi dei due gemelli è, invece, un espediente di politica religiosa che Ambrogio utilizza per attirarsi il favore delle folle e allontanare le pretese degli ariani che richiedevano l'assegnazione di una chiesa al loro culto. Presto la fama delle gesta eroiche e la popolarità dei gemelli martiri si diffonde in tutto il nord, da Brescia a Ravenna e naturalmente a Pavia, raggiunge Roma e varca le sponde del Mediterraneo. Ambrogio se ne serve per consolidare la fede cristiana nelle regioni italiche.
La tradizione vuole che il pastore della Chiesa milanese chiami Siro e questi mandi a Milano il diacono Invenzio a ricevere le reliquie di Gervasio e Protasio. Invenzio (come è chiamato a Pavia, ma il suo vero nome è Evenzio, la cui festa è l'8 febbraio), fu il terzo vescovo, dal 381 al 397. Il Martirologio Romano lo definisce 'insigne per fortezza e costanza nella fede cattolica". Nel 381 partecipa al Concilio di Aquileia e nel 390 a quello di Milano. Ambrogio lo cita nel suo 'De officis" come protagonista coraggioso di un suo intervento in favore di una vedova per una rivendicazione di beni che le spettavano. Muore nel febbraio 397, qualche mese prima del suo maestro, e viene sepolto nella chiesa dei Santi Nazario e Celso, che per il culto poi tributatogli gli viene intitolata. Il suo corpo rimane nascosto per alcuni secoli, finché nel 1574 è ritrovato grazie ad una iscrizione lapidea. Nel 1789, a causa dell'abbattimento della chiesa, le sue reliquie sono trasferite nella chiesa del Gesù. Ora riposano nel Duomo di Pavia. Ma qual è esattamente la situazione dell'Impero Romano e di Pavia nell'epoca in cui la Chiesa muove i primi passi? Imperatore è dal 284 il capo militare dalmata Diocleziano (243-313), destinato a passare alla storia per la Tetrarchia (cioè la divisione dei poteri tra l'Occidente e l'Oriente, tra due Augusti e due Cesari), la riforma dell'esercito, la profonda riorganizzazione burocratico-amministrativa dell'Impero e le persecuzioni contro i cristiani. Il primo decreto anti-cristiano è del 303. Perché Diocleziano si irrigidisce contro i seguaci di Cristo? Le ragioni sono da ricondurre agli eventi che hanno avuto luogo in Oriente: la rivolta egizia, la propaganda dei manichei, la guerra con la Persia. Il cristianesimo, che proprio in Oriente ha raggiunto nel terzo secolo la sua massima diffusione, viene considerato da Diocleziano una potenziale minaccia per l'integrità dell'Impero. La persecuzione si inasprisce dopo la soppressione del manicheismo, la cui propaganda antistatale si è saldata con quella cristiana. Diocleziano emana, uno dopo l'altro, quattro editti di persecuzione tra il 303 e il 304, sempre più rigidi e severi. Per la storiografia laica egli è un buon imperatore, per quella cristiana invece l'incarnazione del male. E Pavia? Nel quarto secolo Ticinum, l'antico nome di Pavia, è una piazza rilevante e prospera, con attività politiche, militari e amministrative di notevole importanza, attestata come crocevia nel sistema stradale che unisce la regione padana alla Gallia, a ovest, e all'Illirico, a est. A Ticinum per lunghi periodi risiede la corte imperiale. Si sa che, fino al regno di Costantino, nei primi decenni del terzo secolo, in città funzionava anche una delle zecche dell'Impero, che coniava monete argentee e bronzee.
Saint CALIXTE Ier, Grec de nation, ancien esclave et banquier, pape et patriarche de Rome, martyr sous Alexandre Sévère (222).
http://www.santiebeati.it/dettaglio/29550
Santo
Callisto I ,greco di nascita, prima
schiavo e poi papa e patriarca di Roma
martire sotto Alessandro Severo(222)
Secondo
il Catalogo Liberiano – una lista cronologica dei Papi fino a Papa Liberio,
contenuta nel cosiddetto Cronografo del 354, a sua volta una raccolta di testi
prevalentemente cronografici (elenchi, cronache, descrizioni varie) compiuta
nel 354 – il pontificato di Papa Callisto inizia nel 218 e termina nel 222. La
fonte principale da cui attingere notizie sul suo pontificato è un’opera
denominata Èlenchos, nota anche come Refutatio omnium haeresium o
Philosophoumena; è necessario subito premettere che l’Èlenchos è un’opera
apertamente ostile a Callisto: il suo autore ne è un nemico e quindi solo
indirettamente e cercando di discernere il vero dal falso è possibile ricavare
notizie attendibili.
Le prime notizie sulla vita di Callisto possono aiutare a comprendere il suo pontificato, caratterizzato dalla misericordia verso i peccatori. Il nostro era originariamente uno schiavo, schiavo di un tale Carpoforo, un cristiano liberto della casa dell’imperatore. Questi affidò a Callisto una grossa somma di denaro per fargli aprire una banca, nella zona romana della «Piscina Publica»: vedove e cristiani cominciarono ad affidare con fiducia i loro risparmi a Callisto. Ma – secondo il racconto dell’Èlenchos – questi si viene a trovare in difficoltà, «avendo dissipato tutto». Temendo la reazione del padrone, Callisto cerca di fuggire, ma viene preso e messo a girare la macina. Carpoforo gli dà un’altra possibilità per restituire il denaro che aveva preso in consegna, ma Callisto si trova nuovamente in cattive acque perché non è in grado di restituire nulla e compie uno strano gesto: va di sabato nella sinagoga e disturba la cerimonia. Una congettura porterebbe a pensare che l’intento di Callisto era quello di farsi arrestare, per liberarsi della pressione di Carpoforo. I giudei portano Callisto davanti al praefectus urbi Fusciano, accusandolo di avere impedito il loro culto. Carpoforo interviene difendendo, nel proprio interesse, il debitore insolvente, ma Fusciano, dando ascolto ai giudei, condanna Callisto ad metalla in Sardegna.
Quando Marcia, concubina di Commodo e probabilmente cristiana, richiede al Vescovo di Roma e Pontefice Vittore un elenco dei martiri cristiani condannati alle miniere per provvedere benevolmente alla loro scarcerazione, Vittore provvede ma non include nell’elenco Callisto. Un sacerdote di nome Giacinto viene mandato in Sardegna con la lettera di scarcerazione: Callisto lo supplica di inserirlo nella lista e così riesce a tornare a Roma. Viene sostanzialmente perdonato per il suo passato e recuperato alla comunità cristiana, ma per prudenza viene allontanato da Roma. Da allora, prima durante l’episcopato di Vittore e poi durante l’episcopato del nuovo pontefice Zefirino, Callisto dovette maturare ed acquistare una posizione importante all’interno della comunità cristiana di Roma; infatti, dopo la morte di Vittore, Callisto è nominato diacono e personale consigliere dal nuovo vescovo Zefirino. Fino alla importante nomina di amministratore del patrimonio ecclesiastico e successivamente, intorno al 200, preposto al cimitero sulla via Appia – il cimitero “ufficiale” della comunità romana, cimitero papale perché vi trovarono sepoltura gli stessi vescovi di Roma per circa un secolo – che da lui prenderà il nome.
Le prime notizie sulla vita di Callisto possono aiutare a comprendere il suo pontificato, caratterizzato dalla misericordia verso i peccatori. Il nostro era originariamente uno schiavo, schiavo di un tale Carpoforo, un cristiano liberto della casa dell’imperatore. Questi affidò a Callisto una grossa somma di denaro per fargli aprire una banca, nella zona romana della «Piscina Publica»: vedove e cristiani cominciarono ad affidare con fiducia i loro risparmi a Callisto. Ma – secondo il racconto dell’Èlenchos – questi si viene a trovare in difficoltà, «avendo dissipato tutto». Temendo la reazione del padrone, Callisto cerca di fuggire, ma viene preso e messo a girare la macina. Carpoforo gli dà un’altra possibilità per restituire il denaro che aveva preso in consegna, ma Callisto si trova nuovamente in cattive acque perché non è in grado di restituire nulla e compie uno strano gesto: va di sabato nella sinagoga e disturba la cerimonia. Una congettura porterebbe a pensare che l’intento di Callisto era quello di farsi arrestare, per liberarsi della pressione di Carpoforo. I giudei portano Callisto davanti al praefectus urbi Fusciano, accusandolo di avere impedito il loro culto. Carpoforo interviene difendendo, nel proprio interesse, il debitore insolvente, ma Fusciano, dando ascolto ai giudei, condanna Callisto ad metalla in Sardegna.
Quando Marcia, concubina di Commodo e probabilmente cristiana, richiede al Vescovo di Roma e Pontefice Vittore un elenco dei martiri cristiani condannati alle miniere per provvedere benevolmente alla loro scarcerazione, Vittore provvede ma non include nell’elenco Callisto. Un sacerdote di nome Giacinto viene mandato in Sardegna con la lettera di scarcerazione: Callisto lo supplica di inserirlo nella lista e così riesce a tornare a Roma. Viene sostanzialmente perdonato per il suo passato e recuperato alla comunità cristiana, ma per prudenza viene allontanato da Roma. Da allora, prima durante l’episcopato di Vittore e poi durante l’episcopato del nuovo pontefice Zefirino, Callisto dovette maturare ed acquistare una posizione importante all’interno della comunità cristiana di Roma; infatti, dopo la morte di Vittore, Callisto è nominato diacono e personale consigliere dal nuovo vescovo Zefirino. Fino alla importante nomina di amministratore del patrimonio ecclesiastico e successivamente, intorno al 200, preposto al cimitero sulla via Appia – il cimitero “ufficiale” della comunità romana, cimitero papale perché vi trovarono sepoltura gli stessi vescovi di Roma per circa un secolo – che da lui prenderà il nome.
Morto
Zefirino, Callisto viene eletto al suo posto come Vescovo di Roma. Il nuovo
Papa dovette affrontare problemi di natura dottrinale, considerando che nella
comunità cristiana coesistevano da questo punto di vista orientamenti diversi.
Callisto ebbe l’abilità di porsi in posizione mediana rispetto alle varie ed
opposte fazioni, con l’obiettivo precipuo di assicurare l’unità dottrinale
della Chiesa e ,in pienezza di misericordia. Callisto accoglie i peccatori, la sua
Chiesa era una casa di misericordia aperta ai peccatori, che a tutti potesse
offrire la possibilità della riconciliazione dopo il peccato.
Il martirio di Callisto, Papa e santo, è da considerare sicuro. La Depositio martyrum – un elenco dei martiri venerati a Roma, appartenente anch’esso al citato Cronografo del 354 del calligrafo Furio Dionisio Filocalo – indica la sua memoria al 14 ottobre e ne stabilisce la sepoltura sulla via Aurelia, al III miglio, quindi non nel cimitero callistiano ma nella cosiddetta catacomba di Calepodio. Il Martirologio Romano ricorda il santo Papa Callisto alla data del 14 ottobre: «San Callisto I, Papa, martire: da diacono, dopo un lungo esilio in Sardegna, si prese cura del cimitero sulla via Appia noto sotto il suo nome, dove raccolse le vestigia dei martiri a futura venerazione dei posteri; eletto poi Papa promosse la retta dottrina e riconciliò con benevolenza i lapsi (dal latino, “caduti”, ovvero i cristiani apostati, ndr) coronando infine il suo operoso episcopato con un luminoso martirio. In questo giorno si commemora la deposizione del suo corpo nel cimitero di Calepodio a Roma sulla via Aurelia».
Il martirio di Callisto, Papa e santo, è da considerare sicuro. La Depositio martyrum – un elenco dei martiri venerati a Roma, appartenente anch’esso al citato Cronografo del 354 del calligrafo Furio Dionisio Filocalo – indica la sua memoria al 14 ottobre e ne stabilisce la sepoltura sulla via Aurelia, al III miglio, quindi non nel cimitero callistiano ma nella cosiddetta catacomba di Calepodio. Il Martirologio Romano ricorda il santo Papa Callisto alla data del 14 ottobre: «San Callisto I, Papa, martire: da diacono, dopo un lungo esilio in Sardegna, si prese cura del cimitero sulla via Appia noto sotto il suo nome, dove raccolse le vestigia dei martiri a futura venerazione dei posteri; eletto poi Papa promosse la retta dottrina e riconciliò con benevolenza i lapsi (dal latino, “caduti”, ovvero i cristiani apostati, ndr) coronando infine il suo operoso episcopato con un luminoso martirio. In questo giorno si commemora la deposizione del suo corpo nel cimitero di Calepodio a Roma sulla via Aurelia».
Santo Fortunato vescovo di Todi ed esorcista
e come riferisce il papa Gregorio Magno “rifulse di immensa virtù
nel prestare assistenza ai malati. Durante il suo episcopato fece erigere
la chiesa di San Pietro Apostolo e convertì al cattolicesimo gli abitanti del
castello di Pantalia, fondato nel periodo augusteo, facendo demolire il tempio
di Pan e tagliare il bosco a lui
consacrato (VI secolo)
Santo Gaudenzio vescovo di Rimini martire per ordine
dell’imperatore ariano Costanzo II (360)
Gaudenzo
nacque ad Efeso nell’Asia Minore. Giunto a Roma fu battezzato, poi ordinato
sacerdote e consacrato vescovo. Inviato a Rimini come pastore, combattè
vigorosamente i residui di paganesimo e l'eresia.
Nell’anno 359 partecipò al Concilio di Rimini indetto dall’Imperatore Costanzo II, appositamente convocato per condannare Ario; allorchè se ne profilò la vittoria, Gaudenzio, con altri diciassette vescovi, abbandonò il concilio e si ritirò in una piccola cittadina vicina e che dopo questo evento fu chiamata la Cattolica. Rientrato a Rimini, attaccò apertamente le posizioni ariane. Arrestato dal preside dell'imperatore Costanzo, fu strappato dalle mani dei giudici e linciato dai seguaci di Ario, il 14 ottobre del 360. Durante il suo episcopato ordinò Diacono Marino, il santo fondatore della vicina Repubblica.
San Gaudenzio - il cui culto è comunque molto antico - è il patrono di Rimini e festeggiato il 14 ottobre.
Nell’anno 359 partecipò al Concilio di Rimini indetto dall’Imperatore Costanzo II, appositamente convocato per condannare Ario; allorchè se ne profilò la vittoria, Gaudenzio, con altri diciassette vescovi, abbandonò il concilio e si ritirò in una piccola cittadina vicina e che dopo questo evento fu chiamata la Cattolica. Rientrato a Rimini, attaccò apertamente le posizioni ariane. Arrestato dal preside dell'imperatore Costanzo, fu strappato dalle mani dei giudici e linciato dai seguaci di Ario, il 14 ottobre del 360. Durante il suo episcopato ordinò Diacono Marino, il santo fondatore della vicina Repubblica.
San Gaudenzio - il cui culto è comunque molto antico - è il patrono di Rimini e festeggiato il 14 ottobre.
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